[222,2] La lettura {per l'arte dello
scrivere} è come l'esperienza per l'arte di viver nel mondo, e di
conoscer gli uomini e le cose. Distendete e applicate questa osservazione,
specialmente a quello che è avvenuto a voi stesso nello studio della lingua e
dello stile, e vedrete che la lettura ha prodotto in voi lo stesso effetto
dell'esperienza rispetto al mondo. (22. Agosto 1820.).
[1574,1] Osservo però che non solo gli studi soddisfanno più di qualunque altro
piacere, e ne dura più il gusto, e l'appetito ec. ma che fra tutte le letture,
quella che meno lascia l'animo desideroso del piacere, è la lettura della vera
poesia. La quale destando mozioni vivissime, e riempiendo l'animo d'idee vaghe e
indefinite e vastissime e sublimissime e mal chiare ec. lo riempie quanto più si
possa a questo mondo. Così che Cicerone
1575 non avrebbe forse potuto dire della poesia ciò che
disse dell'eloquenza. Ben è vero che questa è proprietà del genere, e non del
poeta individualmente, e non deriva dall'arte sua, ma dalla materia che tratta.
Certo è che un poeta con assai meno arte ed abilità di un eloquente, può
lasciare un assai minor vôto nell'animo, di quello che possa il più grande
oratore; e produr ne' lettori quel sentimento che Cicerone esprime, in assai minor grado. (27.
Agos. 1821.).
[2228,1] È cosa facilmente osservabile che nel comporre ec.
giova moltissimo, e facilita ec. il leggere abitualmente in quel tempo degli
autori di stile, di materia ec. analoga a quella che abbiamo per le mani ec. Da
che cosa crediamo noi che ciò derivi? forse dal ricevere quelle tali letture,
quegli autori ec. come modelli, come esempi di ciò che dobbiamo fare,
dall'averli più in pronto, per mirare in essi, e regolarci nell'imitarli? ec.
non già, ma dall'abitudine materiale che la mente acquista a quel tale stile ec.
la quale abitudine le rende molto più facile l'eseguir ciò che ha da fare. Tali
letture in tal tempo non sono studi, ma esercizi, come la lunga abitudine del
comporre facilita la composizione. Ora tali letture fanno appunto allora
l'uffizio di quest'abitudine, la facilitano, esercitano insomma la mente in
quell'operazione
2229 ch'ella ha da fare. E giovano
massimamente quando ella v'è già dentro, e la sua disposizione e[è] sul traine[train] di eseguire, di applicare al fatto ec.
Così leggendo un ragionatore, per quei giorni si prova una straordinaria
tendenza, facilità, frequenza ec. di ragionare sopra qualunque cosa occorrente,
anche menoma. Così un pensatore, così uno scrittore d'immaginazione, di
sentimento (esso ci avvezza per allora a sentire anche da noi stessi), originale, inventivo ec. E questi
effetti li producono essi non in forza di modelli (giacchè li producono quando
anche il lettore li disprezzi, o li consideri come tutt'altro che modelli), ma
come mezzi di assuefazione. E però, massime nell'atto di comporre, bisogna
fuggir le cattive letture, sia in ordine allo stile, o a qualunque altra cosa;
perchè la mente senz'avvedersene si abitua a quelle maniere, per quanto le
condanni, e per quanto sia abituata già a maniere diverse, abbia formato una
maniera
2230 propria, ben radicata nella di lui
assuefazione ec. (6. Dic. 1821.).
[4266,1] In qualunque cosa tu non cerchi altro che piacere,
tu non lo trovi mai: tu non provi altro che noia, e spesso disgusto. Bisogna,
per provar piacere in qualunque azione ovvero occupazione, cercarvi qualche
altro fine che il piacere stesso. (Può servire al Manuale di filosofia pratica). (30. Marzo.
1827.). Così accade (fra mille esempi che se ne potrebbero dare)
nella lettura. Chi legge un libro (sia il più piacevole e il più bello del
mondo) non con altro fine che il diletto, vi si annoia, anzi se ne disgusta,
alla seconda pagina. Ma un matematico trova diletto grande a leggere una
dimostrazione di geometria, la qual certamente egli non legge per dilettarsi.
{+V. p. 4273.} E forse per questa ragione gli
spettacoli e i divertimenti pubblici per se stessi, senza altre circostanze,
sono le più terribilmente noiose e fastidiose cose del mondo; perchè non hanno
altro fine che il piacere; questo solo vi si vuole, questo vi si aspetta; e una
cosa da cui si aspetta e si esige piacere (come un debito) non ne dà quasi mai:
dà anzi il contrario. Il piacere (si può dir con perfettissima verità) non vien
mai se non inaspettato; e colà dove noi non lo cercavamo, non che lo sperassimo.
Per questo nel bollore della gioventù, quando l'uomo si precipita col desiderio
e colla speranza dietro al piacere, ei non prova che spaventevole e tormentoso
disgusto e noia nelle più dilettevoli cose della vita. E non si comincia a
provar qualche piacere nel mondo, se non sedato quell'impeto, e cominciata
4267 la freddezza, e ridotto l'uomo a curarsi poco e a
disperare {omai} del piacere. (30. Marzo.
1827.). {{Simile è in ciò il piacere alla quiete,
la quale quanto più si cerca {e si desidera} per se
e da se sola, tanto si trova e si gode meno, come ho esposto in altro
pensiero poco addietro pp. 4259-60. Il desiderio stesso
di lei, è necessariamente esclusivo di essa, ed incompatibile seco
lei.}}
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