11. Nov. 1820.
[316,1]
316
Teofrasto notato dagli antichi per
uomo laboriosissimo e infaticabile negli studi, venuto a morte nell'estrema
vecchiezza per l'assiduità dello scrivere, secondo ch'è riferito da Suida, e
interrogato dagli scolari se lasciasse loro nessun precetto o ricordo, rispose,
viaf205787050Nient'altro se
non che l'uomo disprezza molti piaceri a causa della gloria. Ma non così
tosto incomincia a vivere che la morte gli sopravviene. Però l'amor
della gloria è così svantaggioso come checchessia. Vivete felici, e
lasciate gli studi che vogliono gran fatica, o coltivategli a dovere,
che portano gran fama. Se non che la vanità della vita è maggiore
dell'utilità. Per me non è più tempo a deliberare: voi altri considerate
quello che vada fatto. E così dicendo spirò. (Queste sono
le sue proprie parole come le riporta il Laerzio, in Theophrasto l. 5. segm. 41.)
[316,2] Del rimanente mi pare che Teofrasto forse solo fra gli antichi o più di
qualunque altro, amando la gloria e gli studi, sentisse {peraltro} l'infelicità inevitabile della natura umana, l'inutilità
de' travagli, e soprattutto l'impero della fortuna, e la sua preponderanza sopra
la virtù relativamente alla felicità dell'uomo e anche del saggio, al contrario
degli altri filosofi tanto
317 meno profondi, quanto più
superbi, i quali ordinariamente si compiacevano di credere il filosofo felice
per se, e la virtù sola o la sapienza, bastanti per se medesime alla felicità.
Laonde Teofrasto non ebbe giustizia
dagli antichi incapaci di conoscere quella profondità di tristo e doloroso
sentimento che lo faceva parlare. Q1233156Vexatur Theophrastus et libris et scholis omnium philosophorum, quod
in Callisthene suo laudavit illam sententiam:
Vitam regit fortuna non sapientia.
Cic.
Tuscul.
{3. et 5. (vedilo perchè contiene qualche altra
cosa)}
Q1180629Quod maxime efficit Theophrasti de beata vita
liber, in quo multum admodum fortunae datur. Id. de Finibus l. 4. Neanche ha ottenuto
dai moderni quella stima che meritava, essendo smarrite quasi tutte le sue
moltissime opere, nè restando altro che alcune fisiche, eccetto i
caratteri; e io credo di essere il primo a notare che Teofrasto essendo filosofo e maestro di
scuola (e scuola eccessivamente numerosa), anteriore oltracciò ad Epicuro, e certamente non Epicureo nè
per vita nè per massime, si accostò forse più di qualunque altro alla cognizione
di quelle triste verità che solamente gli ultimi secoli hanno veramente distinte
e poste in chiaro, e della falsità di quelle illusioni che solamente a' dì
nostri hanno perduto il loro splendore e vigor naturale. Ma così anche si vede
che Teofrasto conoscendo le illusioni,
non però
318 le fuggiva o le proscriveva come i nostri
pazzi filosofi, ma le cercava e le amava, anzi si faceva biasimare dagli {altri} antichi filosofi, appunto perchè onorava le
illusioni molto più di loro. Q1180721Itaque miror quid in mentem Theophrasto in eo libro quem De
divitiis scripsit: in quo multa pręclare, illud absurde. Est
enim multus in laudanda magnificentia et apparatione popularium munerum,
taliumque sumtuum facultatem, fructum divitiarum putat.
Cic.
de offic.
[318,1] Così si vede che appunto chi conosce e sente più
profondamente e dolorosamente la vanità delle illusioni, le onora e desidera e
predica più di tutti gli altri, come Rousseau, la Staël ec.
[318,2] Che se Teofrasto
{vicino a morte} le abbandonò e quasi le rinegò, come
Bruto, questo stesso è una prova
di quanto le avesse amate perchè non si ripudia quello che non s'è mai amato, nè
si abbandona quello che non s'è mai seguito. Nè si mente senza vantaggio in
punto di morte ec. (11 Nov. 1820.).