Mitologie, Simboli ec. Loro origine e ragione ec.
Mythologies, Symbols, etc. Their origin and explanation, etc.
2940-1 3430,2 3638,3 3644 3811,4 3878,1 4001,1 4070,1 4238,4Differenza dalle antiche alle moderne mitologie.
Difference between ancient and modern mythologies.
4238,4[2939,1] Dalle lunghe considerazioni da me fatte circa quello
che voglia significare nella Genesi l'albero della scienza ec.
pp. 393. sgg. ,
dalla favola di Psiche della quale ho
parlato altrove pp. 637-68, e da altre o favole o dogmi ec.
antichissimi, che mi pare avere accennato in diversi luoghi pp.
63-64, si può raccogliere non solo quello che generalmente si dice,
che la corruzione e decadenza del genere umano da uno stato migliore, sia
comprovata da una remotissima, universale, costante e continua tradizione, ma
che eziandio sia comprovato da una tal tradizione e dai monumenti della più
antica storia e sapienza, che questa corruttela e decadimento del genere umano
da uno stato felice, sia nato dal sapere, e dal troppo conoscere, e che
l'origine della sua infelicità sia stata la scienza e di se stesso e del mondo,
e il troppo uso della ragione. E pare che questa verità fosse nota ai più
antichi sapienti, e una
2940 delle principali e
capitali fra quelle che essi, forse come pericolose a sapersi, enunziavano sotto
il velo dell'allegoria e coprivano di mistero e vestivano di finzioni, o si
contentavano di accennare confusamente al popolo; il quale era in quei tempi
assai più diviso per ogni rispetto dalla classe de' sapienti, che oggi non è:
onde nasceva l'arcano in cui dovevano restare quei dogmi ch'essendo sempre
proprii de' soli sapienti, non erano {allora} quasi per
niun modo communicati al popolo, separato affatto dai saggi. Oltrechè in quei
tempi l'immaginazione influiva e dominava così nel popolo, come anche nei
sapienti medesimi, onde nasceva che questi, eziandio senz'alcuna intenzione di
misteriosità, e senz'alcun secondo fine, vestissero le verità di {figure,} e le rappresentassero {altrui} con sembianza di favole. E infatti i primi sapienti furono i
poeti, o vogliamo dire i primi sapienti si servirono della poesia, e le prime
verità furono annunziate in versi, non, cred'io, con espressa intenzione di
velarle e farle poco intelligibili, ma perchè esse si presentavano
2941 alla mente stessa dei saggi in un abito lavorato
dall'immaginazione, e in gran parte erano trovate da questa anzi che dalla
ragione, {+anzi avevano eziandio gran
parte d'immaginario, specialmente riguardo alle cagioni ec., benchè di buona
fede creduto dai sapienti che le concepivano o annunziavano.} E
inoltre per propria inclinazione e per secondar quella degli uditori, cioè de'
popoli a cui parlavano, i saggi si servivano della poesia e della favola per
annunziar le verità, benchè niuna intenzione avessero di renderle méconnaissables. (11. Luglio 1823.).
