Piaceri che noi ci facciamo da noi stessi, e coll'assuefazione ec.
Pleasures we create for ourselves, and through habit, etc.
191,3 1319,1 1434,2 1435,1 1456,2 1758,1.2 1883,1 1927,1 1940,1 1773,1 3229,1 3313,1 3909,2 3914,1 4266,1 4273,5 4271,2[191,3] Con quello che dice Montesquieu,
Essai sur le Gout. Des diverses
causes qui peuvent produire un sentiment. De la sensibilité. De la
délicatesse p. 389-393. spiegate la cagione per cui c'interessino
tanto le Storie romana e greca, i fatti cantati da Omero e da Virgilio ec. le tragedie ec. composte
192
sopra quegli argomenti ec. ec. E come quell'interesse non ci possa esser
suscitato da nessun'altra storia, o poema sopra altri fatti ancorchè benissimo
cantati, come dall'Ossian, o
tragedia d'altri argomenti, quando anche appartengano alla nostra storia patria
più immediata, come agli avvenimenti de' bassi tempi ec. e molto meno dalle
poesie orientali, e da cento altre belle cose volute e messe in voga dai nostri
romantici, che di vera psicologia non s'intendono un fico. Tutto proviene dalla
moltiplicità delle cause che producono in noi un sentimento, e sono, rispetto
alle dette cose, ricordanze della fanciullezza, abitudine presa, fama universale
di quelle nazioni e di quei poeti, affezionamento ancorchè involontario,
continuo uso di sentirne parlare, rispetto venerazione ammirazione amore per
quelli che ne hanno parlato, tutte ragioni la mancanza delle quali rende
difficilissimo, e forse impossibile il fare ugualmente interessante un soggetto
nuovo, massime in poesia, dove tutto il diletto proviene dall'interesse, e non
può stare colla sola curiosità, o desiderio d'istruirsi ec. come nelle storie e
simili. E v. il mio discorso sui romantici.
Souvent notre ame se compose elle-même des raisons de plaisir, et
elle y réussit surtout par les liaisons qu'elle met aux
choses.
*
Questo e tutto l'altro che dice Montesquieu è notabilissimo, e
applicabile a diversissimi casi e condizioni nelle quali ci riesce piacevole
quello che ad altri non riesce, e a noi
193 stessi non
riusciva in altre circostanze. P. e. fu un tempo non breve in cui la poesia
classica non mi dava nessun piacere, e io non ci trovava nessuna bellezza. Fu un
tempo in cui io non trovava altro studio piacevole che la pura {e secca} filologia, che ad altri par noiosissima. Fu un
tempo in cui le scienze mi parevano studi intollerabili. E quanti nelle loro
professioni trovano piaceri, che agli altri parranno maravigliosi, non potendo
comprendere che diletto si trovi in quelle occupazioni! E nominatamente in
quello che appartiene alle lettere e belle arti, chi non sa e non vede
tuttogiorno che il letterato e l'artista trova piaceri incredibili {e sempre nuovi} nella lettura o nella contemplazione di
questa o di quell'opera, che letta o contemplata dai volgari, non sanno
comprendere che diascolo di gusto ci si trovi? E piuttosto lo troveranno in
cento altre operacce di pessima lega. Con questo spiegate ancora la diversità
de' gusti ne' diversi tempi, classi, nazioni, climi ec. (29. Luglio
1820.).
