Chinesi, loro lingua, costumi, musica, letteratura ec. ec.
Chinese, their language, customs, music, literature, etc. etc.
942,1 943,1.2 944,1.2 1019,1 1055,2 1059,1 1179,1 1570 2620-1 2750 3211-15 3666-71[942,1]
942
Alla p. 939.
La maravigliosa e strana immobilità ed immutabilità
(così la chiama l'Edinburgh Review negli
Annali di Scien. e Lettere vol. 8.
Dicembre 1811. N. 24.
Staunton, Traduz. del Ta-Tsing-Leu-Lee. p. 300.) della nazione Chinese,
dev'esser derivata certo in grandissima parte, e derivare dal non aver essi
alfabeto nè lettere, (l. cit. Rèmusat,
Saggio
sulla lingua e letteratura Chinese, dal Magasin
Encyclopedique, p. 324. fine) ma caratteri esprimenti le
cose e le idee, cioè un dato numero di caratteri elementari e principali
rappresentanti le principali idee, i quali si chiamano chiavi, e sono {nel sistema di} alcuni {dotti
Chinesi} 214, (ivi p. 313. 319.) in altri sistemi
molto più, in altri molto meno, (ivi, p. 319.) ma il sistema delle 214
è il più comune e il più seguito da' letterati chinesi nella compilazione de'
loro dizionarii. I quali caratteri elementari o chiavi diversamente combinati
fra loro (come ponendo sopra la chiave che rappresenta
i campi, l'abbreviatura di quella che rappresenta le
piante, si fa il segno o carattere che significa o
rappresenta primizia dell'erbe e delle messi; e
ponendo questo medesimo carattere sotto la chiave che
rappresenta gli edifizi, si fa il carattere che
significa tempio, cioè luogo dove si offrono le
primizie (l.
c. p. 314.)) servono ad esprimere o rappresentare le altre
idee: essendo però le dette combinazioni convenute, {e
gramaticali,} come lo sono le chiavi elementari; altrimenti non
s'intenderebbero. {(p.
319. fine.)} Nel qual modo {e
senso} un buon dizionario chinese, secondo Abel-Rèmusat (Essai sur la langue et la littérature
chinoise. Paris 1811.
l. cit. p. 320) dovrebbe contenere
35,000
943
caratteri come ne contiene il
Tching-tseu-toung, uno de' migliori Dizionari che hanno i
chinesi; secondo il Dott. Hager, (Panthéon
Chinois. Paris 1806. in-fol.
Préface) basterebbero 10,000 (ivi, e p. 311. nota.) La quale scrittura
in somma appresso a poco è la stessa che la ieroglifica. Paragonate gli
Annali ec. sopracitati, Vol. 5. num. 14. Hammer, Alfabeti antichi e caratteri ieroglifici
spiegati, artic. del Crit. Rev. p. 144.- 147. col
vol. 9. N. 24. p. 297-298. e p. 313.- 320. Questo paragone l'ho già
fatto, e trovatolo giusto. (14. Aprile 1821). {{V. p. 944.
capoverso 2.}}
[1019,1] La lingua cinese può perire senza che periscano i
suoi caratteri: può perire la lingua, e conservarsi la letteratura che non ha
quasi niente che far colla lingua; bensì è strettissimamente legata coi
caratteri. Dal che si vede che la letteratura cinese poco può avere influito
sulla lingua, e che questa non ostante la ricchezza della sua letteratura, può
tuttavia e potrà forse sempre considerarsi come lingua non colta, o poco colta.
(7. Maggio 1821.).
[1055,2] Quanto sia vero che la scrittura Chinese si possa
possa quasi perfettamente intendere, senza saper punto la lingua, v. se vuoi,
Soave, Append. 2. al Capo II. Lib. 3. del Compendio di Locke, Venezia 3.a edizione t. 2. p. 63.
principio. (16. Maggio 1821.).
[1059,1] La scrittura chinese non è veramente lingua scritta,
giacchè quello che non ha che fare (si può dir nulla) colle parole, non è
lingua, ma un altro genere di segni; come non è lingua la pittura, sebbene
esprime e significa le cose, e i pensieri del pittore. Sicchè la letteratura
chinese poco o nulla può influir sulla lingua, e quindi la lingua chinese non
può fare grandi progressi. (18. Maggio 1821.).
