Felicità, impossibile, e non esistente nell'universo.
Happiness, impossible and nonexistent in the universe.
4137,1 4169,1 4174,12 4191,5 4228,1Come si concilii nel mio sistema sulla felicità, il lodar la vita, l'attività ec. e dall'altra parte l'insensibilità, il torpore ec. Il mio sistema è favorevole allo spirito di energia e di avanzamento che oggi regna.
How in my system on happiness the praise of life, activity, etc. is reconciled with insensitivity, torpor, etc. My system is favorable to the spirit of energy and progress reigning today.
4185,2[4137,1]
4137
{Alla p. 4134.} Siccome la
felicità non pare possa sussistere se non in esseri senzienti se medesimi, cioè
viventi; e il sentimento di se medesimo non si può concepire senza amor proprio;
e l'amor proprio necessariamente desidera un bene infinito; e questo non pare
possa essere al mondo, resta che non solo gli uomini e gli animali, ma niun
essere vi sia, che possa essere nè sia felice, che la felicità (la quale di
natura sua non potrebb'essere altro che un bene ossia un piacere infinito) sia
di sua natura impossibile, e che l'universo sia di propria natura incapace della
felicità, la quale viene a essere un ente di ragione e una pura immaginazione
degli uomini. E siccome d'altronde l'assenza della felicità negli esseri amanti
se medesimi importa infelicità, segue che la vita, ossia il sentimento di questa
esistenza divisa fra tutti gli esseri dell'universo, sia di natura sua, e per
virtù dell'ordine eterno e del modo di essere delle cose, inseparabile e quasi
tutt'uno colla infelicità e importante infelicità, onde vivente e infelice sieno
quasi sinonimi. (3. Maggio. Festa della Invenzione della Santa Croce.
1825.). {{V. p.
4168.}}
[4169,1] L'uomo (e così gli altri animali) non nasce per
goder della vita, ma solo per perpetuare la vita, per comunicarla ad altri che
gli succedano, per conservarla. Nè esso, nè la vita, nè oggetto alcuno di questo
mondo è propriamente per lui, ma al contrario esso è tutto per la vita. -
Spaventevole, ma vera proposizione e conchiusione di tutta la metafisica.
L'esistenza non è per l'esistente, non ha per suo fine l'esistente, nè il bene
dell'esistente; se anche egli vi prova alcun bene, ciò è un puro caso:
l'esistente è per l'esistenza, tutto per l'esistenza, questa è il suo puro fine
reale. Gli esistenti esistono perchè si esista, l'individuo esistente nasce ed
esiste perchè si continui ad esistere e l'esistenza si conservi in lui e dopo di
lui. Tutto ciò è manifesto dal vedere che il vero e solo fine della natura è la
conservazione delle specie, e non la conservazione nè la felicità
degl'individui; la qual felicità non esiste neppur punto al mondo, nè per
gl'individui nè per la specie. Da ciò necessariamente si dee venire in ultimo
grado alla generale, sommaria, {suprema} e terribile
conclusione detta di sopra. (Bologna 11. Marzo.
1826.).
[4174,2] Tutto è male. Cioè tutto quello che {è,} è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna
cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine
dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale
dell'universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v'è
altro bene che il non essere; non v'ha altro di buono che quel che non è; le
cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il
complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un
bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e
generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa
imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che
esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente
infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente
piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il
tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir
così, del non esistente, del nulla.
[4191,5]
Felicità non è altro che contentezza
del proprio essere e del proprio modo di essere, soddisfazione, amore perfetto
del proprio stato, qualunque del resto esso {stato si}
sia, e fosse pur anco il più spregevole. Ora da questa
4192 sola definizione si può comprendere che la felicità è di sua
natura impossibile in un ente che ami se stesso sopra ogni cosa, quali sono per
natura tutti i viventi, soli capaci {d'altronde} di
felicità. Un amor di se stesso che non può cessare e che non ha limiti, è
incompatibile colla contentezza, colla soddisfazione. Qualunque sia il bene di
cui goda un vivente, egli si desidererà sempre un ben maggiore, perchè il suo
amor proprio non cesserà, e perchè quel bene, {per grande che
sia,} sarà sempre limitato, e il suo amor proprio non può aver limite.
Per amabile che sia il vostro stato, voi amerete voi stesso più che esso stato,
quindi voi desidererete uno stato migliore. Quindi non sarete mai contento, mai
in uno stato di soddisfazione, di perfetto amore del vostro modo di essere, di
perfetta compiacenza di esso. Quindi non sarete mai e non potete esser felice,
(30. Agosto. 1826. Bologna.)
