[1226,1] Con ciò non vengo mica a dire ch'ella debba, anzi
{pur} possa adoperare, e molto meno profondere
siffatte voci nella bella letteratura e massime nella poesia. Non v'è bontà dove
non è convenienza. Alle scienze son buone e convengono le voci precise, alla
bella letteratura le proprie. Ho già distinto in altro luogo pp. 109-11
p. 808
pp. 951-52 le parole dai termini, e mostrata la differenza che è
dalla proprietà delle voci alla nudità e precisione. {+È proprio ufficio de' poeti e degli scrittori ameni il
coprire quanto si possa le nudità delle cose, come è ufficio degli
scienziati e de' filosofi il rivelarla. Quindi le parole precise convengono
a questi, e sconvengono per lo più a quelli; a dirittura l'uno a l'altro.
Allo scienziato le parole più convenienti sono le più precise, ed esprimenti
un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più
vaghe, ed esprimenti idee più incerte, o un maggior numero d'idee ec. Queste
almeno gli denno esser le più care, e quelle altre che sono l'estremo
opposto, le più odiose. V. p. 1234.
capoverso 1. e p. 1312.
capoverso 2.} Ho detto p. 110 e ripeto che
i termini in letteratura e massime in poesia faranno sempre pessimo e
bruttissimo effetto. Qui peccano {assai} gli stranieri,
e non dobbiamo imitarli. Ho detto che la lingua francese (e intendo quella della
letteratura e della poesia) si corrompe per la profusione de' termini, ossia
delle voci di nudo e secco significato, perch'ella si compone oramai tutta
quanta di termini, abbandonando e dimenticando le parole: che noi non dobbiamo
mai nè
1227 dimenticare nè perdere {nè dismettere,} perchè perderemmo la letteratura e la poesia,
riducendo tutti i generi di scrivere al genere matematico. Le dette voci ch'io
raccomando alla lingua italiana, sono ottime e necessarie, non sono ignobili, ma
non sono eleganti. La bella letteratura {+alla quale è debito quello che si chiama eleganza,} non le deve
adoperare, se non come voci aliene, e come si adoprano talvolta le voci
forestiere, notando ch'elle son tali, e come gli ottimi latini scrivevano alcune
voci in greco, così per incidenza. I diversi stili domandano diverse parole, e
come quello ch'è nobile per la prosa, è ignobile bene spesso per la poesia, così
quello ch'è nobile ed ottimo per un genere di prosa, è ignobilissimo per un
altro. I latini ai quali in prosa non era punto ignobile il dire p. e. tribunus militum o plebis, o
centurio, o triumvir ec.
non l'avrebbero mai detto in poesia, perchè queste parole d'un significato
troppo nudo e preciso, non convengono al verso, benchè gli convengano le parole
proprie, e benchè l'idea rappresentata sia non solo non ignobile, ma anche
nobilissima. I termini della filosofia scolastica, riconosciuti dalla nostra
lingua per purissimi, sarebbero stati barbari nell'antica {nostra} poesia, come nella moderna, ed anche nella prosa elegante,
s'ella gli avesse adoperati come parole sue proprie.
1228 E se Dante le profuse nel suo poema,
e così pur fecero altri poeti, e parecchi scrittori di prosa letteraria in quei
tempi, ciò si condona alla mezza barbarie, o vogliamo dire alla civiltà bambina
di quella letteratura e di que' secoli, ch'erano però purissimi quanto alla
lingua. Ma altro è la purità, altro l'eleganza di una voce, e la sua
convenienza, bellezza, e nobiltà, rispettiva alle diverse materie, o anche solo
ai diversi stili: giacchè anche volendo trattar materie filosofiche in uno stile
elegante, e in una bella prosa, ci converrebbe fuggir tali termini, perchè
allora la natura dello stile domanda più l'eleganza e bellezza che la
precisione, e questa va posposta. {+(Del
resto in tal caso, la filosofia è l'uno de' principali pregi della
letteratura e poesia, sì antica che moderna, atteso però quello che ho detto
p. 1313. la quale
vedi.)} Io dico che l'italia dee riconoscere i
detti termini ec. per puri, cioè propri della sua lingua, come delle altre, ma
non già per eleganti. La bella letteratura, e massime la poesia, non hanno che
fare colla filosofia sottile, severa ed accurata; avendo per oggetto in bello,
ch'è quanto dire il falso, perchè il vero (così volendo il tristo fato
dell'uomo) non fu mai bello. Ora oggetto della filosofia qualunque, come di
tutte le scienze, è il vero: e perciò dove regna la filosofia, quivi non è vera
poesia. La qual cosa
1229 molti famosi stranieri o non
la vedono, o adoprano (o si conducono) in modo come non la vedessero o non
volessero vederla. E forse anche così porta la loro natura fatta piuttosto alle
scienze che alle arti ec. Ma la poesia quanto è più filosofica, tanto meno è
poesia. (26. Giugno 1821.). {{V. p. 1231.}}