9. 10. Ott. 1823.
[3643,1] Fuoco - Il suo uso è indispensabile necessità ad una
vita comoda e civile, {+1. anzi pure ai
primissimi comodi.} - Or tanto è lungi che la natura l'abbia insegnato
all'uomo, che fuor di un puro caso, e senza lunghissime e diversissime
esperienze, ei non può averlo scoperto nè concepito - E non possono neppure i
filosofi indovinare come abbia fatto l'uomo non pure ad accendere, ma a vedere e
scoprire il primo fuoco. Chi ricorre a un incendio cagionato dal fulmine, chi al
frottement reciproco de' rami degli alberi
cagionato da' venti nelle
3644 foreste, {chi a' volcani,} e chi ad altre tali ipotesi l'una
peggio dell'altra - E conosciuto il fuoco, come avrà l'uomo trovato il modo di
accenderlo sempre che gli piaceva? Senza di che e' non gli era di veruno uso. E
di estinguerlo a suo piacere? Quanto avrà egli dovuto tardare a {sapere e a} trovar tutte queste cose - Gli antichi
favoleggiavano che il fuoco fosse stato rapito al cielo e portato di lassù in
terra. Segno che l'antica tradizione dava l'invenzione del fuoco e del suo uso e
del modo di averlo, accenderlo, estinguerlo a piacere, per un'invenzione non
delle volgari, ma delle più maravigliose; e che questa invenzione non fu fatta
subito, ma dopo istituita la società, e non tanto ignorante, altrimenti ella non
avrebbe potuto dar luogo a una favola, e a una favola la quale narra che il
ratto del fuoco fu opera di chi volle beneficare la società umana ec - Non solo
la natura non ha insegnato l'uso del fuoco, nè somministrato {pure} il fuoco {agli uomini} se non a caso,
ma ello[ella] lo ha fatto eziandio formidabile,
e pericolosissimo il suo uso. E lasciando i danni morali, quanti infiniti ed
immensi danni fisici non ha fatto l'uso del fuoco sì all'altre
3645 parti della natura sì allo stesso genere umano.
Niuno de' quali avrebbe avuto luogo se l'uomo non l'avesse adoperato, e
contratto il costume di adoperarlo. Il fuoco è una di quelle materie, di quegli
agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente
seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli
animali, e dalla superficie del globo, dove essa vita e la vegetazione e la vita
totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciarlo
manifestare che nelle convulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali
{{e particolari,}} com'è quello de' vulcani, che
sono fuor dell'ordine {generale} e della regola
ordinaria della natura. Tanto è lungi ch'ella abbia avuto intenzione di farne
una materia d'uso ordinario e regolare nella vita degli animali o di
qualsivoglia specie di animali, e nella superficie del globo, e di sottometterlo
all'arbitrio dell'uomo, come le frutta o l'erbe ec., e di destinarlo come
necessario alla felicità e quindi alla natural perfezione della principale
specie di esseri terrestri -
3646
Orazio
(1. od. 3.) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto
ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e
l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e
morbi ec. di quanti la navigazione; e come altrettanto colpevole della
corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana - Ma il fuoco è
necessario all'uomo anche non sociale, ed alla vita umana semplicemente. Come si
vivrebbe in Lapponia o sotto il polo, anzi pure in Russia ec. senza il fuoco?