[3430,2] Natura insegna il curare e onorare i cadaveri di
quelli che in vita ci furon cari o conoscenti per sangue o per circostanze ec. e
l'onorar quelli di chi fu in vita onorato ec. {Veggasi a questo
proposito la Parte primera de la Chronica del Peru di
Pedro de Cieça de Leon. en
Anvers 1554. 8.vo piccolo. cap. 53. fine. a
car. 146. p. 2. cap. 62. 63. 100. 101. principio.} Ma ella
non insegna di seppellirli nè di abbruciarli, nè di torceli in altro modo
davanti agli occhi. Anzi a questo la natura ripugna, perchè il separarci
perpetuamente da' cadaveri de' nostri è, naturalmente parlando, separazione più
dolorosa che la morte loro, la qual non facciam noi, ma questa è volontaria ed
opera nostra, e quella è quasi insensibile a chi si trova presente, e accade
bene spesso a poco a poco; questa è manifestissima e si fa in un punto. E
separarsi da' cadaveri tanto è quasi in natura quanto separarsi dalle persone di
chi essi furono, perchè degli uomini non si vede che il corpo, il quale, ancor
morto, rimane, ed è, naturalmente, tenuto per la persona stessa, benchè mutata
(piuttosto che in luogo di
3431 quella), e per tutto
ciò ch'avanza di lei. Ma d'altra parte il lasciare i cadaveri imputridire sopra
terra e nelle proprie abitazioni, volendoseli conservare dappresso e presenti, è
mortifero, e dannoso ai privati e alla repubblica. I poeti, oltre all'avere
insegnato che nella morte sopravvive una parte dell'uomo, anzi la principale e
quella che costituisce la persona, e che questa parte va in luogo a' vivi non
accessibile e a lei destinato, onde vennero a persuadere che i cadaveri de'
morti, non fossero i morti stessi, nè il solo nè il più che di loro avanzava;
oltre, dico, di questo, insegnarono che l'anime degl'insepolti erano in istato
di pena, non potendo niuno, mentre i loro corpi non fossero coperti di terra,
passare al luogo destinatogli nell'altro mondo. Così vennero a fare che il
seppellire i morti o le loro ceneri, e levarsegli dinanzi, fosse, com'era utile
e necessario ai vivi, così stimato utile e dovuto ai morti, e desiderato da
loro; che paresse opera d'amore verso i morti quello che per se sarebbe stato
segno di disamore, e opera d'egoismo; che l'amore
3432
così consigliato e persuaso imponesse quello ch'esso medesimo naturalmente
vietava; {+che venisse ad esser secondo
natura e suggerito dall'amor naturale, quello che per se aveva al tutto
dello snaturato;} e che fosse inumanità e spietatezza il trascurar
quello che senza ciò sarebbesi tenuto per inumano e spietato. Così gli antichi e
primi poeti e sapienti facevano servire l'immaginazione de' popoli, e le
invenzioni e favole proprie a' bisogni e comodi della società, conformando
quelle a questi, e si verifica il detto di Orazio nella poetica ch'essi furono gl'istitutori e i
fondatori del viver cittadinesco e sociale, onde Orfeo ed Anfione furono eziandio tenuti per fondatori di città. E così gli
antichi dirigevano la religione al ben pubblico e temporale, e secondo che
questo richiedeva la modellavano, e di questo facevano la ragione e il principio
e l'origine de' dogmi di essa: opponendola alla natura dove questa si opponeva
alle convenienze della vita sociale; e vincendo la natura fortissima,
coll'opinione ancor più forte, massime l'opinion religiosa. (15.
Settembre. 1823.). {+Chi
riguarda come legge naturale il seppellire o abbruciare ec. i cadaveri,
troverà forse in queste osservazioni di che mutar sentenza.}
[3638,3]
Primos in orbe deos fecit timor.
*
Intorno a ciò
altrove p. 2208
pp. 2387-89. Or si aggiunga, che siccome quanto è maggior l'ignoranza
tanto è maggiore il timore, e quanta più la barbarie tanta {è} più l'ignoranza, però si vede che le idee de' più barbari e
selvaggi popoli circa la divinità, se non forse in alcuni climi tutti piacevoli,
sono per lo più spaventose ed odiose, come di esseri tanto di noi invidiosi e
vaghi del nostro male quanto più forti di noi. Onde le immagini ed idoli che
costoro si fabbricano de' loro Dei, sono mostruosi e di forme terribili, non
solo per lo poco artifizio di chi fabbricolle, ma eziandio perchè tale si fu la
intenzione e la idea dell'artefice. E vedesi questo medesimo anche in molte
nazioni che benchè lungi da civiltà pur non sono senza cognizione ed
3639 uso sufficiente di arte in tali ed altre opere di
mano ec. come fu quella de' Messicani, {#1.
i cui idoli più venerati eran pure bruttissimi e terribilissimi d'aspetto
{come} d'opinione. Molte nazioni selvagge, o
ne' lor principii, riconobbero per deità questi o quelli animali più forti
dell'uomo, e forse tanto più quanto maggiori danni ne riceveano, e maggior
timore ne aveano, e minori mezzi di liberarsene, combatterli, vincerli ec.
La forza superiore all'umana è il primo attributo riconosciuto dagli uomini
nella divinità. V. p.