[1319,1] Del resto quanto la pura opinione indipendente
dall'assuefazione stessa e da ogni altra cosa, influisca sul giudizio e senso
del bello, si potrebbe mostrare con mille prove le più quotidiane, quantunque
perciò appunto meno avvertite. Chi non sa che una bellezza mediocre, ci par
grande, s'ella ha gran fama? E che ci sentiamo più inclinati, e proviamo il
senso della bellezza molto più vivo nel mirare una donna famosa per la
1320 beltà, che nel mirarne una più bella, ma ignota, o
meno famosa. Così pure se una donna non è bella, ma ha nome di esserlo o è
celebre per avventure galanti, o è stata contrastata ec. ec. ec. {+Così dico degli uomini rispetto alle
donne ec. ec.} Così negli scrittori: il senso del bello è molto
maggiore, più intimo, più frequente, più minuto, quando leggiamo p. e. un poeta
già famoso, e di merito già riconosciuto, che quando ne leggiamo uno, del cui
merito abbiamo da giudicare, sia pur egli più bello di molti altri che
sommamente ci dilettano. Il formare il gusto, in grandissima parte non è altro
che il contrarre un'opinione. Se il tal gusto, il tal genere ec. è disprezzato,
o se tu in particolare lo disprezzi, quell'opera di quel tal gusto o genere ec.
non piace. Nel caso contrario, e se tu cambi opinione, ecco che quella stessa
opera ti dà sommo piacere, e ci trovi infinite bellezze di cui prima neppur
sospettavi. Questo caso è frequentissimo in ogni genere di cose. Pochissimi
trovavano piacere nella lettura del buono stile italiano, durante l'ultima metà
del secolo passato, e i primi anni di questo. Oggi moltissimi; e quei medesimi
che non vi trovavano alcun diletto, {anzi noia ec.,}
oggi se ne pascono con gran piacere, perchè l'opinione in
italia è cambiata. Fra questi così cambiati, sono
ancor io.
[1434,2] In uno stesso tempo e nazione, quegli prova un vivo
senso di eleganza, in tale o tal parola, o metafora, o frase, o stile, perocchè
non v'è assuefatto; questi nessuno, per la contraria ragione. Una stessa
persona, oggi prova gran gusto di eleganza in uno scrittore, che alquanto dopo,
quand'egli s'è avvezzato ad altri scritti più eleganti, non gli pare elegante
per nulla, anzi forse inelegante. Così è accaduto a me, circa l'eleganza degli
scrittori italiani. Così coll'assuefazione (e non altro) si forma il gusto, il
quale come ci tende capaci di molti piaceri, che per l'addietro malgrado la
presenza degli
1435 stessi oggetti ec. non provavamo,
così anche ci spoglia di molti altri che provavamo, e generalmente, o almeno
bene spesso, e sotto molti aspetti, ci rende più difficili al piacere. (1.
Agosto. 1821.).
[1435,1] Il piacere che si prova della purità della lingua in
uno scrittore, è un piacere fattizio, che non nasce se non dopo le regole, e
quando è più difficile il conservare detta purità, ed essa meno spontanea e
naturale. I trecentisti ne se doutoient point di
questo piacere ne' loro scrittori, che sono il nostro modello a quello riguardo.
E quegli scrittori non pensavano nè di aver questo pregio, nè che questo fosse
un pregio ec. come si può vedere dalle molte parole provenzali, Lombarde,
genovesi, arabe, greche storpiate, {latine} ec. che
adoperavano in mezzo alle più pure italiane. Gl'inglesi la cui lingua non è
stata mai soggettata a più che tanta regola, ed ha mancato e manca di un
Vocabolario autorizzato, forse non
sanno che cosa sia purità di lingua inglese. Questo piacere deriva dal
confronto, e finchè non vi sono
1436 scrittori o
parlatori impuri (riconosciuti per tali, e disgustosi), non si gusta la purità
della lingua, anzi neppur si nomina nè si prescrive, nè si cerca, benchè senza
cercarla, si ottenga. Ho già detto altrove pp. 1325-26 che i
toscani sono meno suscettibili di noi alla purità della lingua toscana, e
infatti se ne intendono assai meno di noi, oggi che vi sono regole, {e che la purità dipende da esse,} e fin da quando esse
nacquero; perch'essi non le sanno, non le curano, e fin d'allora, generalmente
parlando, non le curarono. (Varchi, e
Speroni. V. Monti
Proposta ec. alla v. Becco, nel
Dialogo del Capro.) Tutto ciò accade presso a poco
anche in ordine alla purità dello stile {ec. ec.}
{{(2. Agos. 1821.)}}
[1456,2] Osserviamo nuovamente la forza dell'opinione sul
bello. Ho detto altrove p. 1312
p.
