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Morte. Desiderio della morte.

Death. Desire for death.

66,1

Morte, creduta da Diogene non sensibile.

Death, believed by Diogenes to be not felt.

660,1

Morte, non è penosa.

Death, is not painful.

2182,1

Morte, creduta sempre lontana ec.

Death, always believed to be far away, etc.

2638,1

Dolore delle morti de' nostri cari o conoscenti, che ragione abbia.

Pain caused by the death of our dear ones or of people we know, what is its reason.

4277,1

[66,1]   66 Io mi trovava orribilmente annoiato della vita e in grandissimo desiderio di uccidermi, e sentii non so quale indizio di male che mi fece temere in quel momento in cui io desiderava di morire: e immediatamente mi posi in apprensione e ansietà per quel timore. Non ho mai con più forza sentita la discordanza assoluta degli elementi de' quali è formata la presente condizione umana forzata a temere per la sua vita e a proccurare in tutti i modi di conservarla, proprio allora che l'è più grave, e che facilmente si risolverebbe a privarsene di sua volontà (ma non per forza d'altre cagioni). E vidi come sia vero ed evidente che (se non vogliamo supporre la natura tanto savia e coerente in tutto il resto {che l'analogia è uno de' fondamenti della filosofia moderna e anche della stessa nostra cognizione e discorso,} affatto pazza e contraddittoria nella sua principale opera) l'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta e necessaria infelicità in questa vita, ma solamente delle accidentali (come i fanciulli e le bestie): e l'essersene accorto è contro natura, ripugna ai suoi principii costituenti comuni anche a tutti gli altri esseri (come dire {l'amor} della vita), e turba l'ordine delle cose. (poichè spinge infatti al suicidio la cosa più contro natura che si possa immaginare.).

[660,1]  Diogene ἐρωτηϑεὶς εἰ κακὸς ὁ ϑάνατος, πῶς, εἶπε, κακός, οὗ παρόντος οὐκ αἰσϑανόμεϑα * ; Laerz. in Diog. Cyn. 6. 68. Dalla nota del Menag. si rileva ch'egli l'ha inteso della insensibilità dell'atto della morte.

[2182,1]  È cosa osservata che non solo le stesse morti provenienti da mali dolorosissimi, sogliono esser precedute da una diminuzione di dolore, anzi quasi totale insensibilità, ma che questi sono segni certi, e quasi immancabili (io credo certo immancabili) di morte vicina. Laonde tanto è lungi che la morte sia un punto di straordinaria pena o dolore o incomodo qualunque corporale, che anzi gli stessi travagli corporali che la cagionano, per veementi che sieno (e quanto più sono veementi) cessano affatto all'avvicinarsi di lei; e il momento della morte, e quelli che immediatamente la precedono  2183 sono assolutamente momenti di riposo e di ristoro, tanto più pieno e profondo quanto maggiori sono le pene che conducono a quel passo. Ciò che dico del travaglio corporale, si deve pur necessariamente estendere allo spirituale, perchè quando l'insensibilità del paziente è giunta a segno che lo rende insuscettibile di qualunque dolore corporale, per grandi che sieno le cagioni che dovrebbero produrlo, il che immancabilmente accade in punto di morte, è manifesto che l'anima essendo quasi fuori de' sensi, è fuori di se stessa, fuori de' sensi spirituali, che non operano se non per mezzi corporali, e quindi incapace di pene e di travagli di pensiero. Ed infatti il punto della morte, è sempre preceduto dalla perdita della parola, e da una totale insensibilità ed incapacità di attendere e di concepire, come si argomenta dai segni esterni, e come accade a chi sviene, o a chi dorme. ec. E questo letargo precursore  2184 immancabilissimo della morte, è forse, almeno in molti casi, più lungo nelle malattie violente ed acute, che nelle lente, compassionando così la natura alle pene de' mortali, e togliendo loro maturamente la forza di sentire, quando ella non sarebbe più se non forza di patire. (28. Nov. 1821.).

[2638,1]  Ma senza alcun fallo gli uomini comunemente hanno questo difetto, e tutti generalmente in ciò pecchiamo, che noi della nostra vita speriamo assai, ed il nostro tempo largo misuriamo, e dello altrui per lo contrario sempre temiamo, e siamone scarsi e solleciti, debole e breve reputandolo. Perocchè chi è quello che tanto oltre sia, o che così vicino alla fossa abbia il piede, che non si faccia a credere di dover quattro o sei anni poter *  2639 campare, e che a ciò ogni cosa opportuna non apparecchi? Veramente io credo che niuno ce ne abbia fra noi; nè maraviglia sarebbe di ciò, se noi questa medesima speranza avessimo similmente della altrui vecchiezza, che noi abbiamo della nostra, e non ci facessimo beffe in altrui di quello che in noi medesimi approviamo. * Casa, Orazione seconda per la Lega. Lione (Venezia) appresso Bartolommeo Martin. senza data di tempo. appiè del 3. tomo delle opere del Casa, Venez. Pasinelli 1752. p. 41. Tre altre pagine mancano per la fine dell'Oraz. (13.-14. Ottobre. 1822.).

[4277,1]   4277 Allegano in favore della immortalità dell'animo il consenso degli uomini. A me par di potere allegare questo medesimo consenso in contrario, e con tanto più di ragione, quanto che il sentimento ch'io sono per dire, è un effetto della sola natura, e non di opinioni e di raziocinii o {di} tradizioni; o vogliamo dire, è un puro sentimento e non è un'opinione. Se l'uomo è immortale, perchè i morti si piangono? Tutti sono spinti dalla natura a piangere la morte dei loro cari, e nel piangerli non hanno riguardo a se stessi, ma al morto; in nessun pianto ha men luogo l'egoismo che in questo. Coloro medesimi che dalla morte di alcuno ricevono qualche grandissimo danno, se non hanno altra cagione che questa di dolersi di quella morte, non piangono; se piangono, non pensano, non si ricordano punto di questo danno, mentre dura il lor pianto. Noi c'inteneriamo veramente sopra gli estinti. Noi naturalmente, e senza ragionare; avanti il ragionamento, e mal grado della ragione; gli stimiamo infelici, gli abbiamo per compassionevoli, tenghiamo per misero il loro caso, e la morte per una sciagura. Così gli antichi; presso i quali si teneva al tutto inumano il dir male dei morti, e l'offendere la memoria loro; e prescrivevano i saggi che i morti e gl'infelici non s'ingiuriassero, congiungendo i miseri e i morti come somiglianti: così i moderni; così tutti gli uomini: così sempre fu e sempre sarà. Ma perchè aver compassione ai morti, perchè stimarli infelici, se gli animi sono immortali? Chi piange un morto non è mosso già dal pensiero che questi si trovi in luogo e in istato di punizione: in tal caso non potrebbe piangerlo: l'odierebbe, perchè lo stimerebbe reo. Almeno quel dolore sarebbe misto di orrore {e di avversione}: e ciascun sa per esperienza che il dolor che si prova per morti, non è nè misto di orrore {o avversione,} nè proveniente da tal causa, nè di tal genere in modo alcuno. Da che vien dunque la compassione che abbiamo agli estinti se non dal credere, seguendo un sentimento intimo, e senza ragionare, che essi abbiano perduto la vita  4278 e l'essere; le quali cose, pur senza ragionare, e in dispetto della ragione, da noi si tengono naturalmente per un bene; e la qual perdita, per un male? Dunque noi non crediamo {naturalmente} all'immortalità dell'animo; anzi crediamo che i morti sieno morti veramente e non vivi; e che colui ch'è morto, non sia più.