Primieramente, rispondo io, come dunque la natura l'ha così nascosto ec. come
sopra? Come poteva ella negare agli esseri ch'ella produceva il precisamente
necessario alla vita, all'esistenza loro? o render loro difficilissimo il
procacciarselo? e pericolosissimo l'adoperare il necessario? pericolosissimo,
dico, non meno a se stessi che altrui? Ed essendo quasi certo, secondo il già
detto, che gli uomini non hanno potuto non tardare un pezzo (più o men lungo) a
scoprire il fuoco, e più ad avvedersi che lor potesse
3647 servire ed a che, e più a trovare il come usarlo, il come averlo
al bisogno ec. e a vincere il timore che e' dovette ispirar loro, sì
naturalmente, sì per li danni che ne avranno ben tosto provati {e certo} prima di conoscerne {anzi
pur d'immaginarne l'uso e la proprietà,} sì ancora forse per le
cagioni che lo avranno prodotto (come se fulmini o volcani o tali fenomeni ec.),
sì per gli effetti che n'avranno veduto fuor di se, come incendi e {{struggimenti}} d'arbori, di selve ec. morti e
consunzioni e incenerimento d'animali, {o d'altri
uomini} ec. ec.; stante dico tutto questo, come avranno potuto vivere
tanti uomini, o sempre, o fino a un certo tempo, senza il necessario alla vita
loro? Secondariamente, chiunque non consideri il genere umano per più che per
una specie di animali, superiore bensì all'altre, ma una finalmente di esse;
chiunque si contenti e si degni di tener l'uomo non per il solo essere, ma per
un degli esseri, di questa terra, diverso dagli altri di specie, ma non di
genere nè totalmente, nè formante un ordine e una natura a parte, ma compreso
nell'ordine e nella natura di tutti gli altri esseri sì della terra sì di questo mondo,
3648 e partecipante delle qualità ec. degli altri, come gli altri
delle sue, e in parte conforme in parte diverso dagli altri esseri, e fornito di
qualità parte comuni parte proprie, come sono tutti gli altri esseri di questo
mondo, ed insomma avente piena e vera proporzione cogli altri esseri, e non
posto fuor d'ogni proporzione e gradazione e rispetto e attinenza e convenienza
e affinità ec. verso gli altri; chiunque non crederà che tutto il mondo {o} tutta la terra e ciascuna parte di loro sian fatte
unicamente ed espressamente per l'uomo, e che sia inutile e indegna della natura
qualunque cosa, qualunque creatura, qualunque parte o della terra o del mondo
non servisse o non potesse nè dovesse servire all'uomo, nè avesse per fine il
suo servigio; chiunque così la pensi, risponderà facilmente alla soprascritta
obbiezione. S'egli v'ha, come certo v'avrà, una specie di pianta, che rispetto
al genere de' vegetabili ed alla propria natura loro {generale,} sia di tutti i vegetabili il più perfetto, e sia la
sommità del genere vegetale, come lo è l'uomo dell'animale, non per questo
3649 seguirà nè sarà necessario ch'essa pianta nè si
trovi nè prosperi, nè debba nè pur possa prosperare nè anche allignare nè
nascere in tutti i paesi e climi della terra, nè in qualsivoglia regione de'
climi ov'ella più prospera e moltiplica, nè in qualsivoglia terreno e parte
delle regioni a lei più proprie e naturali. Così discorrasi nel genere o regno
minerale, e negli altri qualunque. Che all'uomo in società giovi la
moltiplicazione e diffusione della sua specie, o per meglio dire che alla
società giovi la moltiplicazione e propagazione della specie umana, e tanto più
quanto è maggiore, questo è altro discorso, {#1. questo suppone lo stato di società ch'io
combatto.} e certo s'inganna assai chi lo nega. Ma che la natura {medesima} abbia destinato la specie umana a tutti i
climi e paesi, e tutti i climi e paesi alla specie umana, questo è ciò che nè si
può provare, e secondo l'analogia, che sarà sempre un fortissimo, e forse il più
forte argomento di cognizione concesso all'uomo, si dimostra per falsissimo.
Niuna pianta, niun vegetale, niun minerale, niuno animale conosciuto si trova in
tutti i paesi e climi
3650 nè in tutti potrebbe vivere
e nascere, non che prosperare ec. Altre specie di vegetabili e di animali {ec.} si trovano e stanno bene in più paesi e più
diversi, altre in meno, niuna in tutti, e niuna in tanti e così vari di qualità
e di clima, in quanti e quanto vari è diffusa la specie umana. Tra la
propagazione e diffusione di questa specie e quella dell'altre non v'ha
proporzione alcuna. E notisi che la propagazione di molte specie di animali, di
piante ec. devesi {in gran parte} non alla natura, ma
all'uomo stesso, onde non avrebbe forza di provar nulla nel nostro discorso.