3878.} E certo egli è segno di civiltà molto cresciuta e bene
istradata il ritrovare in una nazione e la idea e le immagini o simboli o
significazioni della divinità, piacevoli o non terribili. Come fu in
Grecia, sebben molto a ciò dovette contribuire la
piacevolezza e moderatezza di quel clima, che nulla o quasi nulla offre mai di
terribile. Perocchè le forze della natura vedute negli elementi ec.,
riconosciute per superiori di gran lunga a quelle degli uomini, e, a causa
dell'ignoranza, credute esser proprie di qualche cosa animata e capace, come
l'uomo, di volontà, poichè è capace di movimento, di muovere ec.; sono state le
cose che hanno suscitata l'idea della divinità (perchè gli uomini amano e son
soliti di spiegar con un mistero un altro mistero, e d'immaginar cause
indefinibili degli effetti che non intendono, e di rassomigliare l'ignoto al
noto; come le cause ignote de' movimenti naturali, alla volontà ed all'altre
forze note che producono i movimenti animali ec.), ond'è ben naturale che tale
3640 idea corrispondesse alla natura di tali
effetti, e fosse terribile se terribili, moderata se moderati, piacevole se
piacevoli ec. e più e meno secondo i gradi ec. Se non che nell'idea primitiva
dovette sempre prevalere o aver gran parte il {terribile,} perchè essendo l'uomo naturalmente inclinato più al
timore che alla speranza, {#1. come altrove
in più luoghi pp. 458-59
pp. 1303-304
pp. 2206-208
pp. 3433-35} una forza superiore
affatto all'umana, dovette agl'ignoranti naturalmente aver sempre del
formidabile. Oltre che in ogni paese v'ha tempeste, benchè più o meno terribili
ec. E tra le varie divinità di una nazione che ne riconosca più d'una, di una
mitologia ec., le più antiche son certamente le più formidabili e cattive, e le
più amabili e benefiche ec. son certamente le più moderne. {Le nazioni più civilizzate adoravano gli animali utili,
domestici, mansueti ec. come gli egizi il bue, il cane, o loro immagini. Le
più rozze, gli animali più feroci, o loro sembianze (v. la parte 1. della Cron. del
Peru di Cieça,
cap. 55. fine. car. 152. p. 2.). Quelle p. e. il sole o solo o principalmente, queste, o sola o principalmente la tempesta ovvero ec. ec.
{+E a proporzione della rozzezza
o civiltà, gli Dei ec. malefici e benefici erano stimati più o men
principali e potenti, ed acquistavano o perdevano nell'opinione e
religion del popolo, e nelle mitologie, e riti ec.}
V. p. 3833.} Come della
mitologia greca e latina ec. senza dubbio si dee dire. Infatti anche
indipendentemente da questa osservazione, s'hanno argomenti di fatto per
asserire che {p. e.}
Saturno, Dio
crudele e malefico, {#2. e rappresentato
per vecchio, brutto, e d'aspetto come d'indole e di opere, odioso,} fu
l'uno de' più antichi Dei della Grecia o della nazione
onde venne la greca e latina mitologia, e più antico di Giove ec. Effettivamente la
detta mitologia favoleggia che Saturno regnò prima di Giove,
3641 e da costui fu privato del regno. La qual favola o volle
espressamente significare la mutazione delle idee de' greci ec. circa la
divinità, e il loro passaggio dallo spaventoso all'amabile ec. cagionato dal
progresso della civiltà, e decremento dell'ignoranza; o (più verisimilmente)
ebbe origine e occasione da questo passaggio, di essere inventata
naturalmente.
