[2313,1] Il grande intreccio in un'azione drammatica, la
complicazione dei nodi ec. distoglie affatto l'animo dell'uditore o lettore
dalla considerazione della naturalezza, verità, forza della imitazione, del
dialogo, delle passioni ec. e di tutte quelle bellezze di dettaglio nelle quali
principalmente consiste il pregio d'ogni genere di poesia. Anzi per l'ordinario
dispensa l'autore da queste bellezze, lo dispensa dall'osservanza, e
dall'efficace e viva ἐκτύπωσις dei caratteri ec. In questo modo l'unico
2314 o certo il principale effetto ed affetto ed
interesse che i drammi di grande intreccio producono, si è la curiosità; e
questa sola spinge l'uditore a interessarsi e fare attenzione a ciò che si
rappresenta, questa sola trova pascolo, e questa sola è soddisfatta nello
scioglimento. Nessun'altra passione o interesse è prodotta in lui da tali
drammi, per caldi e passionati che l'autore abbia inteso di farli. Or questo è
del tutto alieno dall'essenza della drammatica: esso appartiene all'essenza del
racconto: la drammatica essendo una rappresentazion viva e quasi vera delle cose
umane, deve destar ben altro interesse che quello della curiosità, come può fare
la storia: in questo caso, l'azione drammatica viene ad esser come quella di una
novella, il dramma produce lo stesso effetto di una novella, ed è indifferente
per l'uditore o lettore che quell'azione accada sotto gli occhi suoi, o gli
venga fatta sapere per mezzo di parlate, ovvero che se gli racconti
semplicemente il caso come in un romanzo, o in una storia curiosa e complicata.
2315 Quindi la necessità e il pregio degl'intrecci
semplici in ogni genere di drammi, ma proporzionatamente più in quelli dove
l'interesse della passione, e la commozione dell'uditore dev'esser più viva,
come nella tragedia: a cui la semplicità dell'azione è più necessaria che alla
commedia. A questa poi ancora è proporzionatamente necessaria per il pieno
sviluppo, e la perfetta pittura dei caratteri, e lo spicco dei medesimi, i quali
si perdono affatto (per vivi e ben imitati che sieno) quando la curiosità
dell'intreccio assorbe tutto l'interesse e l'attenzione dell'uditore. In somma
l'uditore non deve tanto interessarsi del successo, e anelare allo scioglimento
del nodo, ch'egli perda l'interesse e la commozione ec. successiva, e continua,
ed applicata individualmente a ciascuna parte del dramma, e a tutto il processo
dell'azione ugualmente. (31. Dic. 1821.). {{V. p.
2326.}}
[3162,1] Venendo oramai a ristringere il mio discorso, dico
che l'iliade, benchè, oltre al non esser noi greci, sieno corsi
da ch'ella fu scritta o cantata, ben ventisette secoli, con tutte quelle
innumerabili e sostanzialissime diversità che sì lungo tratto di tempo ha
portato allo spirito ed alle circostanze esteriori
3163
e interiori dell'uomo e delle nazioni, c'interessa senz'alcun paragone più che
l'Eneide scritta in tempi tanto posteriori,
e più conformi ai nostri, ed aiutata {pur} grandemente
come ho detto, dall'interesse medesimo della iliade; più che la
Gerusalemme, più che altri tali poemi, i quali, massimamente
rispetto all'iliade, si possono dir nati l'altro ieri. Dico
c'interessa estremamente di più, intendendo dell'interesse totale e finale, e
risultante da tutto il poema, e diffuso e serpeggiante per tutto il corpo del
medesimo. Il quale interesse così inteso, manca quasi affatto ai poemi che dalla
iliade derivarono; perocchè non bisogna confonder con esso,
il piacere che ci cagiona la lettura di
tali poemi, derivante dallo stile, dalle immagini, dagli affetti, e da tali
altre cose che non hanno essenzialmente a far coll'ultimo e principale scopo e
scioglimento del poema; nè anche i particolari (o episodici o non episodici)
interessi qua e là sparsi, non finali nè continui
3164
o perpetui, e nascenti da questa o da quella parte e non dall'insieme e dal
tutto del poema; nè anche finalmente quell'interesse che può nascere dal
semplice intreccio, interesse di pura curiosità, che non aspira nè corre ad
altro che a voler essere informato dello scioglimento del nodo, conosciuto il
quale, esso interesse finisce; interesse pochissimo interessante, e
superficialissimo nell'animo; interesse che può esser sommo in poemi, drammi ed
opere di niuno interesse, anzi non è mai nè sommo nè principale nè anche molto
notabile e sensibile, se non se in poemi, drammi ed opere di niun intimo e
profondo interesse e di pochissimo valor poetico, perchè il destare, pascere e
soddisfare la curiosità non è effetto che abbia punto che fare colla natura
della poesia, nè le può esser altro che accidentale e secondario. Or dunque i
poemi derivati dalla iliade, leggonsi con molto piacere, destano
di tratto in tratto alcuno interesse più o men vivo e durabile,
3165 ma essi mancano quasi affatto di quell'interesse
totale, finale e perpetuo, di cui l'iliade, dopo 27 secoli, appo
uomini non greci, sommamente abbonda, e dal quale si dee senza fallo misurare il
pregio e il grado di bontà del complesso e dell'intero di un poema epico,
siccome d'ogni altro poema.