{{nè in questo mondo, nè in un altro.}}
[4228,1]
4228 Molto impropriamente la questione del sommo bene è
stata chiamata la questione dei fini. Il fine dell'uomo è noto e certo a
ciascuno che interroghi se medesimo: un piacere perfetto, non dico in se, e però
non importa se sommo o non sommo, ma perfetto rispetto ad esso uomo; un piacere
che lo contenti del tutto. Questo è il nostro fine, notissimo a tutti, benchè
poi non si possa conoscere di qual natura sia o possa essere questo piacere
perfetto, niuno avendolo sperimentato mai; e per conseguenza che cosa e di qual
natura sia o possa essere la felicità umana. Se la virtù, o la voluttà del
corpo, o altre cose tali, possano proccurare all'uomo il piacere perfetto; o
qual di loro più; o in somma donde possa o debba l'uomo conseguire il piacer
perfetto che egli desidera, e che è il suo fine, questo può ben cadere e cade in
questione; ma tal questione è dei mezzi, non già dei fini. Il fine è certo, il
mezzo s'ignora, e la cagione di questa ignoranza è in pronto. La cagione, dico,
si è che il mezzo o i mezzi di ottener questo fine, che niuno ha mai ottenuto,
non esistono al mondo; che per conseguenza il sommo bene, che ci possa o debba
dare il piacer perfetto che cerchiamo, non si trova, è un'immaginazione, come lo
è questo piacer perfetto esso stesso, quanto alla sua natura; e che infine
l'uomo sa e saprà ben sempre che cosa desiderare, ma non mai che cosa cercare,
cioè che mezzo che cosa possa soddisfare il suo desiderio, dargli il piacer
perfetto, cioè che cosa sia il suo sommo bene, dal quale debba nascere la sua
felicità. (Recanati. 28. Nov. 1826.).
[4185,2] Pare affatto contraddittorio nel mio sistema sopra
la felicità umana, il lodare io sì grandemente l'azione, l'attività,
l'abbondanza della vita, e quindi preferire il costume e lo stato antico al
moderno, e nel tempo stesso considerare come il più felice o il meno infelice di
tutti i modi di vita, quello degli uomini i più stupidi, degli animali meno
animali, ossia più poveri di vita, l'inazione e la infingardaggine dei selvaggi;
insomma esaltare sopra tutti gli stati quello di somma vita, e quello di tanta
morte quanta è compatibile coll'esistenza animale. Ma in vero queste due cose si
accordano molto bene insieme, procedono da uno stesso principio, e ne sono
conseguenze necessarie non meno l'una
4186 che l'altra.
Riconosciuta la impossibilità tanto dell'esser felice, quanto del lasciar mai di
desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza
della vita dell'anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che
l'infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro nè
deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il
suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto
maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è più
sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado
possibile d'infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta
tendenza. Le specie e gl'individui {animali} meno
sensibili, {men vivi} per natura loro, hanno il minor
grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi
di minor vita dell'animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli
stati umani. Tale è quello del primitivo o selvaggio. Ecco perchè io preferisco
lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno
lo sviluppo dell'animo, è impossibile il farlo tornare indietro, impossibile,
tanto negl'individui che nei popoli, l'impedirne il progresso. Gl'individui e le
nazioni d'europa e di una gran parte del mondo, hanno da
tempo incalcolabile l'animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio
e[è] impossibile. Intanto dallo
4187 sviluppo e dalla vita del loro animo, segue {una} maggior sensibilità, quindi un maggior sentimento
della suddetta tendenza, quindi maggiore infelicità. Resta un solo rimedio: La
distrazione. Questa consiste nella maggior somma possibile di attività, di
azione, che occupi e riempia le sviluppate facoltà e la vita dell'animo. Per tal
modo il sentimento della detta tendenza sarà o interrotto, o quasi oscurato,
confuso, coperta e soffocata la sua voce, ecclissato. Il rimedio è ben lungi
dall'equivalere allo stato primitivo, ma i suoi effetti sono il meglio che
resti, lo stato che esso produce è il miglior possibile, da che l'uomo è
incivilito. - Questo delle nazioni. Degl'individui similmente. P. e. il più
felice italiano è quello che per natura {e per abito} è
più stupido, meno sensibile, di animo più morto. Ma un italiano che o per natura
o per abito abbia l'animo vivo, non può in modo alcuno acquistare o ricuperare
la insensibilità. Per tanto io lo consiglio di occupare quanto può più la sua
sensibilità. - Da questo discorso segue che il mio sistema, in vece di esser
contrario all'attività, allo spirito di energia che ora domina una gran parte di
europa, {+agli
sforzi diretti a far progredire la civilizzazione in modo da render le
nazioni e gli uomini {sempre} più attivi e più
occupati,} gli è anzi direttamente e fondamentalmente favorevole
(quanto al principio, dico, di attività {+e quanto alla civilizzazione considerata come aumentatrice di occupazione,
di movimento, di vita reale, di azione, e somministratrice dei mezzi
analoghi}), non ostante e nel tempo stesso che esso sistema considera
lo stato selvaggio, l'animo il meno sviluppato, il meno sensibile, il meno
attivo, come la miglior condizione possibile
4188 per
la felicità umana. (Bologna 13. Luglio
1826.).
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