[1179,1] Non è verisimile che la lingua chinese si sia
conservata la stessa per sì lunga serie di secoli, a differenza di tutte le
altre lingue. Eppure i suoi più antichi scrittori s'intendono mediante le stesse
regole appresso a poco, che servono ad intendere i moderni. Ma la cagione è che
la loro scrittura è indipendente quasi dalla lingua, come ho detto altrove pp.
944-45, e (come pure ho detto p. 1019) la lingua
chinese potrebbe perire, e la loro scrittura conservarsi e intendersi nè più nè
meno. Così dunque io non dubito che la loro antica lingua, malgrado
l'immutabilità straordinaria di quel popolo, se non è perita, sia certo
alterata. Il che non si può conoscere, mancando monumenti dell'antica lingua,
benchè restino monumenti dell'antica scrittura. La quale ha patito bensì
anch'essa, e va soffrendo le sue diversificazioni; ma i caratteri (indipendenti
dalla lingua nel chinese) non essendo nelle mani e nell'uso del popolo, (massime
nella china,
1180 dove l'arte di
leggere e scrivere è sì difficile) conservano molto più facilmente le loro forme
essenziali e la loro significazione, di quello che facciano le parole che sono
nell'uso quotidiano e universale degl'idioti e de' colti, della gente d'ogni
costume, d'ogni opinione, d'ogni naturale, d'ogni mestiere, d'ogni vita, e
accidenti di vita. {+(A questo proposito
ecco un passo di Voltaire portato
dal Monti
Proposta ec. vol. 2. par. 1. p. 159.
Quasi tutti i vocaboli che frequentemente
cadono nel linguaggio della conversazione, ricevono molte
digradazioni, lo svolgimento delle quali è difficile: il che ne'
vocaboli tecnici non accade, perchè più preciso e meno
arbitrario è il loro significato
*
.)} E
lo vediamo pur nel latino, perduta la lingua, e conservati i caratteri, quanto
alle forme essenziali, e al valore. {Così nel greco
ec.} Ora nella China, conservato {l'uso, la forma, e il significato de' caratteri
antichi,} è conservata la piena intelligenza delle antiche scritture,
quando anche oggi si leggessero {con parole e} in una
lingua tutta diversa da quella in cui gli antichi Chinesi le leggevano.
(17. Giugno 1821.).
[1570,1]
1570 La nostra civiltà, che noi chiamiamo perfezione
essenzialmente dovuta all'uomo, è manifestamente accidentale, sì nel modo con
cui s'è conseguita, sì nella sua qualità. Quanto al modo, l'ho già mostrato
altrove pp. 830-38.
Quanto alla qualità, essendo l'uomo diversissimamente conformabile, e potendo
modificarsi in milioni di guise dopo che s'è allontanato dalla condizione
primitiva, egli non è tale qual è oggi, se non a caso, e in diverso caso, poteva
esser diversissimo. E questo genere di pretesa perfezione a cui siam giunti o
vicini, è una delle diecimila diversissime condizioni a cui potevamo ridurci, e
che avremmo pur chiamate perfezioni. Consideriamo le storie, e le fonti del
nostro stato presente, e vediamo quale infinita combinazione di cause e
circostanze differentissime ci abbia voluto a divenir quali siamo. La mancanza
delle quali cause o combinazioni ec. in altre parti del globo, fa che gli uomini
o restino senza civiltà, e poco lontani dallo stato primitivo, o siano civili
(cioè perfetti) in diversissimo modo, come i Chinesi. Dunque è manifesto che la
nostra civiltà, che si crede essenzialmente appartenerci, non è stata
1571 opera della natura, non conseguenza necessaria e
{primordialmente} preveduta delle disposizioni da
lei prese circa la specie umana (e tale dovrebb'essere, s'ella fosse
perfezione), ma del caso. In maniera che, per così dire, neppur la natura
formando l'uomo, poteva indovinare, non dico ciò che fosse per divenire, ma come
potesse e dovesse divenir perfetto, e in che cosa consistesse la sua perfezione,
ch'è pur lo scopo e l'integrità di quell'esistenza ch'ella stessa gli dava e
formava. Non sapeva dunque che cosa ella si formasse, giacchè gli esseri e {le cose tutte} non vanno considerate, nè si può giudicar
di loro, e della loro qualità ec. se non se nello stato di perfezione. Or com'è
possibile che la natura la quale ha fatto ogni cosa perfetta, (nè poteva
altrimenti) non abbia nè assegnato verun genere di perfezione alla sua principal
creatura, nè disposto le cose in modo che l'uomo dovesse necessariamente
conseguire questa perfezione, cioè la pienezza e il vero modo del suo essere? e
che gli abbia detto; la perfezione, cioè l'esistenza intera, l'esistenza che
ti conviene, il modo in cui devi essere, la forma e la natura tua propria,
te la darà
1572 il caso come, e quando, e se vorrà,
e quanto vorrà, cioè in quel grado e in quei luoghi che vorrà, e quale
vorrà?