Molte specie che per natura non erano destinate se non se a un solo paese, o a
una sola qualità di paesi, o a paesi poco differenti, sono state dagli uomini
trasportate e stabilite in più paesi, in paesi differentissimi ec. Ciò è contro
natura, come lo è lo stabilimento della specie umana medesima in quei luoghi che
a lei non convengono. Le piante, gli animali ec. trasportate e stabilite
dall'uomo in paesi a loro non convenienti, o non ci durano, o non prosperano, o
ci degenerano, ci si trovano male ec. Gl'inconvenienti
3651 a cui le tali specie sono soggette ne' tali casi in siffatti
luoghi, sono forse da attribuirsi alla natura? e se esse in detti luoghi, pur,
benchè male, sussistono, si dee forse dire che la natura ve le abbia destinate?
e il genere di vita ch'esse sono obbligate a tenere in siffatti luoghi, o che
loro è fatto tenere, e i mezzi che impiegano a sussistere, o che s'impiegano a
farle sussistere, si debbono forse considerare come naturali, come lor propri
per loro natura? e argomentare da essi delle intenzioni della natura intorno a
dette specie?
[3651,1] Mentre pertanto non si può dubitare che la natura,
quanto a se, ha limitato ciascuna specie di animali, di vegetabili ec. a certi
paesi e non più; nel tempo stesso, al modo che nelle altre cose non si vuol
riconoscere alcuna proporzione e analogia tra la specie umana e l'altre specie
di esseri terrestri o mondani, così si pretende che la natura non abbia limitato
la specie umana a niun paese, a niuna qualità di paesi; e a differenza di tutte
l'altre specie terrestri, a ciascuna delle quali {{la
natura}} ha destinato sol piccolissima parte del
3652 globo, si vuol ch'ella abbia destinato alla specie umana tutta
quanta la terra. Che l'uomo infatto l'abbia occupata tutta, non si può negare.
Così egli ha fatto milioni d'altre cose contrarie alla natura propria ed
all'universale. Ma argomentar dal fatto, che {+tale occupazione} sia secondo natura, è cosa
stolta. Intorno a una specie di esseri che ha fatto e tuttogiorno fa tante cose
evidentemente non pur diverse ma contrarie alla natura e propria ed universale,
volendo discorrere della sua natura vera, {+e de' suoi propri e primitivi destini,} bisogna
ragionare a maiori, perchè il ragionamento a minori diviene impossibile. Ragionare {a maiori} nel nostro caso, è considerare l'analogia, la
quale abbiamo veduto che cosa dimostri. A minori si
potrebbe confermare la stessa cosa, col veder le miserie fisiche a cui la specie
umana è inevitabilmente soggetta in moltissimi paesi e climi, e le qualità e
costituzioni fisiche p. e. de' Samoiedi, la razza de' quali, piccolissima e
deforme, si può considerare come una degenerazione della specie umana, cagionata
dal clima contrario alla sua natura propria
3653 e
primitiva; degenerazione conforme a quella che manifestamente veggiamo in tante
specie di animali, piante ec. stabilite da noi fuori de' loro nativi, propri e
naturali paesi, climi, terreni ec.
[3653,1] Ed in verità, ragionando anche astrattamente, non vi
par egli assurdo, e fuor d'ogni verisimiglianza, e d'ogni proporzione o
convenienza o similitudine con quello che in tutte l'altre cose veggiamo, che la
natura abbia destinato una medesima e identica specie d'animali a nascere e
vivere e prosperare indifferentemente in tante e così immense diversità di climi
e di qualità di paesi, quante si trovano in questa terra, quanta è quella (per
considerare una sola di tali infinite diversità, cioè quella del caldo e del
freddo) che passa tra le regioni polari e l'equinoziale? Che l'ardore, il gelo;
l'estrema umidità, l'estrema secchezza; la terra affatto sterile, la sommamente
feconda; il cielo sempre sereno, il sempre piovoso; tutte queste cose sieno
state dalla natura rendute affatto indifferenti al bene e perfetto e felice e
proprio essere della specie umana?
3654 Ch'ella abbia
ugualmente disposta la detta specie a tutte queste cose, a tutti questi estremi?
