3-4. Giugno. 1823.
[2740,1] Per esempio d'uno dei tanti modi in cui gli
alfabeti, ch'io dico esser derivati tutti o quasi tutti da un solo, si
moltiplicarono e diversificarono dall'alfabeto originale, secondo le lingue a
cui furono applicati, può servire il seguente. Nell'alfabeto fenicio, ebraico,
samaritano ec. dal quale provenne l'alfabeto greco, non si trova il ψ, carattere
inutile perchè rappresenta due lettere; inventato, secondo Plinio, da Simonide; proccurato vanamente dall'Imperatore Claudio d'introdurre nell'alfabeto latino, che parimente
ne manca, sebbene derivi dall'origine stessa che il greco; e in luogo del quale
si trovano negli antichi monumenti greci i due caratteri π σ. {+(Secondo i grammatici il ψ vale ancora βσ e ϕσ; ma
essi lo deducono dalle inflessioni ec. come ἄραψ ἄραβος, ἄραβες ἄραψι
ec. Non so nè credo che rechino alcun'antica inscrizione ec.)
V. p. 3080.}
Ora ecco come dev'esser nato questo carattere che distingue l'alfabeto greco dal
fenicio. Nella lingua greca,
2741 per proprietà sua, è
frequentissimo questo suono di ps: ed ogni lingua ha
di questi suoni che in lei sono più frequenti e cari che nelle altre. Gli
scrivani adunque obbligati ad esprimerlo bene spesso, incominciarono per fretta
ad intrecciare insieme quei due caratteri π σ ogni
volta che occorreva loro di scriverli congiuntamente. Da quest'uso, nato dalla
fretta, nacque una specie di nesso che rappresentava i due sopraddetti
caratteri; e questo nesso che da principio dovette conservare parte della forma
d'ambedue i caratteri che lo componevano, adottato generalmente per la comodità
che portava seco, e per la brevità dello scrivere, appoco appoco venne in tanto
uso che occorrendo di scrivere congiuntamente il π e
il σ, non si adoperava più se non quel nesso, che
finalmente per questo modo venne a fare un carattere proprio, e distinto dagli
altri
2742 caratteri dell'alfabeto, destinato ad
esprimere in qualunque caso quel tal suono: ma destinato a ciò non
primitivamente, nè nella prima invenzione o adozione dell'alfabeto greco, e
nella prima enumerazione de' suoni elementari di quella lingua o della favella
in genere; ma per comodità di quelli che già si servivano da gran tempo del
detto alfabeto. Di modo che si può dire che questo carattere non sia figlio del
suono ch'esso esprime, come lo sono quelli ch'esprimono i suoni elementari, ma
figlio di due caratteri preesistenti nell'alfabeto greco, e quindi quasi nepote
del suono che per lui è rappresentato. La grammatica e le regole dell'ortografia
ec. non esistevano ancora. Venute poi queste, e prendendo prima di tutto ad
esaminare e stabilire l'alfabeto nazionale, trovato questo nesso già padrone
dell'uso comune, e sottentrato in luogo di carattere distinto {e} non doppio
2743 ma unico, lo
considerarono come tale, gli diedero un posto proprio nell'alfabeto greco tra i
caratteri elementari, e fissarono per regola che quel tal suono ps si esprimesse, come già da tutti si esprimeva, col
ψ, e non altrimenti. Ed eccovi questo nesso,
introdotto a principio dagli scrivani per fretta e per comodo; non
riconoscendosi più la sua origine, o anco riconoscendosi, ci viene nelle
grammatiche antiche e moderne come un carattere proprio dei greci, e come uno
degli elementi del loro alfabeto. Lo stesso accadde allo ξ, che non è fenicio, introdotto come nesso per rappresentare due
caratteri, cioè γσ, o κσ,
{+o χσ}: e ciò
per essere questi suoni, frequentissimi nella lingua greca, siccome anche nella
lingua latina, nel cui alfabeto pertanto ha pure avuto luogo questo medesimo
nesso, considerato come carattere. In luogo del quale gli antichi greci
scrivevano γσ, o κσ. Lo
stesso dicasi
2744 del ϕ,
carattere (originariamente nesso) che non si trova nell'alfabeto fenicio
(perciocchè il ף
{+o פ} è veramente il Π, {+lat. P, giacchè l'Ϝ è il digamma eolico)}, e
che fu introdotto in vece del ΠH che si trova negli antichi monumenti greci,
dove pur si trova il KH in vece del X, carattere non fenicio. Questi due suoni
composti, anzi doppi, ph e ch, frequentissimi nella lingua greca, non si udivano nella latina.