[3643,1] Fuoco - Il suo uso è indispensabile necessità ad una
vita comoda e civile, {+1. anzi pure ai
primissimi comodi.} - Or tanto è lungi che la natura l'abbia insegnato
all'uomo, che fuor di un puro caso, e senza lunghissime e diversissime
esperienze, ei non può averlo scoperto nè concepito - E non possono neppure i
filosofi indovinare come abbia fatto l'uomo non pure ad accendere, ma a vedere e
scoprire il primo fuoco. Chi ricorre a un incendio cagionato dal fulmine, chi al
frottement reciproco de' rami degli alberi
cagionato da' venti nelle
3644 foreste, {chi a' volcani,} e chi ad altre tali ipotesi l'una
peggio dell'altra - E conosciuto il fuoco, come avrà l'uomo trovato il modo di
accenderlo sempre che gli piaceva? Senza di che e' non gli era di veruno uso. E
di estinguerlo a suo piacere? Quanto avrà egli dovuto tardare a {sapere e a} trovar tutte queste cose - Gli antichi
favoleggiavano che il fuoco fosse stato rapito al cielo e portato di lassù in
terra. Segno che l'antica tradizione dava l'invenzione del fuoco e del suo uso e
del modo di averlo, accenderlo, estinguerlo a piacere, per un'invenzione non
delle volgari, ma delle più maravigliose; e che questa invenzione non fu fatta
subito, ma dopo istituita la società, e non tanto ignorante, altrimenti ella non
avrebbe potuto dar luogo a una favola, e a una favola la quale narra che il
ratto del fuoco fu opera di chi volle beneficare la società umana ec - Non solo
la natura non ha insegnato l'uso del fuoco, nè somministrato {pure} il fuoco {agli uomini} se non a caso,
ma ello[ella] lo ha fatto eziandio formidabile,
e pericolosissimo il suo uso. E lasciando i danni morali, quanti infiniti ed
immensi danni fisici non ha fatto l'uso del fuoco sì all'altre
3645 parti della natura sì allo stesso genere umano.
Niuno de' quali avrebbe avuto luogo se l'uomo non l'avesse adoperato, e
contratto il costume di adoperarlo. Il fuoco è una di quelle materie, di quegli
agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente
seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli
animali, e dalla superficie del globo, dove essa vita e la vegetazione e la vita
totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciarlo
manifestare che nelle convulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali
{{e particolari,}} com'è quello de' vulcani, che
sono fuor dell'ordine {generale} e della regola
ordinaria della natura. Tanto è lungi ch'ella abbia avuto intenzione di farne
una materia d'uso ordinario e regolare nella vita degli animali o di
qualsivoglia specie di animali, e nella superficie del globo, e di sottometterlo
all'arbitrio dell'uomo, come le frutta o l'erbe ec., e di destinarlo come
necessario alla felicità e quindi alla natural perfezione della principale
specie di esseri terrestri -
3646
Orazio
(1. od. 3.) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto
ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e
l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e
morbi ec. di quanti la navigazione; e come altrettanto colpevole della
corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana - Ma il fuoco è
necessario all'uomo anche non sociale, ed alla vita umana semplicemente. Come si
vivrebbe in Lapponia o sotto il polo, anzi pure in
Russia ec. senza il fuoco? Primieramente, rispondo
io, come dunque la natura l'ha così nascosto ec. come sopra? Come poteva ella
negare agli esseri ch'ella produceva il precisamente necessario alla vita,
all'esistenza loro? o render loro difficilissimo il procacciarselo? e
pericolosissimo l'adoperare il necessario? pericolosissimo, dico, non meno a se
stessi che altrui? Ed essendo quasi certo, secondo il già detto, che gli uomini
non hanno potuto non tardare un pezzo (più o men lungo) a scoprire il fuoco, e
più ad avvedersi che lor potesse
3647 servire ed a che,
e più a trovare il come usarlo, il come averlo al bisogno ec. e a vincere il
timore che e' dovette ispirar loro, sì naturalmente, sì per li danni che ne
avranno ben tosto provati {e certo} prima di conoscerne
{anzi pur d'immaginarne l'uso e la proprietà,} sì
ancora forse per le cagioni che lo avranno prodotto (come se fulmini o volcani o
tali fenomeni ec.), sì per gli effetti che n'avranno veduto fuor di se, come
incendi e {{struggimenti}} d'arbori, di selve ec. morti
e consunzioni e incenerimento d'animali, {o d'altri
uomini} ec. ec.; stante dico tutto questo, come avranno potuto vivere