1323
p.
1336 che l'eleganza consiste in qualcosa d'irregolare. Quindi è che
mentre cento eleganze si gustano e piacciono negli scrittori accreditati,
infinite altre che meriterebbero lo stesso nome, e sono della stessa natura, non
paiono eleganze e non piacciono, perchè la loro irregolarità si trova in autori
non abbastanza accreditati, ancorchè sieno di vero merito, p. e. se sono
moderni, onde non possono avere l'
1457 autorità de'
secoli in loro favore. Anzi quelle stesse locuzioni, metafore, ec. ec. che
trovate in un autore accreditato ci daranno sapor di eleganza, trovate in autore
non accreditato ci daranno sapor di rozzezza, d'ignoranza, di ardire
irragionevole, di sproposito, di temerità ec. se non ci ricorderemo che quelle
hanno per se l'autorità di uno scrittore stimato. E ricordandocene in quel
momento, o anche dopo pronunziato il giudizio della mente, lo muteremo subito, e
troveremo effettivo gusto in quello che ci aveva dato effettivo disgusto. Il
qual effetto è frequentissimo negli studi di letteratura, e può stendersi a
considerazioni di molti generi, intorno al piacere che deriva dall'imitazione
del buono e classico, e bene spesso dalla sua contraffazione. Piacere non
naturale nè assoluto, ma secondario e fattizio, e pur vero piacere: anzi tanto
vero che la lettura dei classici, secondo me, non ha potuto mai dare agli
antichi quel piacere che dà a noi, e parimente i classici
1458 contemporanei non ci daranno mai nè tanto gusto quanto gli
antichi (cosa certissima), nè quanto ne daranno ai posteri. (6. Agos.
1821.).
[1883,1] Quanto giova a sentir le bellezze p. e. di una
poesia, o di una pittura ec. il saper ch'ella è famosa e pregiata, ovvero è di
autor già famoso e pregiato! Io sostengo che l'uomo del miglior gusto possibile,
leggendo p. e. una poesia classica, senza saper nulla della sua fama, (il che
può spesso accadere in ordine a cose moderne, o non ancor famose, o non ancor
conosciute da tutti per tali), e leggendola ancora con attenzione, non vi
scoprirebbe, non vi sentirebbe nè riconoscerebbe una terza parte delle bellezze,
non vi proverebbe una terza parte del diletto che vi prova chi la legge come
opera classica, e che potrà poi provarvi egli stesso rileggendola con tale
opinione. Io sostengo che oggi non saremmo così come siamo dilettati {p. e.} dall'Ariosto, se l'Orlando furioso fosse opera scritta e
uscita in luce quest'anno. Dal che segue che il diletto di un'opera di poesia,
1884 di belle arti, eloquenza, ed altre cose
spettanti al bello, cresce in proporzione del tempo e della fama; ed è sempre
(se altre circostanze non ostano) minore in chi ne gode per primo, o fra i
primi, cioè ne' contemporanei, ec. che in chi ne gode dopo un certo tempo.
Sebben la fama universale e durevole, è fondata necessariamente sopra il merito,
nondimeno dopo ch'ella per fortunate circostanze è nata dal merito, serve ad
accrescerlo, e il vantaggio e il diletto di un'opera deriva forse nella massima
parte, non più dal merito, ma dalla fama, e dall'opinione. Noi abbiamo bisogno
di farci delle ragioni di piacere, per provarlo. Il bello in grandissima parte
non è tale, se non perchè tale si stima. Quindi osservate quanta parte abbia la
fortuna nell'esito delle opere umane, e nella fama o nell'oscurità degli uomini.
