[127,1] La gloria non è una passione dell'uomo primitivo
affatto e solitario, ma la prima volta che una truppa d'uomini s'unì per
uccidere qualche fiera, o per qualche altro fatto dov'ebbero mestieri dell'aiuto
scambievole, quegli che mostrò più valore, sentì dirsi bravo schiettamente e
senza adulazione da quella gente che ancora non conoscea questo vizio. La qual
parola gli piacque forte, e così egli come qualche altro spirito magnanimo che
sarà stato presente, sentirono per la prima volta il desiderio della lode. E
così
128 nacque l'amor della gloria. (18. Giugno
1820.).
[128,1] La qual passione è così propria dell'uomo in società,
e così naturale, che anche ora in tanta morte del mondo, e mancanza di ogni
sorta di eccitamenti, nondimeno i giovani sentono il bisogno di distinguersi, e
non trovando altra strada aperta come una volta, consumano le forze della loro
giovanezza, e studiano tutte le arti, e gettano la salute del corpo, e si
abbreviano la vita, non tanto per l'amor del piacere, quanto per esser notati e
invidiati, e vantarsi di vittorie vergognose, che tuttavia il mondo ora
applaude, non restando a un giovane altra maniera di far valere il suo corpo, e
procacciarsene lode, che questa. Giacchè ora pochissimo anche all'animo, ma
tuttavia all'animo resta qualche via di gloria, ma al corpo ch'è quella parte
che fa il più, e nella quale consiste per natura delle cose, il valore della
massima parte degli uomini, non resta altra strada.
[130,2] A quello che ho detto p. 128. aggiungi. Il giovane che entra nel mondo vuol
diventarci qualche cosa. Questo è un desiderio comune e certo di tutti. Ma
oggidì il giovane privato non ha altra strada a conseguirlo fuorchè quella che
ho detto, o l'altra della letteratura che rovina parimente il corpo. Così la
gloria d'oggidì è posta negli esercizi che nuocciono alla salute, in luogo che
una volta era posta nei contrarii. E così per conseguenza s'infiacchiscono
sempre più le generazioni degli uomini, e questo effetto della mancanza
d'illusioni esistenti nel mondo come
una volta, divien cagione di questa stessa mancanza, a motivo del poco vigore
secondo quello che ho detto negli altri pensieri, p. 96
p. 115 della necessità del vigor del corpo alle grandi illusioni
dell'animo. Sono poi troppo noti gli spaventosi effetti della ordinaria vita
giovanile d'oggidì, che a poco a poco ridurranno il mondo a uno spedale. Ma che
rimedio ci trovereste? Che altra occupazione resta oggi a un giovane privato, o
che altra speranza? E credete che un giovane si possa contentare di una vita
inattiva,
131 senza nessuna vista, e nessuna aspettativa
fuorchè di un'eterna monotonia, e di una noia immutabile? Anticamente la vanità
era considerata come propria delle donne, perchè anche nelle donne c'è lo stesso
desiderio di distinguersi, e ordinariamente non ne hanno avuto altro mezzo che
quello della bellezza. Quindi il loro cultus sui,
*
il
quale diceva Celso che adimi feminis non potest.
*
Ora resta intorno alla
vanità la stessa opinione, che sia propria delle donne, ma a torto, perchè è
propria degli uomini quasi egualmente, essendo anche gli uomini ridotti alla
condizione appresso a poco delle femmine, rispetto alla maniera di figurare nel
mondo, e l'uomo vecchio per la massima parte, è divenuto inutile e spregevole, e
senza vita nè piaceri nè speranze, come la donna comunemente soleva e suol
divenire, che dopo aver fatto molto parlar di se, sopravvive alla sua fama
invecchiando. (22. Giugno 1820.).
[131,1] Bisogna escludere dai sopraddetti, {i negozianti} gli agricoltori, gli artigiani, e in breve gli operai,
perchè in fatti la strage del mal costume non si manifesta altro che nelle
classi disoccupate.
