Démoni, Angeli, Anime umane di origine divina, Semidei, Apoteosi ec.
Daemons. Angels. Human spirits of divine origin, Demigods, Apotheosis, etc.
Vedi Divinità antiche. Semidei. See Ancient Divinities. Demigods. 3544,2 4048,3 4050,2 4076,3 4094,2 4110,3 4117,1[3544,2]
Alla p. 3496.
Platone nel cit. luogo non par che supponga i démoni un
composto d'uomo e Dio, bensì un genere intermedio tra questo e quello, che
serviva, com'egli espressamente dice, di gradazione, e a riempiere il vôto che
sarebbe stato nella serie degli ésseri, tra il divino e l'umano genere. Pareva
dunque agli antichi {anche filosofi profondi} che tra
questi due generi, tra l'uomo e il Dio, avesse luogo ottimamente la gradazione,
niente manco che tra
3545 specie e specie d'animali,
tra il regno animale il vegetabile ec. Ed erano così lontani dal credere, come
oggi si fa, che la distanza fra l'umano e 'l divino fosse infinita, e infiniti,
o molto numerosi, i gradi intermedi; che anzi egli stimavano che un solo anello
s'intrapponesse nella catena fra' sopraddetti due, e bastasse a congiungerli o
continuarli, e che dall'uomo al Dio un solo grado {passasse,
due soli gradi s'avesse a montare,} e la serie non pertanto fosse
continua. (28. Sett. 1823.).
{Aggiungi gli amori degli Dei verso le mortali e delle
Dee verso i mortali (tanto gli antichi stimavano la bellezza umana), e il
congiungersi di quelli o di queste con quelle o con questi (come se il
divino e l'umano non fossero pur due specie assai prossime, ma appresso a
poco una stessa, così diversa, come in molte specie d'animali vi sono delle
sottospecie, altre più forti, belle, maggiori ec. altre meno), e il
generarsi o partorirsi figliuoli mortali dagli Dei e dalle dee, mortali
affatto, o semidei, come Bacco.
ec.}

[4048,3]
Luciano nel Dialogo di Menippo, Amfiloco e Trofonio.
M. τί δὲ
*
(lego δὴ ut contextus expetit)
ὁ ἥρως ἐστίν; ἀγνοῶ γὰρ. T. ἐξ ἀνϑρώπου τι καὶ ϑεοῦ
σύνϑετον. M. ὃ μήτε ἄνϑρωπός ἐστιν, ὡς ϕῄς, μήτε ϑεός, καὶ συναμϕότερόν
ἐστι.
*
Rechisi al detto altrove pp. 3494-97
pp.
3544-45 sopra l'opinione degli antichi circa i semidei, segno
dell'alto concetto che avevano della natura umana. (16. Marzo
1824.).
[4050,2] Dell'antiche opinioni circa i semidei e gli eroi,
delle quali altrove pp. 3494-96
pp.
3544-45
p.
4048, vedi ancora il Dialogo di
Diogene ed Ercole ne' Dial. de'
morti di Luciano.
(21. Marzo. 1824.).
[4076,3] A proposito del detto altrove pp. 3494-97
pp.
3544-45
p.
4048
p.
4050 circa i semidei dimostranti l'alta opinione che gli antichi
avevano della natura umana, osservisi con quanta facilità si divinizzavano
appresso i romani gl'imperatori o altri della loro famiglia, o loro liberti e
favoriti, o vivi ancora, o morti al tempo e sotto gli occhi di quelli che li
divinizzavano, anzi allora allora.
