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Alfabeti vari in natura.

Various alphabets in nature.

51,6 54,2 191,1 711,1 1014,3 1338,3 1342,1 1346,3 1816,1 2740,1

[51,6]  Non mi maraviglio nè che gli antichi Ebrei e, credo, gran parte o tutti gli orientali (v. le lettere premesse aux principes discutés de la société Hébreo-Capucine etc.) e così i greci mancassero p. e. del v. nè che avessero alcune lettere che noi non abbiamo, come gli Ebrei p. e. il ‎‏צּ‏‎ i greci il θ il χ ec. Le lettere che noi crediamo comunemente essere proprio tante e non più quanto le nostre, o almeno in genere, sono in effetto moltissime giacchè non vengono dalla natura ma dall'assuefazione io dico in particolare, cioè la facoltà del parlare e articolare e formare diversi suoni viene dalla natura, ma la qualità e differenza di questi suoni ossia delle lettere viene dall'assuefazione. E infatti sono infiniti i modi  52 {di} collocare ec. la lingua i denti le labbra ec. quelle parti che formano i detti suoni, e noi vediamo come piccole differenze di collocazione formino suoni diversissimi come il p. e il b. per esempio. Ora perchè noi da fanciulli non abbiamo sentito altro che i suoni del nostro alfabeto abbiamo solo imparato quelle tali collocazioni, e a quelle assuefatti e incapaci d'ogni altra crediamo 1. che altre non ve ne siano in natura, 2. che tutte sieno appresso a poco comuni per natura a tutti. Ma la prima cosa è mostrata falsa dalle tante lettere degli alfabeti antichi o stranieri che noi non sappiamo pronunziare o ignorandone il suono, come {spesso} negli antichi {(quantunque più spesso crediamo di saperlo)}, o il mezzo, come negli stranieri; e da molte altre prove. L'altra cosa da quello che ho detto di sopra e dall'esperienza continua di tanti che per minime circostanze piuttosto accidentali ed estrinseche che organiche restan privi di certe lettere. Ora non è dunque maraviglia che gli alfabeti dei popoli siano differenti secondo la differente assuefazione tradizionale, da cui si dee rimontare alla origine d'essi alfabeti. E se ne deduce che in natura o non c'è alfabeto, o molto più ricco che non si crede volgarmente.

[54,2]  Una prova di quello che ho detto di sopra intorno alle lettere, o piuttosto un esempio, è l'u gallico (fino una vocale) sconosciuto a noi italiani  55 settentrionali, e non so se ai latini, e a quali altri stranieri presentemente. Il quale fu proprio interamente dell'alfabeto greco (e non so se dicano lo stesso del vau ebreo) come ora è proprio del francese, e come l'u nostro appresso questi è formato dall'ou, così appuntino fra i greci (eccetto che questi l'hanno anche ne' dittonghi αυ ευ ηυ ωυ dove i francesi in nessun altro). Il che, se non c'è altra ragione in contrario credo che i francesi (dico tanto quest'u {detto gallico} quanto esso dittongo ou) l'abbiano avuto dalla grecia nelle spedizioni che fecero colà quando fondarono la gallogrecia ec. (e credo da S. Ireneo gallo che scrisse in greco, e Favorino parimente ec. che la lingua greca fosse veramente comune nella gallia, v. gli Storici) onde reso ἐπιχώριον, sia poi rimasto in francia e anche nella gallia transalpina cioè in Lombardia, malgrado delle mutazioni d'abitatori di queste provincie ec. E il c. e il g. schiacciato non sono evidentemente due lettere diverse dagli aperti ch e gh? e non mancarono e mancano ai greci? (ai latini non so che dicano gli eruditi) ed ora ai francesi, e credo agli spagnuoli agl'inglesi ec.?