tanti uomini, o sempre, o fino a un certo tempo, senza il necessario alla vita
loro? Secondariamente, chiunque non consideri il genere umano per più che per
una specie di animali, superiore bensì all'altre, ma una finalmente di esse;
chiunque si contenti e si degni di tener l'uomo non per il solo essere, ma per
un degli esseri, di questa terra, diverso dagli altri di specie, ma non di
genere nè totalmente, nè formante un ordine e una natura a parte, ma compreso
nell'ordine e nella natura di tutti gli altri esseri sì della terra sì di questo mondo,
3648 e partecipante delle qualità ec. degli altri, come gli altri
delle sue, e in parte conforme in parte diverso dagli altri esseri, e fornito di
qualità parte comuni parte proprie, come sono tutti gli altri esseri di questo
mondo, ed insomma avente piena e vera proporzione cogli altri esseri, e non
posto fuor d'ogni proporzione e gradazione e rispetto e attinenza e convenienza
e affinità ec. verso gli altri; chiunque non crederà che tutto il mondo {o} tutta la terra e ciascuna parte di loro sian fatte
unicamente ed espressamente per l'uomo, e che sia inutile e indegna della natura
qualunque cosa, qualunque creatura, qualunque parte o della terra o del mondo
non servisse o non potesse nè dovesse servire all'uomo, nè avesse per fine il
suo servigio; chiunque così la pensi, risponderà facilmente alla soprascritta
obbiezione. S'egli v'ha, come certo v'avrà, una specie di pianta, che rispetto
al genere de' vegetabili ed alla propria natura loro {generale,} sia di tutti i vegetabili il più perfetto, e sia la
sommità del genere vegetale, come lo è l'uomo dell'animale, non per questo
3649 seguirà nè sarà necessario ch'essa pianta nè si
trovi nè prosperi, nè debba nè pur possa prosperare nè anche allignare nè
nascere in tutti i paesi e climi della terra, nè in qualsivoglia regione de'
climi ov'ella più prospera e moltiplica, nè in qualsivoglia terreno e parte
delle regioni a lei più proprie e naturali. Così discorrasi nel genere o regno
minerale, e negli altri qualunque. Che all'uomo in società giovi la
moltiplicazione e diffusione della sua specie, o per meglio dire che alla
società giovi la moltiplicazione e propagazione della specie umana, e tanto più
quanto è maggiore, questo è altro discorso, {#1. questo suppone lo stato di società ch'io
combatto.} e certo s'inganna assai chi lo nega. Ma che la natura {medesima} abbia destinato la specie umana a tutti i
climi e paesi, e tutti i climi e paesi alla specie umana, questo è ciò che nè si
può provare, e secondo l'analogia, che sarà sempre un fortissimo, e forse il più
forte argomento di cognizione concesso all'uomo, si dimostra per falsissimo.
Niuna pianta, niun vegetale, niun minerale, niuno animale conosciuto si trova in
tutti i paesi e climi
3650 nè in tutti potrebbe vivere
e nascere, non che prosperare ec. Altre specie di vegetabili e di animali {ec.} si trovano e stanno bene in più paesi e più
diversi, altre in meno, niuna in tutti, e niuna in tanti e così vari di qualità
e di clima, in quanti e quanto vari è diffusa la specie umana. Tra la
propagazione e diffusione di questa specie e quella dell'altre non v'ha
proporzione alcuna. E notisi che la propagazione di molte specie di animali, di
piante ec. devesi {in gran parte} non alla natura, ma
all'uomo stesso, onde non avrebbe forza di provar nulla nel nostro discorso.
Molte specie che per natura non erano destinate se non se a un solo paese, o a
una sola qualità di paesi, o a paesi poco differenti, sono state dagli uomini
trasportate e stabilite in più paesi, in paesi differentissimi ec. Ciò è contro
natura, come lo è lo stabilimento della specie umana medesima in quei luoghi che
a lei non convengono. Le piante, gli animali ec. trasportate e stabilite
dall'uomo in paesi a loro non convenienti, o non ci durano, o non prosperano, o
ci degenerano, ci si trovano male ec. Gl'inconvenienti
3651 a cui le tali specie sono soggette ne' tali casi in siffatti
luoghi, sono forse da attribuirsi alla natura? e se esse in detti luoghi, pur,
benchè male, sussistono, si dee forse dire che la natura ve le abbia destinate?
e il genere di vita ch'esse sono obbligate a tenere in siffatti luoghi, o che
loro è fatto tenere, e i mezzi che impiegano a sussistere, o che s'impiegano a
farle sussistere, si debbono forse considerare come naturali, come lor propri
per loro natura? e argomentare da essi delle intenzioni della natura intorno a
dette specie?
