14. Luglio 1821.
[1322,1] Ho detto altrove pp. 198-203 che la grazia deriva bene spesso (e forse
sempre) dallo straordinario nel bello, e da uno straordinario che non distrugga
il bello. Ora aggiungo la cagione di questo effetto. Ed è, non solamente che lo
straordinario ci suol dare sorpresa, e quindi piacere, il che non appartiene al
discorso della grazia; ma che ci dà maggior sorpresa e piacere il veder che
quello straordinario non nuoce al bello, non distrugge il conveniente e il
regolare, nel mentre che è pure straordinario, e per se stesso irregolare; nel
mentre che per essere irregolare e straordinario, dà risalto a quella bellezza e
convenienza: e insomma il vedere una bellezza e una convenienza non ordinaria,
{{e}} di cose che non paiono poter convenire; una
bellezza e convenienza diversa dalle altre e comuni. Esempio. Un naso affatto
mostruoso, è tanto irregolare, che distrugge la regola, e quindi la convenienza
e la bellezza. Un naso come quello della Roxolane di Marmontel, è irregolare, e tuttavia non
distrugge il bello nè il conveniente, benchè per se stesso sia sconveniente; ed
ecco la grazia, e gli effetti mirabili di questa grazia, descritti festivamente
da
1323
Marmontel, e soverchianti quelli
d'ogni bellezza perfetta. {V. p. 1327.
fine.} Se osserveremo bene in che cosa consista
l'eleganza delle scritture, l'eleganza di una parola, di un modo ec. vedremo
ch'ella sempre consiste in un piccolo irregolare, o in un piccolo straordinario
o nuovo, che non distrugge punto il regolare e il conveniente dello stile o
della lingua, anzi gli dà risalto, e risalta esso stesso; e ci sorprende che
risaltando, ed essendo non ordinario, o fuor della regola, non disconvenga; e
questa sorpresa cagiona il piacere e il senso dell'eleganza e della grazia delle
scritture. {+(Qui discorrete
degl'idiotismi ec. ec.)} Il pellegrino delle voci o dei modi, se è
eccessivamente pellegrino, o eccessivo per frequenza ec. distrugge l'ordine, la
regola, la convenienza, ed è fonte di bruttezza. Nel caso contrario è fonte di
eleganza in modo che se osserverete lo stile di Virgilio o di Orazio, modelli di eleganza a tutti secoli, vedrete che l'eleganza
loro principalissimamente e generalmente consiste nel pellegrino dei modi e
delle voci, o delle loro applicazioni a quel tal uso, luogo, significazione, nel
pellegrino delle metafore ec. Cominciando
1324 dal
primo verso sino all'ultimo potrete far sempre la stessa osservazione.
[1324,1] E ciò è tanto vero, che se quella cosa pellegrina,
p. e. quella voce, frase, metafora, diventa usuale e comune, non è più elegante.
Quanti esempi di fatto si potrebbero addurre in questo particolare, mediante
l'attenta considerazione delle lingue. Per noi italiani è grandissima fonte di
eleganza l'uso di voci {o modi} latini, presi
nuovamente da quella lingua, in modo che sieno pellegrini; ma non però eccessivi
nè come pellegrini, cioè per la forma troppo strana ec. ec. nè come troppo
frequenti latinismi. Ora infinite parole latine e modi, de' quali gli antichi
scrittori arricchirono la nostra lingua, introducendo il pellegrino ne' loro
scritti, essendo divenuti usuali, e propri della lingua, o scritta o parlata,
non producono più verun senso di eleganza, benchè sieno della stessa origine,
forma, natura di quelle voci ec. che lo producono oggi. Quanti latinismi di Dante, da che divennero italianismi, (e
lo divennero da gran tempo, e in grandissimo numero) sono buoni e puri, ma non
hanno che far più niente coll'eleganza e grazia.
[1325,1]
1325 Se quella cosa straordinaria o irregolare nel
bello, e dentro i limiti del bello, diventa ordinaria e regolare, non produce
più il senso della grazia. Perduto il senso dello straordinario si perde quello
del grazioso. Una stessa cosa è graziosa in un tempo o in un luogo, non graziosa
in un altro. E ciò può essere per due cagioni. 1. Se quella tal cosa per alcuni
riesce straordinaria per altri no. Il parlar toscano riesce più grazioso a noi
che a' Toscani. Così le Fiorentinerie giudiziosamente introdotte nelle scritture
ec. Così l'eleganza e la grazia de' Trecentisti la sentiamo noi molto più che
quel tempo che li produceva; molto più di quegli stessi scrittori, i quali forse
non vollero nè cercarono d'esser graziosi, ma pensarono solo a scrivere come
veniva, e a dir quello che dovevano; nè s'accorsero della loro grazia: e lo
stesso dico de' parlatori di quel tempo. Lo stesso delle pronunzie {o dialetti} forestieri {ec.} i
quali riescono graziosi fuor della patria, non già in patria. 2. Se quel tale
straordinario o irregolare ec. ad altri riesce compatibile col conveniente, col
bello ec. ad altri incompatibile, eccessivo, e distruttivo della regola, del
conveniente, del bello ec. Una stessa pronunzia
1326
ec. forestiera, riesce graziosa in un luogo dove la differenza è leggiera ec. e
sgraziatissima in un altro, dove ella contrasta troppo vivamente {e bruscamente} colla pronunzia, coll'assuefazione
indigena ec. ec. Così dico dell'eccesso delle Toscanerie popolari nelle
scritture, {che a noi riesce affettato,} ec. ec. {+Ma anche questo giudizio è soggetto a
variare, e quella stessa pronunzia o dialetto ec. che riusciva
insopportabile a quella tal persona, coll'assuefarvisi ec. arriverà a
parergli anche graziosa. Così dico d'ogni altro genere, e l'esperienza n'è
frequente.}
[1326,1] Da tutto ciò si deduce ancora che siccome {il senso} e l'idea della convenienza, {regola,} e bellezza è relativa, così quella della grazia
che risulta dall'idea di ciò ch'è straordinario, irregolare ec. nel conveniente
e nel bello ec., è interamente relativa. Sicchè il grazioso è relativo nè più nè
meno, come il bello, dalla cui idea dipende ec.
[1326,2] Del resto quello straordinario o irregolare ec. che
non appartiene, ed è al tutto fuori d'ogni sistema d'ordine, di regola,
d'armonia di convenienza, cioè che non è nel bello, non è punto grazioso, nè
spetta al discorso della grazia; come p. e. un animale straordinario, un
fenomeno ec. ec. (14. Luglio 1821.).