(27 Agos. 1821.).
[2619,2]
Alla p. 1271.
Io tengo per certissimo che l'invenzione dell'alfabeto sia stata una al mondo,
voglio dir che la scrittura alfabetica non sia stata inventata in più luoghi (o
al medesimo tempo o in diversi tempi) ma in un solo, e da
2620 questo sia passata la cognizione e l'uso della detta scrittura di
mano in mano a tutte le nazioni che scrivono alfabeticamente. Non è presumibile
che un'invenzione ch'è un miracolo dello spirito umano (o forse ha la sua
origine dal caso come il più delle invenzioni strepitose) sia stata ripetuta da
molti, cioè fatta di pianta da molti spiriti. E la storia conferma ciò ch'io
dico. 1. Le nazioni che non hanno, o non hanno avuto commercio con alcun'altra,
o con alcun'altra letterata, non hanno avuto o non hanno alfabeto. Cento altre
nostre cognizioni mirabili si son trovate sussistenti presso questo o quel
popolo nuovamente scoperto: l'alfabeto (primo mezzo di vera civilizzazione) non
mai. Il Messico avea governo, {politica,} nobiltà, gerarchie, premi militari, anzi Ordini
cavallereschi rimuneratorii del merito, calendario, {architettura, idraulica, cento belle arti manuali, navigazione, ec.
ec.} ed anche storie e libri geroglifici, ma non alfabeto. La
China ha inventato polvere, bussola, e fino la
stampa; ha infiniti libri, ha prodotto un Confucio,
2621 ha letteratura, ha gran
numero di letterati, fino a farne più classi distinte, con graduazioni, lauree,
studi pubblici ec. ec. ma non ha alfabeto (benchè i libri cinesi si vendano
tutto dì per le strade della China al minutissimo popolo,
e anche ai fanciulli, e la professione del libraio sia delle più ordinarie e
numerose). 2. Si sa espressamente per tradizione che gli alfabeti son passati da
paese a paese. La grecia narra d'avere avuto il suo dalla
fenicia; così ec. ec. ec. 3. Grandissima parte degli
alfabeti dimostra l'unità dell'origine guardandone sottilmente o il materiale, o
i nomi delle lettere (come quelli del greco paragonati agli ebraici ec. ec.). E
questo, non ostante che le nazioni siano disparatissime, e niun commercio sia
mai stato fra talune di esse, come tra gli ebrei e i latini {antichi} che ricevettero l'alfabeto (forse) dalla
grecia, che l'ebbe dalla
fenicia, che l'ebbe da' samaritani o viceversa ec.
ec. e così l'alfabeto latino vien pure a ravvicinarsi sensibilmente all'
2622 ebraico. 4. Se alcuni alfabeti non dimostrano
affatto alcuna somiglianza con verun altro, nè per figura nè per nomi ec. ciò
non conclude in contrario. Ma vuol dire, o che l'antichità tolse loro, o agli
alfabeti nostri ogni vestigio della loro primissima origine; o piuttosto che
quelle tali nazioni ricevendo pur di fuori, come le altre, l'uso della scrittura
alfabetica, o non adottarono però l'alfabeto straniero, o adottatolo lo vennero
appoco perfezionando, cioè accomodando alla loro lingua, finchè lo mutarono
affatto: o vero tutto in un tratto gliene sostituirono un altro nuovo e proprio
loro, come fu dell'alfabeto armeno, sostituito al greco ch'era stato usato fino
allora dalla nazione, la quale col mezzo di esso aveva imparato a scrivere, e
conosciuto l'uso dell'alfabeto, del che v. p. 2012. (2. Sett. 1822.).