[191,1]  Il suono dello j, e ge e gi francese è un suono distintissimo che manca alla nostra lingua, e forma effettivamente un'altra lettera dell'alfabeto. Nè si può chiamare un composto di g, ed s. 1. perchè è distintissimo dal suono di ciascuna di queste due lettere, 2. perchè si pronunzia tutto in un solo istante, e non successivamente come noi italiani pronunzieremmo sgi {o sghi} o gsi, ma sibbene come il z il quale è una lettera bella e buona distintissima dalle altre, e non un composto dis sed s. Osservate anche le due diverse pronunzie del z {l'}una o {l'altra} delle quali manca io credo a parecchie nazioni, e la s schiacciata dei francesi che manca parimente a noi. (28. Luglio 1820.).

[711,1]  Lettere diverse da quelle del nostro alfabeto sono pure il ϑῆτα greco, e la zediglia spagnuola, analoghe fra loro, ma che non si possono confondere col nostro z, o t, o s, e si pronunziano con una conformazione di organi appropriata loro. E si troverà più differenza tra questa conformazione di organi, e quella che si richiede per la pronunzia del nostro z, o t, o s, di quella che si possa trovare fra la conformazione di organi nella pronunzia del d, e l'altra nella pronunzia del t: le quali però nessuno dubita  712 che non sieno lettere diverse, benchè la lingua e i denti le producano ambedue, con leggerissimo e quasi insensibile divario di collocazione. Così che dalla piccola differenza di collocazione non si può dedurre che due o più lettere sieno le stesse, perchè basta un nulla a diversificarle, come se ne potrebbero addurre altri esempi. Del resto dico lo stesso del thau ebraico, e del th inglese. (3. Marzo 1821.).

[1014,3]  L'u francese, del quale ho discorso in altro pensiero pp. 54-55, potè essere introdotto in Francia mediante le Colonie greche, come Marsiglia ec.

[1338,3]  Gli Ebrei pongono o suppongono uno sceva semplice (cioè una e muta che non fa sillaba) espresso o sottinteso sotto, cioè dopo, tutte le consonanti che non hanno altra vocale, {sia nel principio, nel mezzo o nel fine delle voci.} Ragionevolmente perchè i nostri organi cadono naturalmente in una leggerissima e, non solo pronunziando una consonante isolata, o una parola terminata per consonante, e non seguita  1339 subito da parola cominciante per vocale, ec. ma anche nel pronunziare due o più consonanti di seguito in una stessa parola, come travaglio ec. quella o quelle consonanti che non hanno altra vocale, s'appoggiano insensibilmente in una e tenuissima; e non possono mai nudamente e puramente addossarsi alla consonante che segue. Eccetto quando quelle due o più consonanti fanno un tal suono che benchè rappresentato con più caratteri, è però effettivamente uno solo, ed equivale ad una sola lettera; {+(lettera non rappresentata nell'alfabeto distintamente; e ve ne sono parecchie; del che v. gli altri pensieri sulla ricchezza dell'alfabeto naturale pronunziato)} come le consonanti doppie (tutto), come nella suddetta voce travaglio, le consonanti g ed l ec. Non così nell'x benchè rappresentato con un solo carattere. ec. (17. Luglio 1821.).

