(a) Pensieri isolati satirici.
Isolated satirical thoughts.
106,1 307,1 334,1 352,2 364,2 1075,2 1085,1 1362,2 1537,1 1583,2 1607,1 1926,2 2396,2 2481,1 2611,1 2653,3 3000,1 3891,1 3990,2 4023,1 4044,8 4062,1 4068,9 4075,34075,2 4090,2 4070,1 4095,2.3 4102,3[106,1] Quando io era fanciullo, diceva talvolta a qualcuno
de' miei fratellini, tu mi farai da cavallo. E legatolo a una cordicella, lo
venia conducendo come per la briglia e toccandolo con una frusta. E quelli mi
lasciavano fare con diletto, e non per questo erano altro che miei fratelli. Io
mi ricordo spesso di questo fatto, quando io vedo un uomo (sovente di nessun
pregio) servito riverentemente da questo e da quello in cento minuzie, ch'egli
potrebbe farsi da se, o fare ugualmente a quelli che lo servono, e forse n'hanno
più bisogno di lui, che alle volte sarà più sano e gagliardo di quanti ha
dintorno. E dico fra me, nè i miei fratelli erano cavalli, ma uomini quanto me,
e questi servitori sono uomini quanto il padrone {e simili a
lui in ogni cosa;} e tuttavia quelli si lasciavano guidare {benchè fossero tanto cavalli quant'era io,} e questi si
lasciano comandare; e tra questi e quelli non vedo nessun divario. (26.
Marzo 1820.)
[307,1] È un curioso andamento degli studi umani, che i geni
più sublimi liberi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e
universale, diventino classici, cioè i
loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano de'
fanciulli, come i trattati più secchi e regolari delle cognizioni esatte.
[334,1]
334 Non c'è uomo costituito in carica o dignità, il
quale confessi di averla cercata, e non dica o voglia fare intendere d'esserne
stato rivestito spontaneamente, anzi contro sua voglia ec. Gl'incarichi, le
dignità, gli onori, ciascuno li cerca, e nessuno gli ha cercati.
[352,2] Nominando i nostri antenati, sogliamo dire, i buoni
antichi, i nostri buoni antichi. Tutto il mondo ha opinione che gli antichi
fossero migliori di noi, tanto i vecchi che perciò gli lodano, quanto i giovani
che perciò li disprezzano. Il certo
353 è che il mondo
in questo non s'inganna: il certo è che, senza però pensarvi, egli riconosce e
confessa tutto giorno il suo deterioramento. E ciò non solamente con questa
frase, ma in cento altri modi; e tuttavia neppur gli viene in pensiero di
tornare indietro, anzi non crede onorevole se non l'andare sempre più avanti, e
per una delle solite contraddizioni, si persuade e tiene per indubitato, che
avanzando migliorerà, e non potrà migliorare se non avanzando; e stimerebbe di
esser perduto retrocedendo.
[364,2] Quegli stessi che credono grave, o maggiore che non è,
ogni leggera malattia che loro sopravviene, caduti in qualche malattia grave o
mortale, la credono leggera, o minore che non è. E la cagione d'ambedue le cose
è la codardia che gli sforza a temere dove non è timore, e a sperare dove non è
speranza.
[1075,2] Quelli che non sogliono mai far nulla, e che per
conseguenza hanno più tempo libero, e da potere impiegare, sono {ordinariamente} i più difficili a trovare il tempo per
una
1076 occupazione, ancorchè di loro premura, a
ricordarsi di una cosa che bisogni fare, di una commissione che loro sia stata
data, e che anche prema loro di eseguire. Al contrario quelli che hanno la
giornata piena, e quindi meno tempo libero, e più cose da ricordarsi. La cagione
è chiara, cioè l'abito di negligenza nei primi, e di diligenza nei secondi
(22. Maggio 1821.). {+E
lo stesso differente effetto si vede anche in una stessa persona, secondo i
diversi abiti e metodi temporanei di attività e diligenza, o inattività e
negligenza.}
[1085,1] Parecchi filosofi hanno acquistato l'
1086 abito di guardare come dall'alto il mondo, e le
cose altrui, ma pochissimi quello di guardare effettivamente e perpetuamente
dall'alto le cose proprie. Nel che si può dire che sia riposta la sommità
pratica, e l'ultimo frutto della sapienza. (25. Maggio 1821.).