Dunque l'alfabeto latino non ebbe questi due segni. I tre caratteri ξ, ϕ, χ
s'attribuiscono presso Plinio (7. 56.) a Palamede, aggiunti da lui all'alfabeto Cadmeo o
Fenicio. Lo stesso dite dell'ω, che s'attribuisce presso il medesimo a Simonide ec.
[2744,1] Ne' tempi più bassi, moltiplicandosi {le} scritture, o piuttosto la necessità di scrivere in
fretta per la scarsezza degli scrivani e del guadagno, e di scrivere in poco
spazio per la scarsezza della carta ec., {+e massimamente la negligenza e sformatezza e il cattivo
gusto della scrittura,} e quindi impicciolendosi e affrettandosi
sommamente le forme dei caratteri,
2745 si
moltiplicarono anche a dismisura i nessi, le abbreviature ec. d'ogni genere
(delle quali gli antichi erano stati parchissimi, e alle quali anche poco si
prestava la forma del loro carattere); di modo che non v'è quasi codice o greco
o latino di quelle età che non offra nuove differenze di legature e abbreviature
ec. Ma oltrechè la stessa moltitudine e varietà loro impediva che questi tali
caratteri doppi o tripli o quadrupli ec. non fossero ricevuti nell'alfabeto;
esisteva già la grammatica e le regole ortografiche, e gli alfabeti delle
rispettive lingue erano da sì gran tempo, per sì lungo uso, e sì pienamente
determinati, fissati e circoscritti, che non davano più luogo nemmeno ai nessi
più costantemente e universalmente, e con più certa significazione adottati in
quei tempi.
[2745,1] Se non che forse negli alfabeti delle
2746 lingue che si formarono dopo i detti tempi, e
massimamente delle settentrionali, rimase alcun vestigio di quel barbaro uso de'
caratteri composti, il quale è probabilmente l'origine del W, del Ç ec.
[2746,1] Negli alfabeti Orientali, settentrionali antichi ec.
(alcuni de' quali abbondano perciò strabocchevolmente di caratteri,
impropriamente chiamati lettere da' nostri, come il sascrito, che n'ha più di
50.) si trovano moltissimi caratteri rappresentanti due, tre, quattro o anche
più suoni elementari unitamente. I quali caratteri non si debbono creder
sincroni all'invenzione o adozione di quegli alfabeti, ma nati dalla fretta e
dal comodo degli scrivani come nessi, e ricevuti poi facilmente come caratteri
semplici (benchè così numerosi) negli alfabeti di lingue le cui grammatiche e
regole ortografiche o non esistono, o nacquero tardi, o non sono abbastanza
fisse, ferme, certe, stabilite, invariabili, o abbastanza precise, minute,
determinate, esatte, particolari, distinte, o abbastanza note e adottate
universalmente
2747 nella rispettiva nazione, o tardi
hanno conseguito queste qualità. E dico tardi, rispetto alla maggiore o minore
antichità della scrittura e letteratura presso quelle nazioni; presso alcune
delle quali esse sono molto più antiche che presso la greca, come la scrittura e
letteratura sascrita presso gl'indiani.