Or questo è ciò che seguirebbe dal fatto, cioè dall'universale diffusione di
nostra specie, se dal fatto si dovesse argomentare {la di
lei} natura: questo è ciò che suppone veramente e necessariamente nel
fatto la detta universal diffusione, e senza cui essa non può non esser cosa
snaturatissima e contrarissima al ben essere della specie. Qual altra specie di
animali, di vegetali ec. è {+o può mai
parere a un filosofo} disposta naturalmente, non dico a tutti i
diversi estremi delle qualità de' paesi, come si pretende o è necessario
pretendere che lo sia indifferentemente la specie umana; non dico a due soli di
tali estremi; ma pure a due differenze in tali qualità, che non sieno molto
lontane dagli estremi? Qual proporzione, {quale
analogia} sarebbe tra la detta natura fisica della specie umana, e
quella di qualsivoglia altra specie, e di tutte insieme, e tra la natura
universale?
[3654,1] Io dico dunque per fermo, che la specie umana per
sua natura, secondo le intenzioni della natura, volendo poter conservare il suo
ben essere,
3655 non doveva propagarsi più che tanto, e
non era destinata senon a certi paesi e certe qualità di paesi, de' limiti de'
quali non doveva naturalmente uscire, e non uscì che contro natura. Ma come
contro natura ella giunse a un grado di società fra se stessa, ch'è fuor d'ogni
proporzione con quella che hanno l'altre specie, e che in mille luoghi s'è
dimostrato esser causa del suo mal essere e corruzione ec., così contro natura
si moltiplicò e propagò strabocchevolmente; perocchè questa moltiplicazione,
come poi contribuì sommamente ad accelerare, cagionare, accrescere i progressi
della società, cioè della corruzione umana, così dapprincipio non ebbe origine
se non dal soverchio {{e innaturale}} progresso d'essa
società. Quanto le specie sono meno socievoli o hanno minor società, tanto meno
si moltiplicano; e viceversa. Vedesi ciò facilmente nelle varie specie
d'animali, e anche di piante ec. Vedesi ancora ne' selvaggi e ne' popoli più
naturali, il numero della cui popolazione è per lo più stazionario come il loro
stato sociale, il loro carattere, costume ec. (e tale doveva egli essere,
secondo
3656 natura, in tutta la specie umana; e tale
par che sia nell'altre specie d'animali). Piccole isole, segregate affatto
dall'altre terre, hanno da tempo immemorabile fino a' dì nostri, sempre
ugualmente bastato alla popolazione racchiusa in esse, e tale certo ve n'ha, non
ancora scoperta, che ancor basta alla sua popolazione, e basteralle fino a tempo
illimitato, o in perpetuo. Ne' paesi dove, dopo la prima occupazione fattane
dagli uomini, la società non ha fatto altri progressi, non si è stretta niente
di più che allor fosse, neanche il numero degl'individui umani è cresciuto, e la
moltiplicazione appena v'ha luogo. Al contrario nelle società
colti[colte], e tanto più al contrario
(salvo però molte altre circostanze {naturali o
sociali} che giovano o nocciono per se alla moltiplicazione) quanto
{elle} sono più colte. Dal che si vede che la
soverchia moltiplicazione del genere umano, e la sua propagazione che da lei
nasce e che ne è necessario effetto, non sono cose che vengono dalla natura, se
non fino a un certo e conveniente grado. E necessaria alla soverchia diffusione
del genere umano è stata, fra l'altre cose, la
3657
navigazione, così evidentissimamente contro natura; mentre {questa} anzi avrebbe dovuto insegnarla e renderla facilissima e non,
com'è, pericolosissima ec. ec. ec., se la detta propagazione, a cui l'arte del
navigare era necessaria, fosse stata secondo le sue intenzioni.