[1342,1]  Il nostro gli, il nostro gn, e simili suoni, sono distinti da tutti gli altri, e volendo esattamente rappresentarli converrebbe farlo con caratteri particolari e distinti. Giacchè il gli, benchè partecipi del suono di g e di l, ne partecipa come  1343 suono affine, alla maniera di tanti altri, che pur si distinguono da' loro affini, con caratteri propri; ma in realtà non è nè g, nè l, e non contiene precisamente nessuno dei due, ed è una consonante distinta, ed unica, quando anche si voglia chiamare composta, come la z. {+La quale sarebbe male espressa con ts o ds ec. Così la f è differente dal p, quantunque sia composta di questo suono, e di un'aspirazione o soffio, e i greci anticamente l'esprimessero col carattere del p, e con quello dell'aspirazione, cioè H.} Quel suono che contiene veramente il g e la l, è quello della nostra parola Inglese, o del francese aigle, anzi generalmente del francese gl, ben diverso dal nostro gli. Tuttavia si può lodare, l'avere {(per maggior semplicità dell'alfabeto)} rappresentato questo suono, co' due caratteri, del suono de' quali partecipa; il che dimostra la sottigliezza con cui s'è analizzata la voce articolata, fino a decomporre parecchi suoni che non equivalgono precisamente a verun altro. Questa lode però spetta particolarmente alla lingua italiana, giacchè i francesi esprimono il detto suono con due ll, e così gli spagnuoli. Carattere insufficiente, e male appropriato, e che dimostra minor sottigliezza di analisi. {+V. p. 1345. capoverso 2.[1346,2]} Nel qual proposito mi piace di riferire quello che dice M. Beauzée (Encycl. méthod. in H.), parlando di un altro carattere, cioè dell'h. Il semble qu'il auroit été plus raisonnable de supprimer de *  1344 notre orthographe tout caractere muet; et celle des Italiens doit par-là même arriver plutôt que la nôtre à son point de perfection, parce qu'ils ont la liberté de supprimer les H muetes. * La mia osservazione ancora può molto servire a mostrare quanto la scrittura materiale italiana {e il suo sistema} sia più filosofico, e al tempo stesso più naturale che forse qualunque altro. Puoi vedere la p. 1339. (17.[18] Luglio 1821.) {+Il gl, il gn ec. hanno parte di g e parte di l, {ec.} ma non contengono queste due lettere intere, e non sono nè l'una nè l'altra. Sono dunque vere lettere proprie, e non doppie, perchè non è doppio quello che ha due metà. Così dico della z. Non così l'x, che contiene due lettere intere, e non è che una cifra, ossia un carattere (e non lettera) doppio.}

[1346,3]  Dalle lettere consonanti che cadono necessariamente in e, bisogna eccettuare il nostro c e g chiuso, e il ch degli spagnuoli, le quali  1347 lettere non si possono pronunziare se non cogli organi, vale a dire la lingua, il palato, e i denti così serrati, che il suono, anche nel mezzo della parola e in qualunque luogo, esce inevitabilmente in un i, quanto si voglia tenue, e ciò perchè l'i è la vocale più esile e stretta. {+Esce dico in un i ma poi termina veramente in un e (quasi ie), qualunque volta le dette lettere, e i suoni loro analoghi si pronunzino isolati, o nel fine di una parola, o insomma senz'altro appoggio di vocale.} Così accade anche ai suoni che partecipano dei sopraddetti, come gli (che noi non iscriviamo mai senza l'i, o lo pronunziamo in altro modo) e gn. {+V. p. 1363.} Del resto il nostro c e g chiusi, noi li poniamo anche avanti alla e, quantunque questa insieme coll'i sia la sola vocale a cui la preponiamo. Ciò per altro nella scrittura. Ma la pronunzia frappone sempre un i anche al c ed e, ec.; e così solevano fare i nostri antichi anche nella scrittura di quelle voci, dalle quali una poco analitica ortografia ha escluso l'i. (19. Luglio 1821.).

[1816,1]   1816 Il nostro gl non si pronunzia schiacciato se non seguito dall'i, onde si pronunzia sciolto in Anglante, Egle, globo, glutine. Nella parola Anglico, o Anglicano si pronunzia sciolto, sebbene seguito dall'i. (1. Ott. 1821.)