[1362,2] Mess. ...ad uno che gli esponeva la sua passione per
una donna, Ma ella, disse, è tua rivale. Soleva dire che tutte le
donne sono ardentissime rivali de' loro amanti. (21. Luglio
1821.).
[1537,1] Gli odori sono quasi un'immagine de' piaceri umani.
Un'[un] odore assai grato lascia sempre un
certo desiderio forse maggiore che qualunqu'altra sensazione. Voglio dire che
l'odorato non resta mai soddisfatto neppur mediocremente: e bene spesso ci
accade di fiutar con forza, quasi per appagarci, e per render completo il
piacere senza potervi riuscire. Essi sono anche un'immagine delle speranze.
Quelle cose molto odorifere che son buone anche a mangiare, per lo più vincono
coll'odore il sapore, e questo non corrisponde mai all'aspettativa di quel
gusto, che dall'odore se n'era conceputa. E se voi osserverete vedrete che
odorando queste tali cose, vi viene quel desiderio che tante volte ci avviene
nella vita, d'immedesimarci in certo modo con quel piacere, il che ci spinge a
porcelo in bocca: e fattolo restiamo mal paghi. Nè solo nelle cose buone a
mangiare, ma anche negli altri odori ci sopravviene lo stesso desiderio; e
1538 fiutando p. e. con gran diletto un'acqua
odorifera, e non potendoci mai appagare di quella sensazione, ci vien voglia di
berla. (21. Agos. 1821.).
[1583,2] Moltissimi piaceri non son {quasi
piaceri,} se non a causa della speranza e intenzione che si ha di
raccontarli. Tolta questa vi troveremmo un gran vuoto. Questa rende piacevoli le
cose che non lo sono, anche le dispiacevoli ec. ec. {+Questi effetti però ponno riferirsi all'ambizione, al
desiderio di parere interessante, ec. non a quello di comunicare e dividere
le proprie sensazioni.}
1584
(29. Agos. 1821.).
[1607,1] I moti e gli atti degli uomini (e de' viventi in
proporzione delle rispettive qualità) sono naturalmente vivissimi, specialmente
nella passione. La civiltà gli raddolcisce, gli modera, e va tanto innanzi che
oramai gran parte del bel trattare consiste nel non muoversi, siccome nel
parlare a voce bassa ec. e l'uomo appassionato quasi non {si} distingue dall'indifferente per verun segno esterno. L'individuo
civilizzato copia in se stesso lo stato a cui la società è ridotta
dall'incivilimento {+come una
camera oscura ricopia un[in]
piccolissimo una vasta prospettiva.} Non più moto nè in
questa nè in
1608 quello. Questa corrispondenza non è
nè casuale nè frivola. E ben importante l'osservare come i menomi effetti
derivino dalle grandi cagioni, come armonizzino insieme le cose grandi e le
piccole, come la natura del secolo influisca sulle menome parti de' costumi,
come dalle piccolissime e giornaliere osservazioni si possa rimontare alle
grandissime e generali. L'animo e il corpo dell'uomo civile si rende appoco
appoco immobile in ragione de' progressi della civiltà: e si va quasi
distruggendo (gran perfezionamento dell'uomo!) la principal distinzione che la
natura ha posto fra le cose animate e inanimate, fra la vita e la morte, cioè la
facoltà del movimento. (2 Sett. 1821.).