[2747,1] Nondimeno questa prodigiosa moltiplicità di
caratteri rappresentanti de' suoni composti, nasce in alcuni dei detti alfabeti
dal mancare in essi totalmente o in parte i segni rappresentanti i suoni
semplici della favella. La qual mancanza, ch'è la maggiore imperfezione che
possa essere in un alfabeto, cagiona necessariamente e immediatamente
un'assoluta e indeterminata moltiplicità di segni nell'alfabeto medesimo. Ma
questa mancanza ed imperfezione non è già una prova che quegli alfabeti abbiano
un'origine diversa da quella degli alfabeti Europei. Essa mancanza ed
imperfezione, e la moltiplicità
2748 di caratteri che
ne deriva, e l'uso di segni rappresentanti de' suoni composti, sono tutte
qualità che dovettero necessariamente essere nell'alfabeto primitivo; perchè
l'uomo non arriva al semplice e agli elementi se non per gradi, anzi queste sono
le ultime cose a cui egli arriva, e nell'arrivarvi consiste appunto la maggior
possibile perfezione delle sue idee in qualunque genere. Ora nessuna cosa umana
è perfetta nel suo principio, e massime un'invenzione così difficile e astrusa
come fu quella dell'alfabeto. Non fu poco, anzi fu maravigliosissimo il pensiero
di applicare i segni della scrittura ai suoni {delle
parole} invece di applicarli alle cose e alle idee, come si fece nella
scrittura primitiva e nella geroglifica, come facevano i messicani nelle loro
pitture scrittorie, come fanno i selvaggi, e i chinesi. Dopo concepito questo
mirabile pensiero, che fu l'origine dell'alfabeto, questo pensiero ch'io dico
essere stato unico nel mondo, cioè concepito da un uomo solo (e in questo senso
io sostengo
2749 che l'origine di tutti gli alfabeti
sia stata una sola) molto ancora vi volle, e molto tempo dovette passare, e
molti tentativi farsi, e molti alfabeti passare in uso presso varie nazioni,
prima che l'uomo arrivasse a distinguere i suoni veramente semplici della
favella, cioè quelli di cui si componevano tutti gli altri suoni che formavano
le parole. Ma da principio, e poi successivamente a proporzione, finchè non si
giunse al detto punto, moltissimi suoni composti dovettero parer semplicissimi e
indecomponibili. Il numero di questi, e dei segni destinati a rappresentarli, e
quindi dei caratteri dell'alfabeto, dovette andar sempre scemando a misura che
l'uomo si avvicinava a scoprire i puri elementi dei suoni. Ma in questo
intervallo gli alfabeti che si usavano, dovevano aver molti caratteri, perchè
questi rappresentavano dei suoni composti. Non tutte le nazioni poterono
profittare della scoperta che finalmente si fece dei suoni veramente semplici.
Quelle nel cui uso erasi già
2750 confermato un
alfabeto più o meno composto di {segni rappresentanti
de'} suoni più o manco moltiplici; quelle presso cui la cui la
scrittura era già comune; quelle massimamente che avevano già una letteratura,
dovettero conservare il loro alfabeto, o tal qual era, o semplificato di poco,
perchè l'uso vince ogni ragione. (Basti osservare che la
China presso cui l'uso della scrittura s'era forse o
introdotto o diffuso prima che fra le altre nazioni, non potè neppure o non
volle ricevere l'uso dell'alfabeto assolutamente) Così l'alfabeto fenicio, e gli
alfabeti europei derivati da quello, si perfezionarono, mentre molti alfabeti
orientali ec. rimasero nell'imperfezione, e questa si radicò e si mantenne in
essi perpetuamente fino al dì d'oggi.
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