[932,1] L'estensione reale strettamente considerata, della
quale è capace una lingua, in quanto lingua
933 usuale,
quotidiana, propria, e materna, è piccolissima; e molto minore che non si crede.
Una stretta conformità di linguaggio, e per conseguenza una medesima lingua
strettamente considerata, non è comune se non ad un numero ben piccolo di
persone, e non occupa se non un piccolo tratto geografico.
[1629,1] Ho detto [p. 933] che dilatandosi le nazioni, le lingue si
dividono. Ciò principalmente accade nel volgo, perchè il volgo di un luogo, poco
o nessun commercio conserva con quello di un altro, benchè nazionale. Le altre
classi ve lo conservano o immediato o mediato, per la civiltà che gli unisce, le
scritture ec. ec. 1. Quanto più una nazione è nazione, {+e per ispirito e per istato politico,}
{2.} quanto più il volgo è in commercio colle altre
classi della stessa popolazione, 3. colle altre popolazioni {nazionali,} 4. quanto più una nazione, ed in essa il volgo, è civile,
{+5. quanto più i costumi, i
caratteri ec. sono per conseguenza conformi, sì nel volgo che nelle altre
classi;} tanto i dialetti vernacoli sono minori di numero, e meno
distinti di forma, ec. Applicate queste osservazioni
all'Italia, alla Francia,
Inghilterra, Germania ec.
[1965,1] E qui sopra ed altrove assai spesso la Staël nomina i dialetti tedeschi in
luogo della lingua tedesca. L'idioma
degl'irlandesi diverso in molte qualità essenziali da quello
d'Inghilterra ec. è nominato da Lady Morgan,
France t. 2. liv. 5. ou 6. article Langage.
(21. Ott. 1821.).
[3010,1] Or questa diversa e poetica inflessione e pronunzia
de' vocaboli correnti, che altro è per l'ordinario, se non inflessione e
pronunzia antica, usitata dagli antichi prosatori, nell'antico discorso, ed ora
andata in disuso nella prosa e nel parlar familiare? di modo che quelle parole
così pronunziate e scritte non altro sono veramente che parole antiche e
arcaismi, in quanto così sono scritte e pronunziate? nè altro è ordinariamente
dire inflessioni, licenze, voci poetiche se non arcaismi? Vedi in questo proposito una bella
riflessione di Perticari, Apologia, Capo 14. fine p.
131-2. Certo questa diversità d'inflessione per la più parte non è se
3011 non quello ch'io dico: così ne' poeti greci,
così ne' latini (più schivi però dell'antico, e quindi il loro linguaggio
poetico è assai meno distinto dalla lor prosa quanto a' vocaboli, che il greco),
così negl'italiani. Perocchè non è da credere che {la
inflession d'}una voce sia stimata, e quindi veramente sia, più
elegante o per la prosa o pel verso, perchè e quanto ella è più conforme
all'etimologia, ma solamente perchè e quanto ella è meno trita dall'uso
familiare, essendo però bene intesa e non riuscendo ricercata. (Anzi bene spesso
è trivialissima l'inflessione regolare ed etimologica, ed elegantissima e tutta
poetica la medesima voce storpiata, come dichiaro in altro luogo pp.
2075-76). E questo non esser trita, nè anche ricercata, ma pur bene
intesa, come può accadere a una voce, o ad una cotale inflessione della
medesima? Il pigliarla da un particolar dialetto {o
l'infletterla secondo questo} fa ch'ella non riesca trita
all'universale, ma difficilmente può far ch'ella e non paia ricercata e sia bene
intesa da tutti. {+Oltre ch'ella riesce
anche trita a quella parte della nazione di cui quel dialetto è
proprio.} In verità i dialetti particolari sono scarso sussidio e
fonte al linguaggio poetico, e all'eleganza qualunque. Lo vediamo noi italiani
in Dante, dove le
3012 le voci e inflessioni veramente proprie di dialetti particolari
d'italia fanno molto mala riuscita, nè la poesia
nostra, nè verun savio tra' nostri o poeti o prosatori ha mai voluto imitar Dante nell'uso de' dialetti, non solo
generalmente, ma neppure in ordine a quelle medesime voci e pronunzie o
inflessioni da lui adoperate. Circa l'uso e mescolanza de' dialetti greci nella
inflessione delle parole appresso Omero,
non volendo rinnovare le infinite discussioni già fatte da tanti e tanti in
questo proposito, solamente dirò che o le circostanze della
Grecia e d'Omero erano diverse da quelle che noi possiamo considerare, e quindi
per l'antichità ed oscurità della materia non potendo nulla giudicarne di certo
e di chiaro, niuno argomento ne possiamo dedurre; ovvero (e così penso) quelle
inflessioni che in Omero s'attribuiscono
a' dialetti, e da' dialetti si stima che Omero le prendesse, {o tutte o gran parte}
erano in verità proprie della lingua greca comune del suo tempo, o d'una lingua,
o vogliamo dir d'un uso più
3013 antico ancora di lui;
dalla qual lingua comune, o {{fosse}} più antica, o
allora usitata, Omero tolse quelle
inflessioni ch'egli si stima aver pigliato da questo e da quel dialetto
indifferentemente e confusamente. Non volendo ammetter nulla di questo, dirò che
in Omero la mescolanza de' dialetti dovè
riuscir così male come in Dante. Circa i
poeti greci posteriori, i quali tutti (fuor di quelli che scrissero in dialetti
privati, come Saffo, Teocrito ec.) seguirono interamente Omero, come in ogni altra cosa, così
nella lingua, e da lui tolsero quanto il loro linguaggio ha di poetico, cioè della sua lingua
formarono quella che si chiama dialetto poetico greco, ossia linguaggio poetico
comune, la questione non è difficile a sciogliere. Perocchè quelle inflessioni
ch'essi adoperavano, benchè proprie di particolari dialetti, essi non le
toglievano da' dialetti ma dal dialetto o linguaggio Omerico, di modo ch'elle
riuscivano eleganti e poetiche, non in quanto proprie di privati dialetti, ma in
quanto antiche ed Omeriche; ed erano bene intese
3014
dall'universale della nazione, nè parevano ricercate perchè tutta la nazione
benchè non usasse familiarmente nè in iscrittura prosaica le inflessioni e voci
Omeriche, le conosceva però e v'aveva l'orecchio assuefatto per lo gran
divulgamento de' versi d'Omero cantati
da' rapsodi per le piazze e le taverne, e saputi a memoria fino da' fanciulli.