[1926,2] È cosa tuttogiorno osservabile come sieno difficili
ad estirpare le opinioni e i costumi popolari, {+(anche i più falsi, dannosi, vergognosi, derivanti da' più sciocchi
pregiudizii ec.)} come lunghissimi secoli dopo che n'è
mancata, per così dire, o la ragione, o l'utilità ec. esse tuttavia durino, o se
ne trovino notabili vestigi ec. Eppur la moda cambia le usanze del vestire, e di
tutto ciò a
1927 cui essa appartiene, {+ancorchè
ottime, utilissime, convenientissime al tempo ec.} e le cambia in un
punto, e universalmente, e in modo che brevemente si perde ogni vestigio della
usanza passata. Questo principalmente fra i popoli colti, i quali però non sono
quasi meno restii degli altri nel disfarsi di tutto ciò che non è soggetto
all'imperio della moda, per cattivo, falso, inutile, dannoso, brutto che possa
essere. (16. Ott. 1821.).
[2396,2] Domandato se credesse che la morte d'alcuno fosse
stata pianta da vero, affermò, portando per esempio quella di Bartolommeo
Cacciavolpe, ch'era vissuto
2397 di beni
d'usufrutto, e di pensioni (assegnamenti) a vita, e morto pieno di debiti.
(25. Marzo dì dell'Annunziata. 1822.).
[2481,1]
2481 N. N. diceva che gli ossequi ec. e i servigi
interessati rade volte conseguiscono l'intento loro perchè gli uomini sono
facili a ricevere e difficili a rendere. (tutti ricevono volentieri, e rendono
mal volentieri e poco.) Ma eccettuava da questo numero quelli che i giovani
prestano talvolta alle vecchie ricche o potenti. E soggiungeva che non v'ha
lusinghe, ossequi o servigi meglio collocati di questi, nè che più facilmente e
più spesso ottengano il loro fine. (17. Giugno. 1822.).
[2611,1]
2611 Nessuna cosa è vergognosa per l'uomo di spirito nè
capace di farlo vergognare, e provare il dispiacevole sentimento di questa
passione, se non solamente il vergognarsi e l'arrossire. (22. Agosto.
1822.).
[2653,3] Il vero certamente non è bello: ma pur anch'esso
appaga o, se non altro, affetta in qualche modo l'anima, ed esiste senza dubbio
il piacere della verità e della conoscenza del vero, arrivando al quale, l'uomo
pur si diletta e compiace, ancorchè brutto e misero e terribile sia questo tal
vero. Ma la peggior cosa del mondo, e la maggiore infelicità dell'uomo si è
trovarsi privo del bello e del vero, trattare, convivere con ciò che non è nè
bello nè vero. Tale si è la sorte di chi vive nelle città grandi, dove tutto è
falso, e questo falso non è bello,
2654 anzi
bruttissimo. (Roma 13. Dic. 1822.).
[3000,1]
3000 Delle cose veramente ridicole nella società o
negl'individui è ben raro trovar chi ne rida. E s'alcuno ne ride, difficilmente
trova il compagno che l'aiuti a farlo, e che gli dia ragione, o che pur senta la
causa del suo riso. Gli uomini per lo più ridono di cose che in effetto son
tutt'altro che ridicole, e spesso ne ridono per questo appunto che non sono
ridicole. E tanto più ne ridono quanto meno elle son tali. (21. Luglio.
1823.).
[3891,1]
3891 Quelli che ci dicono che le cose di questa vita,
la gloria, le ricchezze e l'altre illusioni umane, beni o mali ec. nulla
importano, convien che ci mostrino delle altre cose le quali importino
veramente. Finchè non faranno questo, noi, malgrado i loro argomenti, e la
nostra esperienza, ci attaccheremo sempre alle cose che non importano, perciò
appunto che nulla importa, e quindi nulla è che meriti più di loro il nostro
attaccamento e sia più degno di occuparci. E così facendo, avrem sempre ragione,
anche, anzi appunto, parlando filosoficamente. (18. Nov.
1823.).
[3990,2] Tutto è follia in questo mondo fuorchè il
folleggiare. Tutto è degno di riso fuorchè il ridersi di tutto. Tutto è vanità
fuorchè le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze. (17. Dec.
1823.).