Essendo certissimo che se oggi uscisse alla luce un'opera poetica di merito
assolutamente uguale o superiore a quello dell'Iliade, lasciando
da parte
1885 l'invidia, le cabale, le superstizioni,
le pedanterie; la sola differenza di prevenzione, differenza inevitabile perchè
Omero è stato tanti secoli prima di
noi, farebbe che il lettore il più di buon gusto e imparziale, provasse
assolutamente e senza confronto maggior diletto, e sentimento di bellezza,
leggendo l'iliade, che leggendo la nuova poesia. Tanto piccola parte del
bello consiste in cose e qualità intrinseche ed inerenti al soggetto, e
indipendenti dalle circostanze, e invariabili; e tanto piccola parte del diletto
che reca il bello, deriva da ragioni costanti, essenziali al soggetto, e comuni
a tutti i soggetti della stessa natura, e a tutti gl'individui e tempi che ne
possono godere. (10. Ott. 1821.).
[1927,1] Molti leggono o vedono le buone e classiche opere di
poesia, di letteratura, d'arti belle ec. che giornalmente vengono alla luce, ma
nessuno le studia, finchè non sono divenute antiche; e studiandole, non vi
proverebbe quel piacere che prova nelle antiche, non vi troverebbe in nessun
modo quelle bellezze ec. Che cosa è questa se non opinione e prevenzione sul
bello? (16. Ott. 1821.).
[1940,1] Quanto influisca l'opinione, la prevenzione, la
ricordanza, l'assuefazione ec. sul gusto o disgusto che producono negl'individui
i sapori, o considerati come semplici, o in composizione, è cosa giornalmente
osservabile e osservata. (18. Ott. 1821.).
[1773,1] Ma io mi contenterò di dire. Se il sillogismo
inganna, e la nostra ragione non è altro affatto che sillogismo, che cosa è ella
dunque? Che il sillogismo inganni, stante il rapporto delle proposizioni
falsamente supposto, si vede nel cit. es. degli antichi, nella differenza delle
opinioni moderne, e delle conseguenze contrarie che si tirano da verità
identiche, ed ugualmente conosciute; e generalmente da tutti quanti gli errori
degli uomini da Adamo in qua; giacchè
tutti gli errori son conseguenze dedotte da {altrettanti} sillogismi, e quando anche le premesse stesse di quel
tale sillogismo sieno false, esse sono dedotte da altri sillogismi, e così si
rimonta a proposizioni delle quali tutti gli uomini e tutta la ragione umana
naturalmente conviene; e le quali non han prodotto i detti errori se non a forza
di rapporti falsamente supposti.
1774 Ma fra tutti
gl'immaginabili errori di qualsivoglia popolo, tempo, individuo, è grandissimo
il numero di quelli che si fondano {immediatamente} su
di un sillogismo dove non c'è altro di falso che {la
conseguenza, e quindi} il supposto rapporto delle tre proposizioni fra
loro, o delle due premesse, o dell'una di loro colla conseguenza. {+Tali sono specialmente gli errori
primitivi, {semplici, fanciulleschi,} e più vicini
ai primi e puri ed ἄκρατοι principii del ragionamento. E fra tanto essi sono
de' più ridicoli e grandi, per la somma e chiara falsità de'
rapporti.}
(22. Sett. 1821.).