[3811,4]
Alla p. 3666.
Provano l'unicità di origine nel genere umano le conformità di tradizioni, di
religioni, di opinioni non naturali, di mitologie, dì certe usanze, di certi
dogmi, riti ec. conformità e corrispondenze che si trovano fra popoli del cui
scambievole commercio non si ha memoria alcuna (fino agli ultimi momenti) nè se
ne vede il come, in popoli affatto disgiunti dagli altri, come in isole
remotissime ec. recentemente scoperte, e non mai, a memoria {alcuna} d'uomini, per l'avanti calcate da forestieri, e in cui tutto
dà a vedere che non mai furono calcate da forestieri;
3812 conformità, corrispondenze, e unicità o medesimezze di origine
ora più ora meno patenti, ora più ora meno svisate, lontane, leggere e difficili
a riconoscersi, com'è naturale in tanti secoli e tanta diversificazione accaduta
ne' vari popoli, ma non però men vere, nè meno atte a dimostrare il nostro
proposito, (poichè basta una menoma conformità, la quale non possa essere o non
si possa credere accidentale, a provare l'unicità e medesimezza dell'origine
ec.) e molte volte incontrastabili ec. Come son quelle che i critici hanno
riconosciuto, e vengono sempre più riconoscendo tra la mitologia ec. indiana e
la greca ec. tra l'egiziana e la greca ec. e quelle di moltissime altre nazioni
antiche ec. V. Annali di Scienze e lettere di
Milano. Gennaio 1811. num. 13. vol. 5. p.
37. ec. Dove troverai osservazioni concorrenti a dimostrare l'unicità
dell'origine di molti popoli la cui unica radice è generalmente
sconosciutissima. Or da questa unicità, e da quella di altri ivi mentovati, che
si dicono di altra origine dai primi ma comune tra loro (benchè parimente
sogliano essere reputati diversissimi di radice), si può, se non istoricamente e
per certe dimostrazioni o congetture critiche, ben però filosoficamente
argomentare la più remota unicità dell'origine sì de' secondi popoli rispetto ai
primi, sì di tutti i popoli insieme. Alcuni popoli si diramarono e divisero in
tempi a noi più prossimi o di cui ci restano più monumenti e più noti. Questi
popoli son tenuti generalmente per conformi di origine. Altri in tempi più
remoti e di cui ci restano meno o men noti monumenti, furon tutt'uno. Questi non
son tenuti per conformi di origine se non da' più dotti. Così salendo, si
argomenta che anche
3813 dove l'unicità dell'origine
non può (almen finora) per niun modo apparire, ella non è per tanto men vera,
benchè non apparisca o per maggior lontananza de' tempi, o per mancanza o
scarsezza o oscurità o poca cognitezza di monumenti ec. Il filosofo da'
particolari inferisce i generali, da' simili i simili, dal noto l'ignoto, e se
neppure il critico, molto meno il filosofo ha bisogno di mostrar co' fatti ogni
particolare, ovvero ogni generale con fatti generali o con tutti i particolari
che cadono sotto quel tal generale ec. ma spesso e bene dimostra co' particolari
il generale, e non con tutti i particolari, ma con alcuno, e i particolari con
altri particolari o col generale ec. (31. Ott. 1823.).
[3878,1]
Alla p. 3639.
marg. Esseri più forti dell'uomo; ecco i primi Dei adorati dagli
uomini, o da loro riconosciuti e immaginati e considerati per tali; ecco la
prima idea della divinità. E come i più forti per lo più {+anzi, naturalmente e primitivamente, sempre} si
prevalgono di questo, come di ogni altro, vantaggio, in loro proprio bene, e
quindi sovente in danno de' più deboli, e però essi sono, appunto in quanto più
forti, malefici e formidabili ai più deboli; e come gli stessi individui umani,
massime nella società primitiva e selvaggia (che fu quella in cui nacque
3879 l'idea della Divinità) così ne usavano {e ne usano} verso i più deboli per qualunque lato, sì
loro simili, sì d'altre specie; quindi nell'idea primitiva della Divinità che
consisteva nella maggior forza e soprumana, dovette necessariamente entrare
l'idea della maleficenza e della terribilità, naturali effetti e conseguenze e
compagne della maggior forza. Anche gli uomini ch'erano o erano stati
straordinariamente superiori e più forti degli altri, sia di forza corporale,
sia di quella che nasce da qualunqu'altro vantaggio, ancorchè malefici, temuti e
odiati, furono non di rado nelle società primitive, e lo sono forse ancora nelle
selvagge, divinizzati sì nell'idea, sì talora nel culto, vivi o morti; e questo
si può anche riconoscere presso i critici che indagano le origini della stessa
mitologia greca, men feroce {e terribile e odiosa,}
anzi più molle ed umana e ridente e amena {e vaga e
graziosa} ed amabile di tutte l'altre ec. (13. Nov.