[4023,1]
4023 Diceva il tale che da giovanetto quando da
principio entrò nel mondo aveva proposto di non mai adulare, ma che presto se
n'era rimosso, perchè essendo stato più tempo senza lodar mai nessuna persona e
nessuna cosa, e vedendo che non troverebbe nulla a lodare se voleva durare nel
suo proposito, temette disimparare {per difetto
d'esercizio} quella parte della rettorica che tratta
dell'encomiastica, la qual cosa, come fresco ch'egli era allora di studi, gli
era a cuore che non succedesse, premendogli di conservarsi coll'esercizio le
cose che aveva recentemente imparate. (27. Gen. 1824.).
[4044,8] In tutta l'europa (massime in
italia, dove tutti gli assurdi e gl'inconvenienti
sociali sono maggiori che altrove) non reca infamia l'essere
4045 o essere stato vizioso, nè l'aver commesso delitti (massime
trattandosi di alcuni tali vizi e delitti, certi dei quali, anche atroci, fanno
piuttosto onore, stima, e rispetto, che altro); ma bensì l'essere o l'essere
stato punito di qualsivoglia vizio o misfatto, anzi pure della virtù o di azioni
virtuose e degne di lode e di premio. {Certo la punizione porta seco più infamia che
la colpa.} Negli Stati Uniti d'America l'opinione pubblica non attacca veruna infamia alla
punizione, e il colpevole che è stato punito e rientra nella società, v'è tanto
più esente da obbrobrio che l'impunito che in essa si aggira, quanto che 1. si
considera ch'egli ha espiato colla pena subita il suo fallo, e riparato e data
soddisfazione del torto fatto alla società, e pagato il debito contratto seco
lei: 2. si giudica, come in fatti ordinariamente succede, che la pena, la quale
colà si considera e si chiama penitenza (le prigioni si chiamano case di
penitenza), e le cure che nel tempo di essa espressamente si usano per curare
con rimedi sì fisici che morali il morale del colpevole, abbiano corretto e
riformato il suo carattere, i suoi costumi, le sue inclinazioni, i suoi
principii, e ridottolo alla buona strada, con che e di diritto e di fatto e di
opinione egli torna intieramente a paro e a livello degli altri cittadini o
forestieri. Vedi il racconto sulle
prigioni di Nuova York nell'Antologia di
Firenze num. 37. Gen. 1824. e in
particolare la pag. 54. (11. Marzo. 1824.)
[4062,1]
4062 Chiunque gode molta fama e la merita, è stimato
più dagli altri che da se stesso. E così tutti quei che già furono, e lasciarono
{degnamente} agli uomini la lor gloria, sono più
stimati che essi non si stimarono. (7. Apr. 1824.).
[4068,9] Le persone avvezze a versarsi sempre al di fuori,
esclamano naturalmente anche quando sono solissime, se una mosca le punge, o si
versa loro un vaso o si spezza; quelle assuefatte a convivere con se medesime, e
ritenersi tutte al di dentro, anche in grande
4069
compagnia, se si sentono cogliere da un accidente non aprono bocca per
lamentarsi o chiedere aiuto. (17. Aprile. Sabato Santo. 1824.).
[4075,2] + [p. 4074,1]
Massimamente poi quando da una parte colla civilizzazione è accresciuta la vita
interna, la finezza delle facoltà {dell'anima} e del
sentimento, e quindi l'amor proprio e il desiderio della felicità, da altra
parte moltiplicata l'impossibilità di conseguirla, i mali fisici e morali, e
finalmente diminuita l'occupazione, l'azione fisica, la distrazione viva e
continua. (20. Apr. 1824.).
[4090,2] Si riprende l'uomo che non sia mai contento del suo
stato. Ma in vero questo non è che la sua natura sia incontentabile, ma incapace
di esser felice. Se fossero veramente felici, il povero, il ricco, il Re, il
suddito si contenterebbero egualmente del loro stato, e l'uomo sarebbe contento
come possa essere qualunque altra creatura, perch'egli è altrettanto
contentabile. (20. Maggio. 1824.).