[3657,1] Come ho detto, altre specie sono naturalmente più,
altre meno atte a moltiplicarsi, altre destinate a più e più diversi paesi,
altre a meno e men diversi. Che la specie umana sia piuttosto delle seconde che
delle prime, si può per analogia dedurre dal suo stesso essere nel suo genere,
cioè nel genere animale, la più perfetta e suprema e migliore. Perocchè veggiamo
che in ogni genere, di vegetali, di minerali ec. le specie migliori son le più
rare, le meno trasferibili fuor de' luoghi natii ec. Quella pianta più d'ogni
altra perfetta, che abbiam supposto di sopra, sarebbe verisimilmente la più
rara, la più limitata a certa sorta di paese, di terreno. Le men perfette, a
proporzione. Così pure a proporzione nel genere animale. Le migliori specie
sarebbero le
3658 più rare, le più scarse
nell'intrinseco numero ec. (Se tra le migliori e superiori vogliamo contare la
scimia, l'uomo selvatico ec. che più s'avvicinano all'uomo, il fatto
confermerebbe la mia supposizione). Ed essendo il genere animale nella natura
terrestre, il migliore; e la specie umana essendo la sommità del genere animale,
e quindi di tutte le specie e generi di esseri terrestri; ne seguirebbe ch'ella
naturalmente dovesse essere di tutte le specie terrestri la più rara, e la più
limitata nel numero e ne' luoghi.
[3658,1] Con questi discorsi alla mano, e tenendo fermo che
la propagazione della nostra specie accadde per la massima parte contro natura,
io risponderò facilmente a chi dalle qualità di tali o tali paesi abitati ora
dagli uomini, volesse dedurre che tali o tali istituti, costumi, usi, invenzioni
ec. ec. non insegnati nè suggeriti, anzi contrariati dalla natura, {+e per lunghissimo tempo stati
necessariamente ignoti ec.} sieno, malgrado della natura, necessarii
alla specie umana, alla sua vita, al suo ben essere. Io considererò tali costumi
ec. come i rimedii dolorosi o disgustosi de' morbi, i quali tanto
3659 sono naturali quanto essi morbi, che non sono
naturali o avvengono contro le intenzioni e l'ordine generale della natura. La
natura non ha insegnato i rimedii perchè neanche ha voluto i morbi; così s'ella
ha nascosto p. e. il fuoco, non l'ha fatto perchè l'uomo dovesse di sua natura
cercarlo con infinita difficoltà, usarlo con infinito pericolo ec. ma perch'ella
non ha voluto che l'uomo vivesse e abitasse in luoghi dove gli facesse bisogno
di fuoco, (nè si cibasse di ciò che senza fuoco non è mangiabile nè atto per lui
ec). E in questo modo e con questo mezzo ribatterò infinite obbiezioni di simil
genere contro la mia teoria dell'uomo;
chè certo il detto mezzo si estende a infinita diversità di cose.
[3659,1] E quanto al fuoco in particolare, dal quale abbiam
preso occasione di questo discorso; che ne' luoghi temperati o caldi, soli
destinati dalla natura all'uomo, e ne' quali infatti si vede che la vita de'
popoli non corrotti ancora, o men corrotti, dalla società, fu ed è più naturale
che altrove, e men bisognosa d'invenzioni e mezzi e usi
3660 ec. ascitizi, e meno effettivamente di essi contaminata e
alterata (si sa d'altronde e si vede sempre più chiaro per le storie e i
monumenti e avanzi delle memorie antichissime, {+che si vanno di dì in dì più scoprendo e
intendendo,} che un paese caldissimo fu la culla, ed io aggiungo, la
propria {e natural} sede di nostra specie); che ne'
paesi caldi, dico, la specie umana non abbia mestieri di fuoco a vivere e a ben
vivere secondo natura (non secondo società, chè la vita sociale senza fuoco non
può stare), si vede con effetto v. gr. ne' Californii; i quali, ch'io sappia,
non usano fuoco in alcun modo, vivendo in caldissima temperatura, che lor
risparmia il fuoco non men che le vesti; e cibandosi {solo} d'erbe e radici e frutta e animali che colle proprie mani
disarmate raggiungono, vincono e prendono, e altre tali cose, tutto crudo. Ma
quivi proprio, accanto a loro e tra loro, i missionarii ed altri europei quivi
stabiliti, morrebbero certo se non usassero fuoco. La necessità del fuoco non
vien dunque da' climi ec. Intanto quei Californii sono a cento doppi {nel fisico} più sani, forti, allegri d'aspetto, e certo
{nel morale e} nell'interno felici, che non questi
europei. (9. 10. Ott. 1823.).