1823.).
[4001,1] A proposito delle divinità benefiche, che altrove ho
detto pp. 3638-45 essere
ed essere state venerate, inventate ec. dalle nazioni civili, e più quanto più
civili, si aggiunga che non solo benefiche, ma graziose, amabili ec. ancorchè
non benefiche, o indifferenti ec. come tante divinità, allegorici personaggi,
personificazioni di qualità o soggetti ec. naturali, umani ec. nella mitologia
greca ec. ec. (24. Dec. Vigilia del S. Natale. 1823.).
[4070,1] Gli uomini governati in pubblico o in privato da
altri, e tanto più quanto il governo è più stretto, {(i
fanciulli, i giovani ec.)} accusano sempre, o tendono naturalmente ad
accusare de' loro mali o della mancanza de' beni, delle noie e scontentezze
loro, quelli che li governano, anche in quelle cose nelle quali è evidentissima
l'innocenza di questi, e la impossibilità o d'impedire o rimediare a quei mali o
di proccurar quei beni, e la totale indipendenza e irrelazione di queste cose
con loro. La cagione è che l'uomo essendo sempre infelice, naturalmente tende ad
incolparne altresì sempre non la natura delle cose e degli uomini, molto meno ad
astenersi dall'incolpare alcuno, ma ad incolpar sempre qualche persona o cosa
particolare in cui possa sfogar l'amarezza che gli cagionano i suoi mali, e che
egli possa per cagione di questi fare oggetto e di odio e di querele, le quali
sarebbero assai men dolci di quello che sono a chi soffre se non cadessero
contro alcuno riputato in colpa del suo soffrire. Questa naturale tendenza opera
poi che il misero si persuade anche effettivamente di quello che egli immagina,
e quasi desidera che sia vero. Da ciò è nato che egli ha immaginato i nomi e le
persone di fortuna, di fato, incolpati sì lungamente dei mali umani, e sì
sinceramente odiati dagli antichi infelici, e contro i quali anche oggi, in
mancanza d'altri
4071 oggetti, rivolgiamo seriamente
l'odio e le querele delle nostre sventure. Ma molto più dolce fu agli antichi ed
è a' moderni l'incolpare qualche cosa sensibile, e massime qualche altro uomo,
non solo per la maggior verisimiglianza, e quindi facilità di persuaderci della
sua colpa, che è quello che ci bisogna, ma più ancora perchè l'odio e le querele
sono più dolci quando si rivolgono sopra cose presenti che ne possano essere
testimoni, e sottoposte alla vendetta che noi con esso odio vano e con esse vane
querele intendiamo fare di loro. Massimamente poi è dolce l'odio e il lamento
quando è rivolto sui nostri simili, sì per altre cagioni, sì perchè la colpa non
può veramente appartenere se non a esseri intelligenti. Quelli che ci governano
sono {da noi facilmente} scelti a far questa persona di
rei de' nostri mali, {+che non hanno
altro reo manifesto o accusabile,} e a servir di {soggetto e} scopo della vana vendetta che ci è dolce fare de'
medesimi mali. Essi sono in fatti in tali casi i più adattati, e quelli di cui
ci possiamo dolere esteriormente e interiormente con più di verisimilitudine.
Quindi è che chi governa in pubblico o in privato è sempre oggetto d'odio e di
querele de' governati. Gli uomini sono
sempre scontenti perchè sono sempre infelici. Perciò sono scontenti del
loro stato, perciò medesimo di chi li governa. (Essi sentono e sanno bene di
essere infelici, di patire, di non godere, e in ciò non s'ingannano. Essi
pensano aver diritto di esser felici, di godere, di non patire, e in ciò ancora
non avrebbero il torto, se non fosse che in fatto questo che essi pretendono è,
non che altro, impossibile.)