[3027,2] Ho discorso altrove p. 826 di
quel luogo di Cic. nella Vecchiezza, dove dice che l'animo nostro, non si sa come,
sempre mira alla posterità ec. e ne deduce ch'egli abbia un sentimento
naturale della sua propria eternità e indestruttibilità. Ho mostrato come questo
effetto viene dal desiderio dell'infinito, ch'è una conseguenza dell'amor
proprio, e dal continuo ricorrer che l'uomo fa colla speranza
3028 al futuro, non potendo esser mai soddisfatto del presente, nè
trovandovi piacere alcuno, e d'altronde non rinunziando mai alla speranza, fino
a trapassar con essa di là dalla morte, non trovando più in questa vita dove
ragionevolmente fermarla. Ma il suddetto effetto non è naturale. Esso viene
dall'esperienza già fatta, che la memoria degli uomini insigni si conserva, dal
veder noi medesimi conservata presentemente e celebrata la memoria di tali
uomini, e dal conservarla e celebrarla noi stessi. Onde introdotta nel mondo
questa fama superstite alla morte, essa è stata ed è bramata e cercata, come
tanti altri beni {+o di opinione o
qualunque,} di cui la natura niun desiderio ci aveva ispirato, e che
sono comparsi nel mondo di mano in mano per varie circostanze, non da principio,
nè creati dalla natura. Nei primissimi principii della società, quando ancor non
v'era esempio di rammemorazioni e di lodi tributate ai morti, neppur gli uomini
coraggiosi e magnanimi, quando anche desiderassero la stima de' loro compagni e
contemporanei, pensarono mai
3029 a travagliare per la
posterità, nè, molto meno, a trascurare il giudizio de' presenti per proccurarsi
quello de' futuri, o rimettersi alla stima de' futuri. Che se il tempo che ho
detto, colle circostanze che ho supposte non v'è mai stato, supponendo però
ch'egli sia stato o sia mai per essere in alcun luogo, certamente ne verrebbe
l'effetto che ho ragionato, cioè che niuno benchè magnanimo, benchè insigne tra'
suoi connazionali o compagni, avrebbe o concepirebbe alcuna cura o pensiero
della posterità. (25. Luglio. dì di San Giacomo. 1823.).
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[4153,5] Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di
far creder al mondo di esser già famoso. (Bologna.
21. Nov. 1825.). {{Analogo e confermativo
4154
{+ di questo detto è quello di Labruyère, che più facile è far
passare un'opera mediocre in grazia di una riputazione dell'autore già
ottenuta e stabilita, che l'ottenere o stabilire una riputazione con
un'opera eccellente.}}}
[4269,2] Noi però abbiamo buonissima ragione di non porre più
che tanto studio intorno allo stile dei libri, atteso la brevità della vita che
essi in ogni modo (non ostante la bontà della stampa) sono per avere. Se mai fu
chimerica la speranza dell'immortalità, essa lo è oggi per gli scrittori. Troppa
è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che
per necessità fanno dimenticare quelli del giorno innanzi; sian pure eccellenti.
Tutti i posti dell'immortalità in questo genere, sono già occupati. Gli antichi
classici, voglio dire, conserveranno quella che hanno acquistata, o almeno è
credibile che non morranno così tosto. Ma acquistarla ora, accrescere il numero
degl'immortali; oh questo io non credo che sia più possibile.
4270 La sorte dei libri oggi, è come quella degl'insetti chiamati
efimeri (éphémères): alcune specie vivono poche ore, alcune una notte, altre 3 o
4 giorni; ma sempre si tratta di giorni. Noi siamo veramente oggidì passeggeri e
pellegrini sulla terra: veramente caduchi: {+esseri di un giorno: la mattina in fiore, la sera
appassiti, o secchi: soggetti anche a sopravvivere alla propria fama, e più
longevi che la memoria di noi.} Oggi si può dire con verità maggiore
che mai: Oἵη περ ϕύλλων
γενεή, τοιήδε καὶ ἀνδρῶν
*
(Iliad.
6. v. 146.) Perchè non ai soli letterati, ma ormai a tutte le
professioni è fatta impossibile l'immortalità, in tanta infinita moltitudine di
fatti e di vicende umane, dapoi che la civiltà, la vita dell'uomo civile, e la
ricordanza della storia ha abbracciato tutta la terra. Io non dubito punto che
di qua a dugent'anni non sia per esser più noto il nome di Achille, vincitor di Troia, che
quello di Napoleone, vincitore e signore
del mondo civile. Questo sarà uno dei molti, si perderà tra la folla; quello
sovrasterà, per esser montato in alto assai prima; conserverà il piedestallo,
{il rialto,} che ha già occupato da tanti
secoli.
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