8 Nov. 1820.
[306,1]
306
Aristotele, o secondo altri, Diogene, τὸ κάλλος παντὸς ἔλεγεν ἐπιστολίου
συστατικώτερον
*
(Laerz.
in Aristot. l. 5. seg. 18.)
Teofrasto definiva la bellezza σιοπῶσαν ἀπάτην
*
(ib. 19.) Pur troppo bene: perchè tutto quello che
la bellezza promette, e par che dimostri, virtù, candore di costumi,
sensibilità, grandezza d'animo, è tutto falso. E così la bellezza è una tacita
menzogna. Avverti però che il detto di Teofrasto è più ordinario, perchè ἀπάτη non è propriamente menzogna,
ma inganno, frode, seduzione, ed è relativo all'effetto che la bellezza fa sopra
altrui, non al mentire assolutamente.
[306,2] Appelliamo tutto giorno ai posteri. Nelle cose dove
alla giustizia, al retto giudizio, alle retribuzioni dovute ec. nuocono i
difetti o vizi de' contemporanei in quanto contemporanei, va bene. Ma in tutto
il resto, in tutto quello che spetta ai vizi degli uomini come uomini, o come
animali depravati, non so quanto ci gioverà quest'appellazione. Se potessimo
appellare ai passati, saremmo più fortunati, ma il costume del mondo è stato
sempre di peggiorare, e che il futuro fosse peggiore del presente e del passato.
Le generazioni migliori non sono quelle davanti, ma quelle di dietro; e non c'è
speranza che
307 il mondo cambi costume, e rinculi
invece di avanzare; e avanzando già non può far altro che peggiorare. Massime a
questi tempi e costumi presenti, non par che possa succedere nè derivare altro
che tempi e costumi peggiori. Vediamo dunque che cosa ci resti a sperare dalla
posterità. {{V. p. 593. capoverso 1.}}
[307,1] È un curioso andamento degli studi umani, che i geni
più sublimi liberi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e
universale, diventino classici, cioè i
loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano de'
fanciulli, come i trattati più secchi e regolari delle cognizioni esatte.
[307,2]
Omero che scriveva innanzi ad ogni
regola, non si sognava certo d'esser gravido delle regole come Giove di Minerva o di Bacco, nè che la sua irregolarità sarebbe stata misurata, analizzata,
definita, e ridotta in capi ordinati per servir di regola agli altri, e
impedirli di esser liberi, irregolari, grandi, e originali come lui. E si può
ben dire che l'originalità di un grande scrittore, producendo la sua fama,
(giacchè senza quella, sarebbe rimato oscuro, e non avrebbe servito di norma
308 e di modello) impedisce l'originalità de'
successori. Io compatisco tutti, ma in ispecie i poveri gramatici, i quali
dovendo formare la prosodia greca sopra Omero, hanno dovuto popolare il Parnaso greco di eccezioni, di
sillabe comuni ec. o almeno avvertire che molti esempi di Omero ripugnavano ai loro insegnamenti, perchè Omero innocentemente, non sapendo il gran
feto delle regole del quale erano pregni i suoi poemi, adoperava le sillabe a
suo talento, e fino nello stesso piede, adoperava la stessa sillaba una volta
{lunga,} e un'altra breve.
[308,1]
Ἆρες, Ἄρες, βροτολοιγὲ,
μιαιφόνε, τειχεσιβλῆτα.
*
[308,2] Il Parnaso latino creato dopo che gli studi aveano
preso forma regolare, se non intieramente presso i latini (quantunque la vera
creazione del Parnaso latino si possa porre nel secolo di Augusto, perchè i poeti antecedenti erano di pochissimo
conto), certo però presso i greci, dai quali tutta la letteratura latina derivò
immediatamente; non fu soggetto a questa difficoltà. (8 Nov.
1820.). {{Ma la poesia greca ebbe la disgrazia di
trovarsi tutta bella e formata prima della nascita delle regole. Dal che non
solo intorno alla prosodia, ma a tutto il rimanente, si possono
309 osservare quelle conseguenze che sono naturali,
e quelle differenze che ne dovevano nascere, rispetto alla poesia
latina.}}