[4070,1] Gli uomini governati in pubblico o in privato da
altri, e tanto più quanto il governo è più stretto, {(i
fanciulli, i giovani ec.)} accusano sempre, o tendono naturalmente ad
accusare de' loro mali o della mancanza de' beni, delle noie e scontentezze
loro, quelli che li governano, anche in quelle cose nelle quali è evidentissima
l'innocenza di questi, e la impossibilità o d'impedire o rimediare a quei mali o
di proccurar quei beni, e la totale indipendenza e irrelazione di queste cose
con loro. La cagione è che l'uomo essendo sempre infelice, naturalmente tende ad
incolparne altresì sempre non la natura delle cose e degli uomini, molto meno ad
astenersi dall'incolpare alcuno, ma ad incolpar sempre qualche persona o cosa
particolare in cui possa sfogar l'amarezza che gli cagionano i suoi mali, e che
egli possa per cagione di questi fare oggetto e di odio e di querele, le quali
sarebbero assai men dolci di quello che sono a chi soffre se non cadessero
contro alcuno riputato in colpa del suo soffrire. Questa naturale tendenza opera
poi che il misero si persuade anche effettivamente di quello che egli immagina,
e quasi desidera che sia vero. Da ciò è nato che egli ha immaginato i nomi e le
persone di fortuna, di fato, incolpati sì lungamente dei mali umani, e sì
sinceramente odiati dagli antichi infelici, e contro i quali anche oggi, in
mancanza d'altri
4071 oggetti, rivolgiamo seriamente
l'odio e le querele delle nostre sventure. Ma molto più dolce fu agli antichi ed
è a' moderni l'incolpare qualche cosa sensibile, e massime qualche altro uomo,
non solo per la maggior verisimiglianza, e quindi facilità di persuaderci della
sua colpa, che è quello che ci bisogna, ma più ancora perchè l'odio e le querele
sono più dolci quando si rivolgono sopra cose presenti che ne possano essere
testimoni, e sottoposte alla vendetta che noi con esso odio vano e con esse vane
querele intendiamo fare di loro. Massimamente poi è dolce l'odio e il lamento
quando è rivolto sui nostri simili, sì per altre cagioni, sì perchè la colpa non
può veramente appartenere se non a esseri intelligenti. Quelli che ci governano
sono {da noi facilmente} scelti a far questa persona di
rei de' nostri mali, {+che non hanno
altro reo manifesto o accusabile,} e a servir di {soggetto e} scopo della vana vendetta che ci è dolce fare de'
medesimi mali. Essi sono in fatti in tali casi i più adattati, e quelli di cui
ci possiamo dolere esteriormente e interiormente con più di verisimilitudine.
Quindi è che chi governa in pubblico o in privato è sempre oggetto d'odio e di
querele de' governati. Gli uomini sono
sempre scontenti perchè sono sempre infelici. Perciò sono scontenti del
loro stato, perciò medesimo di chi li governa. (Essi sentono e sanno bene di
essere infelici, di patire, di non godere, e in ciò non s'ingannano. Essi
pensano aver diritto di esser felici, di godere, di non patire, e in ciò ancora
non avrebbero il torto, se non fosse che in fatto questo che essi pretendono è,
non che altro, impossibile.)
4072 E come non si può
fare che gli uomini sieno mai felici, e però nè anche che sieno contenti, così
niun governante nè pubblico nè privato, qualunque amore abbia a' soggetti,
qualunque cura del loro bene, qualunque sollecitudine di scamparli o sollevarli
dai mali, qualunque merito insomma verso di loro, non può mai ragionevolmente
sperare che essi non l'odino e non lo querelino, anche i più savi, perchè è
natura nell'uomo il lagnarsi di qualcuno, quasi altrettanto che l'essere
infelice, e questo qualcuno è per l'ordinario e molto naturalmente quello che li
governa. Però circa il governare non v'ha pur troppo che due partiti veramente
savi, o astenersi dal governo, {+sia
pubblico sia privato,} o amministrarlo totalmente a vantaggio proprio
e non de' governati. (17. Aprile. 1824. Sabato Santo.).
[4102,3] Il tale negava che si potesse amare senza rivale. E
domandato del perchè, rispondeva: perchè sempre l'amato o l'amata è rivale
ardentissimo dell'amante (del proprio amante). (13. Giugno. Domenica della
SS. Trinità. 1824.).
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