[2740,1]  Per esempio d'uno dei tanti modi in cui gli alfabeti, ch'io dico esser derivati tutti o quasi tutti da un solo, si moltiplicarono e diversificarono dall'alfabeto originale, secondo le lingue a cui furono applicati, può servire il seguente. Nell'alfabeto fenicio, ebraico, samaritano ec. dal quale provenne l'alfabeto greco, non si trova il ψ, carattere inutile perchè rappresenta due lettere; inventato, secondo Plinio, da Simonide; proccurato vanamente dall'Imperatore Claudio d'introdurre nell'alfabeto latino, che parimente ne manca, sebbene derivi dall'origine stessa che il greco; e in luogo del quale si trovano negli antichi monumenti greci i due caratteri π σ. {+(Secondo i grammatici il ψ vale ancora βσ e ϕσ; ma essi lo deducono dalle inflessioni ec. come ἄραψ ἄραβος, ἄραβες ἄραψι ec. Non so nè credo che rechino alcun'antica inscrizione ec.) V. p. 3080.} Ora ecco come dev'esser nato questo carattere che distingue l'alfabeto greco dal fenicio. Nella lingua greca,  2741 per proprietà sua, è frequentissimo questo suono di ps: ed ogni lingua ha di questi suoni che in lei sono più frequenti e cari che nelle altre. Gli scrivani adunque obbligati ad esprimerlo bene spesso, incominciarono per fretta ad intrecciare insieme quei due caratteri π σ ogni volta che occorreva loro di scriverli congiuntamente. Da quest'uso, nato dalla fretta, nacque una specie di nesso che rappresentava i due sopraddetti caratteri; e questo nesso che da principio dovette conservare parte della forma d'ambedue i caratteri che lo componevano, adottato generalmente per la comodità che portava seco, e per la brevità dello scrivere, appoco appoco venne in tanto uso che occorrendo di scrivere congiuntamente il π e il σ, non si adoperava più se non quel nesso, che finalmente per questo modo venne a fare un carattere proprio, e distinto dagli altri  2742 caratteri dell'alfabeto, destinato ad esprimere in qualunque caso quel tal suono: ma destinato a ciò non primitivamente, nè nella prima invenzione o adozione dell'alfabeto greco, e nella prima enumerazione de' suoni elementari di quella lingua o della favella in genere; ma per comodità di quelli che già si servivano da gran tempo del detto alfabeto. Di modo che si può dire che questo carattere non sia figlio del suono ch'esso esprime, come lo sono quelli ch'esprimono i suoni elementari, ma figlio di due caratteri preesistenti nell'alfabeto greco, e quindi quasi nepote del suono che per lui è rappresentato. La grammatica e le regole dell'ortografia ec. non esistevano ancora. Venute poi queste, e prendendo prima di tutto ad esaminare e stabilire l'alfabeto nazionale, trovato questo nesso già padrone dell'uso comune, e sottentrato in luogo di carattere distinto {e} non doppio  2743 ma unico, lo considerarono come tale, gli diedero un posto proprio nell'alfabeto greco tra i caratteri elementari, e fissarono per regola che quel tal suono ps si esprimesse, come già da tutti si esprimeva, col ψ, e non altrimenti. Ed eccovi questo nesso, introdotto a principio dagli scrivani per fretta e per comodo; non riconoscendosi più la sua origine, o anco riconoscendosi, ci viene nelle grammatiche antiche e moderne come un carattere proprio dei greci, e come uno degli elementi del loro alfabeto. Lo stesso accadde allo ξ, che non è fenicio, introdotto come nesso per rappresentare due caratteri, cioè γσ, o κσ, {+o χσ}: e ciò per essere questi suoni, frequentissimi nella lingua greca, siccome anche nella lingua latina, nel cui alfabeto pertanto ha pure avuto luogo questo medesimo nesso, considerato come carattere. In luogo del quale gli antichi greci scrivevano γσ, o κσ. Lo stesso dicasi  2744 del ϕ, carattere (originariamente nesso) che non si trova nell'alfabeto fenicio (perciocchè il ‎‏ף‏‎ {+o ‎‏פ‏‎} è veramente il Π, {+lat. P, giacchè l'Ϝ è il digamma eolico)}, e che fu introdotto in vece del ΠH che si trova negli antichi monumenti greci, dove pur si trova il KH in vece del X, carattere non fenicio. Questi due suoni composti, anzi doppi, ph e ch, frequentissimi nella lingua greca, non si udivano nella latina. Dunque l'alfabeto latino non ebbe questi due segni. I tre caratteri ξ, ϕ, χ s'attribuiscono presso Plinio (7. 56.) a Palamede, aggiunti da lui all'alfabeto Cadmeo o Fenicio. Lo stesso dite dell'ω, che s'attribuisce presso il medesimo a Simonide ec.