[3165,1] Per lo che tornando finalmente là donde incominciai,
conchiudo che tutto all'opposto di ciò che si dice e si crede, il poema
dell'iliade
{sarà forse} dai posteriori {poemi} vinto ne' dettagli o nelle qualità secondarie, come dir lo
stile, o alcuna parte di esso, qualche immagine, qualche parte o qualità
dell'invenzione; sarà forse eziandio vinto in alcuna parte della condotta, come
nel celare più studiosamente l'esito, laddove Omero par che studiosamente lo sveli innanzi tempo (e forse anche
questo si potrebbe difendere, e in ogni modo non nuoce che all'interesse di
curiosità, del quale Omero, o come
superficialissimo e non poetico ch'egli {è,}
3166 o come narrando forse cose universalmente allora
cognite alla nazione, non si fece alcun carico); ma che nell'insieme, nel totale
del disegno, nell'idea nello scopo e nell'effettivo risultato del tutto, tutti i
poemi epici cedono di gran lunga all'iliade. {#1. Veggasi la p.
3289-91.} E soggiungo che in ciò gli cedono appunto per aver
seguíto una unità che Omero non si
propose, e a causa di quello stesso incremento e stabilimento dell'arte che li
conformò e regolò, e che in essi si vanta, {e} che Omero non conobbe; e che peccano appunto
per quella maggior perfezione di disegno che loro si attribuisce sopra
l'iliade, e che in questa pretesa perfezione consiste appunto
il maggiore ed essenzial peccato del loro disegno, peccato che niuno ci
riconosce, non potendo però lasciare di sentirne gli effetti, ma rapportandoli a
non vere cagioni, e male esigendo che quei poemi producano effetti non
compatibili realmente con quel disegno che in essi lodano, e senza cui gli
avrebbero biasimati; e finalmente che Omero
3167 non conoscendo l'arte (che da lui nacque) e
seguendo solamente la natura e se stesso, cavò dalla sua propria immaginazione
ed ingegno un'idea, un concetto, un disegno di poema epico assai più vero, più
conforme alla natura dell'uomo e della poesia, più perfetto, che gli altri,
avendo il suo esempio e in esso guardando, e ridotta che fu ad arte la facoltà
ond'egli avea prodotto que' modelli, e determinata, {distinta} e stretta che fu da regole la poesia, non seppero di gran
lunga fare. (5.-11. Agosto. 1823.).
[3548,2] Il fine del poeta epico (e simili, e in quanto gli
altri gli son simili), non dev'esser già di narrare, ma di descrivere, di
commuovere, di destare
3549 immagini e affetti, di
elevar l'animo, di riscaldarlo, di correggere i costumi, d'infiammare alla
virtù, alla gloria, all'amor della patria, di lodare, di riprendere, di accender
l'emulazione, di esaltare i pregi della propria nazione, de' propri avi, degli
eroi domestici ec. Tutti questi o parte di questi hanno da essere i veri e
proprii fini del poeta epico, non il narrare; ma il poeta epico dee però fare in
modo che apparisca il suo vero e proprio, o certo principal fine, non esser
altro che il narrare. Appena merita il nome di poesia un poema il quale in
verità non faccia altro che raccontare, cioè non produca altro effetto che di
{stuzzicare e} pascere la semplice curiosità del
lettore, ossia coll'intreccio bene intrigato e avviluppato, ossia con qualunque
mezzo. Queste sono piuttosto novelle che poesie, per quanto l'azione raccontata
potesse esser nobile {sublime} interessante ec. (Di
questa specie sono l'Orlando innamorato, il Ricciardetto e
simili). E possono ben essere di questa natura anche i poemi tessuti o sparsi
d'invenzioni capricciose e di favole ec. come i veri poemi. Anche favoleggiando
3550 sempre o quasi sempre, un poema può non far
veramente altro che raccontare. Questi tali non sono poemi perchè il poeta ha
veramente e principalmente per fine quel ch'ei non dee senon far vista di avere,
cioè il narrare. Ma per lo contrario i poemi pieni di lunghe descrizioni, di
dissertazioni e declamazioni morali, politiche ec., di sentenze, di elogi, di
biasimi, di esortazioni, di dissuasioni ec. in persona del poeta {ec.} e di simili cose, non sono poemi epici ec. perchè
il poeta mostra veramente di avere per principali fini, quei ch'e' non deve se
non avere senza mostrarlo. (29 Sett. 1823.). {{v. p.
3552.}}
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