{#1. V. p. 3041.}
Il che non accadde a' poemi di Dante, il
quale non fu mai in italia neppur poeta di scuola, come
Omero in
grecia presso i grammatisti medesimi, o certo presso i grammatici
(vedi il Laerz. del Wetstenio, tom. 2. p. 583. not. 5.); nè il dialetto o
linguaggio poetico italiano è o fu mai quello di Dante. Dico generalmente parlando, e non d'alcuni pochi
e particolari poeti, suoi decisi imitatori, come Fazio degli
Uberti, l'autore del Quadriregio
Federico Frezzi, ed alcuni
dell'ultimo secolo, come il Varano.
Neppur la lingua del Petrarca è quella
di Dante, nè da lui fu presa, nè punto
si serve de' particolari dialetti.
[3041,1]
3041
Alla p. 3014.
Io credo per certo che in qualunque modo, quelle inflessioni, voci, frasi ec.
che in Omero si credono proprie di tale
o tal altro dialetto, fossero al suo tempo per qualsivoglia cagione conosciute
ed intese da tutte le nazioni greche, o se non altro, da una tal nazione (come
forse la ionica), alla qual sola, in questo caso, egli avrà avuto in animo di
cantare e di scrivere, e avrà probabilmente cantato e scritto. Quanto agli altri
poeti, se le ragioni che ho addotte per ispiegare come, malgrado l'uso de'
dialetti, essi fossero universalmente intesi, non paressero bastanti, si osservi
che effettivamente in grecia, siccome altrove, i poeti
cessarono ben presto di cantare al popolo, (e così pur gli altri scrittori), e
il linguaggio poetico greco divenne certo inintelligibile al volgo, dal cui
idioma esso era anche più separato che non è la lingua poetica italiana dalla
volgare e familiare. Scrissero dunque i poeti per le persone colte, le quali
intendendo e studiando tuttodì e sapendo a memoria i versi d'Omero, e citandoli, parodiandoli, alludendovi a ogni
tratto
3042 nella colta conversazione e nella
scrittura, intendevano anche facilmente gli altri poeti, e il linguaggio poetico
greco, benchè composto delle proprietà di vari dialetti. Perocchè esso era tutto
Omerico, come ho detto, sia in ispecie sia in genere; cioè le inflessioni, le
frasi, le voci che lo componevano, o erano le identiche Omeriche (e tali erano
in fatti forse la più gran parte), o erano di quel tenore, di quella origine,
derivate o formate da quelle di Omero, o
tolte dai fonti e dai luoghi ond'egli le trasse, e ciò secondo i modi e le leggi
da lui seguite. Quei poeti che scrissero dopo Omero al popolo, e per il popolo composero, come i drammatici, poco o
nulla mescolarono i dialetti, e ne segue effettivamente che se talvolta il loro
stile è Omerico, come quello di Sofocle,
il loro linguaggio però non è tale. Esso è attico veramente, {+siccome fatto per gli Ateniesi,} se
non forse nei pezzi lirici, i quali anche per la natura del soggetto e del
genere, sarebbero stati poco alla portata degl'ignoranti. In effetto Frinico appresso Fozio (cod.
158.) conta fra' modelli, regole
3043 norme del puro e schietto sermone attico i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide, e i Comici in quanto sono attici, perocchè questi talora
per ischerzo o per contraffazione mescolarono qualche cosa d'altri dialetti, e
ciò non appartiene al nostro proposito, ed alcuni tragici, forse, avendo
rispetto al gran concorso de' forestieri che d'ogni parte della
grecia accorrevano alla rappresentazione dei drammi
in Atene, non avranno avuto riguardo di usare alcuna cosa
d'altri dialetti. Ma generalmente si vede che il dialetto de' drammatici greci è
un solo. E del resto, siccome tra noi e ne' teatri di tutte le colte nazioni,
benchè la più parte dell'uditorio sia popolo, nondimeno i drammi che
s'espongono, non sono scritti nè in istile nè in lingua popolare, ma sempre
colta, e bene spesso anzi poetichissima e diversissima dalla corrente e
familiare ed eziandio dalla prosaica colta; così si deve stimare che accadesse
appresso a poco più o meno anche in grecia e in
Atene, dove i giudici de' drammi che concorrevano al
premio,
3044 non era finalmente il popolo, ma uno
scelto {e piccol} numero d'intelligenti, e dove le
persone colte fra quelle che componevano l'uditorio, erano per lo meno in tanto
numero come fra noi. {V. il Viaggio
d'Anacar. cap. 70.}
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