[3229,1] Tornando al nostro primo proposito, il qual fu di
mostrare che l'armonia o convenienza scambievole de' tuoni nelle loro
combinazioni successive, è determinata, siccome ogni altra convenienza,
dall'assuefazione; si vuol notare che quest'assuefazione in fatto di melodie
(come anche di armonie) non è sempre αὐτόματος del popolo,
3230 ma bene spesso in lui prodotta e originata dalla stessa arte
musica. Perocchè a forza di udir musiche e cantilene composte per arte, (il che
a tutti più o meno accade) anche i non intendenti, anzi affatto ignari della
scienza musicale, assuefanno l'orecchio a quelle successioni di tuoni che
naturalmente essi non avrebbero nè conosciute nè giudicate per armoniose (o
ch'elle sieno inventate di pianta dagli uomini dell'arte, o da loro fabbricate
sulle melodie popolari, e di là originate); in virtù della quale assuefazione
essi giungono appoco appoco {+e senza
avvedersi del loro progresso,} a trovare armoniose tali successioni, a
sentirvi una melodia, e quindi a provarvi un diletto sempre maggiore, e a
formarsi circa le melodie una più capace, più varia, più estesa facoltà di
giudicare, la qual facoltà, che in altri arriva a maggiore in altri a minor
grado, è poi per essi cagione del diletto che provano nell'udir musiche;
giudizio e diletto determinato, dettato, e cagionato, non già dalla natura
primitiva {e universale,} ma dall'assuefazione
accidentale e varia secondo i tempi, i luoghi e le nazioni.
3231 Io di me posso accertare che nel mio primo udir musiche (il che
molto tardi incominciai) io trovava affatto sconvenienti, incongrue, dissonanti
e discordevoli parecchie delle più usitate combinazioni successive di tuoni, che
ora mi paiono armoniche, e nell'udirle formo il giudizio e percepisco il
sentimento della melodia. {#1. Nè più nè
meno accade nella pittura, scultura, architettura. Senz'alcuna cognizione
della teoria, nè della pratica immediata dell'arte, a forza di veder
dipinti, statue, edifizi, moltissimi si formano un giudizio, e una facoltà
di gustare e di provar piacere in tal vista, e nella considerazione di tali
oggetti, la qual facoltà non aveano per l'innanzi, e si acquista appoco
appoco per mezzo dell'assuefazione, la quale determina in questi tali (e
sono i più che parlino di belle arti) l'idea delle convenienze pittoriche
ec. del bello ec. {+e quindi anche
del brutto ec.,} col divario che il soggetto della pittura e
scultura si è l'imitazione degli oggetti visibili, della quale ognun vede la
verità o la falsità, onde le idee del bello e del brutto pittorico e
scultorio, in quanto queste arti sono imitative, è già determinata in
ciascheduno prima dell'assuefazione. Non così nell'architettura e nella
musica, meno imitative, e questa imitativa di cose non visibili ec. Così
discorrasi in ordine alla poesia, ed al gusto e giudizio che l'uomo se ne forma e n'acquista, ec.}
[3313,1] Circa quello che ho detto altrove della melodia pp.
3208. sgg., basti il tenere che il principio, l'origine prima, il
fondamento, ossia la ragione originale del perchè qualsivoglia successione
melodiosa di tuoni, sia melodiosa, cioè armonica successivamente; o vogliamo
dire la prima fonte {e ragione} della convenienza
scambievole de' tuoni nella successione, {non fu} e non
è quasi altro che l'assuefazion solamente, la quale bensì è suscettibile di
ampliazione, di modificazioni infinite e variazioni, di applicazioni
diversissime, di diversissime combinazioni delle sue parti; cose tutte che hanno
infatti avuto ed hanno continuamente luogo nella musica e nelle composizioni del
Musico, il cui uffizio non è originariamente {e
principalmente} altro che il far buon uso delle assuefazioni generali
circa l'armonia, cioè la convenienza, successiva o simultanea delle note delle
corde, {degli stromenti, voci ec.} ec. servata la
proporzione {{scambievole}} degl'intervalli, ossia del
tempo. Ben può il Musico modificare in assaissime guise queste assuefazioni, ma
dee però sempre riconoscerle
3314 e seguirle e in loro
mirare, come fondamento e ragione dell'arte sua. (31. Agosto. Domenica.
1823.).
[3909,2]
Alla p. 3310.