4072 E come non si può
fare che gli uomini sieno mai felici, e però nè anche che sieno contenti, così
niun governante nè pubblico nè privato, qualunque amore abbia a' soggetti,
qualunque cura del loro bene, qualunque sollecitudine di scamparli o sollevarli
dai mali, qualunque merito insomma verso di loro, non può mai ragionevolmente
sperare che essi non l'odino e non lo querelino, anche i più savi, perchè è
natura nell'uomo il lagnarsi di qualcuno, quasi altrettanto che l'essere
infelice, e questo qualcuno è per l'ordinario e molto naturalmente quello che li
governa. Però circa il governare non v'ha pur troppo che due partiti veramente
savi, o astenersi dal governo, {+sia
pubblico sia privato,} o amministrarlo totalmente a vantaggio proprio
e non de' governati. (17. Aprile. 1824. Sabato Santo.).
[4238,4] Differenza tra le antiche e le più recenti, le prime
e le ultime, mitologie. Gl'inventori delle prime mitologie (individui o popoli)
non cercavano l'oscuro per
4239 tutto, eziandio nel
chiaro; anzi cercavano il chiaro nell'oscuro; volevano spiegare e non
mistificare e scoprire; tendevano a dichiarar colle cose sensibili quelle che
non cadono sotto i sensi, a render ragione a lor modo e meglio che potevano, di
quelle cose che l'uomo non può comprendere, o che essi non comprendevano ancora.
Gl'inventori delle ultime mitologie, i platonici, e massime gli uomini dei primi
secoli della nostra era, decisamente cercavano l'oscuro nel chiaro, volevano
spiegare le cose sensibili e intelligibili, colle non intelligibili e non
sensibili; si compiacevano delle tenebre; rendevano ragione delle cose chiare e
manifeste, con dei misteri e dei secreti. Le prime mitologie non avevano
misteri, anzi erano trovate per ispiegare, e far chiari a tutti, i misteri della
natura; le ultime sono state trovate per farci creder mistero e superiore alla
intelligenza nostra anche quello che noi tocchiamo con mano, quello dove,
altrimenti, non avremmo sospettato nessuno arcano. Quindi il diverso carattere
delle due sorti di mitologie, corrispondente al diverso carattere sì dei tempi
in cui nacquero, sì dello spirito e del fine o tendenza con cui furono create.
Le une gaie, le altre tetre ec. (Recanati 29. Dic.
1826.).
[4238,4] Differenza tra le antiche e le più recenti, le prime
e le ultime, mitologie. Gl'inventori delle prime mitologie (individui o popoli)
non cercavano l'oscuro per
4239 tutto, eziandio nel
chiaro; anzi cercavano il chiaro nell'oscuro; volevano spiegare e non
mistificare e scoprire; tendevano a dichiarar colle cose sensibili quelle che
non cadono sotto i sensi, a render ragione a lor modo e meglio che potevano, di
quelle cose che l'uomo non può comprendere, o che essi non comprendevano ancora.
Gl'inventori delle ultime mitologie, i platonici, e massime gli uomini dei primi
secoli della nostra era, decisamente cercavano l'oscuro nel chiaro, volevano
spiegare le cose sensibili e intelligibili, colle non intelligibili e non
sensibili; si compiacevano delle tenebre; rendevano ragione delle cose chiare e
manifeste, con dei misteri e dei secreti. Le prime mitologie non avevano
misteri, anzi erano trovate per ispiegare, e far chiari a tutti, i misteri della
natura; le ultime sono state trovate per farci creder mistero e superiore alla
intelligenza nostra anche quello che noi tocchiamo con mano, quello dove,
altrimenti, non avremmo sospettato nessuno arcano. Quindi il diverso carattere
delle due sorti di mitologie, corrispondente al diverso carattere sì dei tempi
in cui nacquero, sì dello spirito e del fine o tendenza con cui furono create.
Le une gaie, le altre tetre ec. (Recanati 29. Dic.
1826.).
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