[2747,1] Nondimeno questa prodigiosa moltiplicità di
caratteri rappresentanti de' suoni composti, nasce in alcuni dei detti alfabeti
dal mancare in essi totalmente o in parte i segni rappresentanti i suoni
semplici della favella. La qual mancanza, ch'è la maggiore imperfezione che
possa essere in un alfabeto, cagiona necessariamente e immediatamente
un'assoluta e indeterminata moltiplicità di segni nell'alfabeto medesimo. Ma
questa mancanza ed imperfezione non è già una prova che quegli alfabeti abbiano
un'origine diversa da quella degli alfabeti Europei. Essa mancanza ed
imperfezione, e la moltiplicità
2748 di caratteri che
ne deriva, e l'uso di segni rappresentanti de' suoni composti, sono tutte
qualità che dovettero necessariamente essere nell'alfabeto primitivo; perchè
l'uomo non arriva al semplice e agli elementi se non per gradi, anzi queste sono
le ultime cose a cui egli arriva, e nell'arrivarvi consiste appunto la maggior
possibile perfezione delle sue idee in qualunque genere. Ora nessuna cosa umana
è perfetta nel suo principio, e massime un'invenzione così difficile e astrusa
come fu quella dell'alfabeto. Non fu poco, anzi fu maravigliosissimo il pensiero
di applicare i segni della scrittura ai suoni {delle
parole} invece di applicarli alle cose e alle idee, come si fece nella
scrittura primitiva e nella geroglifica, come facevano i messicani nelle loro
pitture scrittorie, come fanno i selvaggi, e i chinesi. Dopo concepito questo
mirabile pensiero, che fu l'origine dell'alfabeto, questo pensiero ch'io dico
essere stato unico nel mondo, cioè concepito da un uomo solo (e in questo senso
io sostengo
2749 che l'origine di tutti gli alfabeti
sia stata una sola) molto ancora vi volle, e molto tempo dovette passare, e
molti tentativi farsi, e molti alfabeti passare in uso presso varie nazioni,
prima che l'uomo arrivasse a distinguere i suoni veramente semplici della
favella, cioè quelli di cui si componevano tutti gli altri suoni che formavano
le parole. Ma da principio, e poi successivamente a proporzione, finchè non si
giunse al detto punto, moltissimi suoni composti dovettero parer semplicissimi e
indecomponibili. Il numero di questi, e dei segni destinati a rappresentarli, e
quindi dei caratteri dell'alfabeto, dovette andar sempre scemando a misura che
l'uomo si avvicinava a scoprire i puri elementi dei suoni. Ma in questo
intervallo gli alfabeti che si usavano, dovevano aver molti caratteri, perchè
questi rappresentavano dei suoni composti. Non tutte le nazioni poterono
profittare della scoperta che finalmente si fece dei suoni veramente semplici.
Quelle nel cui uso erasi già
2750 confermato un
alfabeto più o meno composto di {segni rappresentanti
de'} suoni più o manco moltiplici; quelle presso cui la cui la
scrittura era già comune; quelle massimamente che avevano già una letteratura,
dovettero conservare il loro alfabeto, o tal qual era, o semplificato di poco,
perchè l'uso vince ogni ragione. (Basti osservare che la China presso cui l'uso
della scrittura s'era forse o introdotto o diffuso prima che fra le altre
nazioni, non potè neppure o non volle ricevere l'uso dell'alfabeto
assolutamente) Così l'alfabeto fenicio, e gli alfabeti europei derivati da
quello, si perfezionarono, mentre molti alfabeti orientali ec. rimasero
nell'imperfezione, e questa si radicò e si mantenne in essi perpetuamente fino
al dì d'oggi.
[2750,1] Vedesi dalle sopraddette cose, ch'io distinguo due
epoche nelle quali l'uso de' caratteri rappresentãti[rappresentanti] de' suoni composti dovette introdurli ne' vari
alfabeti. L'una prima del perfezionamento dell'alfabeto, l'altra dopo la sua
intera perfezione.
2751 Nell'una e nell'altra epoca
(specialmente però nella prima) questi caratteri contribuirono grandemente a
distinguere l'alfabeto di una nazione da quello di un'altra, benchè tutti gli
alfabeti derivassero da un'origine sola. Anzi parlando delle diversità
intrinseche ed essenziali de' vari alfabeti (cioè di quelle che non consistono
nella forma de' caratteri ec.), questa è {forse} la
loro cagione principale. (3-4. Giugno. 1823.).