Quanto influisca sempre l'immaginazione, l'opinione, la prevenzione ec.
sull'amore anche corporale, sui sentimenti che un uomo prova in particolare
verso una donna, o una donna verso un uomo, è cosa notissima. E in particolare
ha forza sull'amore, non solo platonico o sentimentale, ma eziandio corporale
verso gl'individui particolari, tutto ciò che ha del misterioso, e che serve a
rendere poco noto all'amante l'oggetto del suo amore, e quindi a dar campo alla
sua immaginazione di fabbricare, per dir così, intorno ad esso oggetto. Perciò
moltissimo contribuisce all'amore e al desiderio anche corporale, tutto ciò che
ha relazione ai pregi {+o alle qualità
comunque amabili} dell'animo nell'oggetto amabile, e in particolare un
certo carattere profondo, malinconico, sentimentale, o un mostrar di rinchiudere
in se più che non apparisce di fuori. Perocchè l'animo e le sue qualità, e
massimamente queste che ho specificate, son cose occulte, ed ignote all'altre
persone, e dan luogo in queste all'immaginare, ai concetti vaghi e
indeterminati; i quali concetti e le quali immaginazioni congiungendosi al
natural desiderio che porta l'individuo dell'un sesso verso quello dell'altro,
danno un infinito risalto a questo desiderio, accrescono strabocchevolmente
3910 il piacere che si prova nel soddisfarlo; le idee
misteriose e naturalmente indeterminate, che hanno relazione all'animo
dell'oggetto amato, che nascono dalle qualità e parti apparenti del suo spirito,
e massime se da qualità che abbiano del profondo e del nascosto e dell'incerto,
e che promettano o dimostrino {+altre lor
parti o} altre qualità occulte ed amabili ec., queste idee dico,
congiungendosi alle idee chiare e determinate che hanno relazione al materiale
dell'oggetto amato, e comunicando loro del misterioso e del vago, le rendono
infinitamente più belle, e il corpo della persona amata o amabile, infinitamente
più amabile, pregiato, desiderabile; e caro quando si ottenga.
[3914,1] Del resto, tornando al primo proposito, come
l'immaginazione {+e il mistero
particolare ec.} influisce sommamente e modifica ec. l'amore anche il
più corporale verso gl'individui particolari d'altro sesso (o anche del medesimo
sesso, secondo l'uso de' greci), così {+l'immaginazione e il mistero generale derivante dall'uso delle vesti,
influì {nel modo che} si è detto nel
pensiero a cui questo si riferisce, e sempre e del continuo}
influisce generalmente sopra l'amore e i sentimenti {(anche i
più materiali per principio, per iscopo ec.)} dell'un sesso verso
l'altro, considerato tutto insieme. E come la considerazione dello spirito che è
cosa occulta, influisce su quella del corpo, e rende misteriosi e vaghi i
sentimenti e le idee che da questo {naturalmente e
principalmente} hanno origine, ed a questo propriamente, benchè or più
or meno apertamente e immediatamente {e principalmente}
si riferiscono; così la considerazione del corpo divenuto anch'esso cosa, per la
maggior sua parte, occulta e sottoposta all'immaginazione altrui più ch'ai
sensi, rende misteriosi ec. e spiritualizza nel modo il più naturale i
sentimenti e le idee ec.: e da una causa tutta materialissima nasce
3915 un effetto che ha dello spiritualissimo, del
semplicemente spirituale, del più spirituale ch'alcuno altro ec.
[4266,1] In qualunque cosa tu non cerchi altro che piacere,
tu non lo trovi mai: tu non provi altro che noia, e spesso disgusto. Bisogna,
per provar piacere in qualunque azione ovvero occupazione, cercarvi qualche
altro fine che il piacere stesso. (Può servire al Manuale di filosofia pratica). (30. Marzo.
1827.). Così accade (fra mille esempi che se ne potrebbero dare)
nella lettura. Chi legge un libro (sia il più piacevole e il più bello del
mondo) non con altro fine che il diletto, vi si annoia, anzi se ne disgusta,
alla seconda pagina. Ma un matematico trova diletto grande a leggere una
dimostrazione di geometria, la qual certamente egli non legge per dilettarsi.