{anche
Cesare Dittat. fu divinizzato,
con flamine ec. ec., dopo la morte almeno. V. gli storici e Sveton. in fine della sua vita.} Non
dirò già io che nè quelli che li divinizzavano, nè le altre persone
intelligenti, nè forse anche la più ignorante feccia del popolo e la più
superstiziosa, massime in quei tempi già illuminati e disingannati in tante cose
(sebbene anche a quei tempi v'aveano persone, eziandio tra' nobili e senatori,
di maravigliosa superstizione, come e più che non fu Senofonte, spirito sì colto e istruito, fra' greci in
tempi simili) credessero veramente alla divinità di quei tali imperatori o
parenti o favoriti di essi, vivi o morti. Ma quest'uso solo di divinizzare delle
persone
4077 contemporanee, cosa che poichè era tanto
ricercata da un canto dall'ambizione, dall'altro dall'adulazione, non doveva
essere al tutto senza qualche effetto di persuasione in qualche parte del
popolo, dimostra quanto poca distanza e diversità di natura ponessero gli
antichi fra il divino e l'umano, senza di che non sarebbe stato possibile che
una tale assurdità fosse pur venuta loro nella mente. Certo nè anche a' più
barbari, ignoranti e superstiziosi tempi del Cristianesimo, niuno pensò nè
avrebbe potuto pensare o di far credere ad alcuno o solamente di dire {per adulazione o per altro qualunque motivo} che una
persona non solo contemporanea, non solo viva, ma morta ed antica e famosa pure
per santità e per qualsivoglia virtù o dignità, potenza ed opere vere o credute,
fosse stato trasformato o dovesse trasformarsi, non dirò nella natura divina, ma
neanche nell'angelica. E {qual Cristiano} avrebbe osato
fare sopra qualsivoglia Principe Cristiano o no, fosse stato anche molto più
grande e formidabile e più despotico di Augusto, ed esso molto più adulatore e più vile di tutti gli uomini
di quel secolo, un distico simile a quello attribuito a Virgilio: Nocte pluit
tota
*
ec.? Qual Principe Cristiano sarebbesi fatto
rappresentare cogli attributi non dirò dell'Eterno Padre o del Figliuolo, ma
d'un Angelo o di un Apostolo, come gl'Imperatori, i loro parenti, i loro
favoriti, si facevano scolpire, dipingere ec., o erano dipinti e scolpiti per
adulazione, non pur dopo morte, ma in vita, cogli attributi e sotto la forma di
Ercole, (anche una donna è nel
Museo Vaticano rappresentata in istatua sotto questa forma, cioè con clava,
pelle di leone ec.) di Venere, di Mercurio e simili. Lascio i templi,
gl'idoli ed altari eretti a' viventi appo i Romani, con culto {sacrifizi} e onori regolari e giornalieri al tutto
divini, con flamine apposta
4078 destinato al
particolar culto di quella divinità ancor vivente (flamen augustalis ec.), le
pene decretate ed eseguite contro i bestemmiatori o violatori qualunque d'esse
divinità morte o vive, come rei di religione, non di politica, le accuse e
giudizi contro gl'incolpati di tali delitti ec. ec. Anche Alessandro si fece passare per figlio di Giove Ammone, e pare che da qualche
parte del popolaccio fosse creduto, non solo de' barbari, ma de' greci e
macedoni, ed è ben verisimile, o certo egli usò questa finzione come un mezzo
politico per farsi rispettare e temere ec. e tenere in dovere ec. onde mostra
che egli giudicò dovergli essere creduto, e ciò dai greci principalmente e dai
macedoni, poichè i barbari non riconosceano gli stessi déi. V. in Luciano
tra i Diall. de' Morti, quello di Alessandro e Diogene, Alessandro e Filippo,
Alessandro, Annibale, Scipione e Minosse.
(21. Aprile. 1824.). E certo la grecia
allora non era una sciocca nè meno illuminata che fosse
Roma al tempo degl'Imperatori. (21. Apr.
1824.).

[4094,2] Non solo gli antichi avevano tanto alta idea della
natura umana che la stimavano poco inferiore alla divina, come ho detto altrove
pp. 3494-97
pp.
3544-45
p.
4048
p.
4050
p.
4076 parlando de' semidei, ma credevano ancora le anime nostre
parenti, emanazioni, parti della divinità, divine esse stesse, e quasi dee (τὸ
ἐν ἡμῖν ϑεῖον). Della quale opinione non già volgare, anzi propria de' filosofi,
e questi molti e diversi, vedi fra i mille luoghi degli antichi, Cic.
de Divin. l. 1. c. 30. 49. l. 2. c. 11.
58.
Virg.
Georg. l. 4. v. 219. sqq. e quivi
Servio ec. (28. Maggio.
1824.)
{{Cic.
de nat. deor. l. 1. c. 11. 12.
Vedilo anche ib. 2. c. 53.
fin. 62. principio.}}
[4110,3] Il titolo di divino (divinamente ec.) solito darsi in greco, in latino e
nelle lingue moderne per una conseguenza dell'uso di quelle, agli uomini e alle
cose singolari, eccellenti ec. ancorchè in niente sacre nè appartenenti alla
Divinità, non avrebbe certamente avuto mai principio nè luogo nel Cristianesimo.
Esso uso è un residuo dell'antica opinione che innalzava gli uomini poco più
sotto degli Dei ec., del che altrove in più luoghi pp. 3494-97
p.
3544-45
p.
4048
p.
4050
p.
4076
p.
4094. (6. Luglio. 1824.).
[4117,1]
4117
᾽Oμηρος γάρ μοι δοκεῖ...
τοὺς μὲν ἐπὶ τῶν ᾽Iλιακῶν ἀνϑρώπους, ὅσον
ἐπὶ τῇ δυνάμει, ϑεοὺς πεποιηκέναι, τοὺς ϑεοὺς
δὲ ἀνϑρώπους.
*
Longin. sect. 9. ed. Toup. Oxon.
1778. p. 21. (14. Agos. Vigilia dell'Assunzione di Maria Santiss.
1824.).