{+V. p. 4273.} E forse per questa ragione gli
spettacoli e i divertimenti pubblici per se stessi, senza altre circostanze,
sono le più terribilmente noiose e fastidiose cose del mondo; perchè non hanno
altro fine che il piacere; questo solo vi si vuole, questo vi si aspetta; e una
cosa da cui si aspetta e si esige piacere (come un debito) non ne dà quasi mai:
dà anzi il contrario. Il piacere (si può dir con perfettissima verità) non vien
mai se non inaspettato; e colà dove noi non lo cercavamo, non che lo sperassimo.
Per questo nel bollore della gioventù, quando l'uomo si precipita col desiderio
e colla speranza dietro al piacere, ei non prova che spaventevole e tormentoso
disgusto e noia nelle più dilettevoli cose della vita. E non si comincia a
provar qualche piacere nel mondo, se non sedato quell'impeto, e cominciata
4267 la freddezza, e ridotto l'uomo a curarsi poco e a
disperare {omai} del piacere. (30. Marzo.
1827.). {{Simile è in ciò il piacere alla quiete,
la quale quanto più si cerca {e si desidera} per se
e da se sola, tanto si trova e si gode meno, come ho esposto in altro
pensiero poco addietro pp. 4259-60. Il desiderio stesso
di lei, è necessariamente esclusivo di essa, ed incompatibile seco
lei.}}
[4273,5]
Alla p. 4266.
Io stesso, che pur non ho maggior piacere che il leggere, anzi non ne {ho} altri, ed in cui il piacer della lettura è tanto più
grande, quanto che dalla primissima fanciullezza sono sempre vissuto in questa
abitudine (e l'abitudine è quella che fa i piaceri) quando talvolta per ozio, mi
son posto a leggere qualche libro per semplice passatempo, ed a fine solo ed
espresso di trovar piacere e dilettarmi; non senza maraviglia e rammarico, ho
trovato sempre che non solo io non provava diletto alcuno, ma sentiva noia e
disgusto fin dalle prime pagine. E però io andava cangiando subito libri, senza
però niun frutto; finchè disperato, lasciava la lettura, con timore che ella mi
fosse divenuta insipida e dispiacevole per sempre, e di non aver più a trovarci
diletto: il quale mi tornava però subito che io la ripigliava per occupazione, e
per modo di studio, e con fin d'imparare qualche cosa, o di avanzarmi
generalmente nelle cognizioni, senza alcuna mira particolare al diletto. Onde i
libri che mi hanno dilettato meno, e che perciò da qualche tempo io non soglio
più leggere, sono stati sempre quelli che si chiamano
4274 come per proprio nome, dilettevoli e di passatempo. (6.
Aprile. 1827.).
[4271,2] (Similmente poi, per altra parte, la negligenza
universale intorno allo stile, rende inutile la diligenza individuale, se alcuno
sapesse e volesse usarne, intorno al medesimo. Perchè, in sì fatti generi, le
cose quanto sono più rare, tanto meno si apprezzano. Il pubblico, {+appunto perchè in ciò negligente, ed
assuefatto a trascurar tale studio,} non ha nè gusto nè capacità nè
per sentire nè per giudicare le bellezze degli stili, nè per esserne dilettato.
{+Perchè certi diletti, e non sono
pochi, hanno bisogno di un sensorio formatovi espressamente, e non innato;
di una capacità di sentirli acquisita. A chi non l'ha, non sono diletti in
niun modo.} L'arte più sopraffina non sarebbe conosciuta: l'ottimo
stile non sarebbe distinto dal pessimo. Così l'eccellenza medesima dello stile
non sarebbe più una via all'immortalità, che senza essa, tuttavia, non si può
dai libri conseguire.) (Recanati. 2. Aprile.
1827.).
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