Paradossi.
Paradoxes.
1329,2 1347,1 1507,1 2157,1 2666,1 262,3 2803,1 3349,marg. 3956,3 4043,2 4096,2 4174,2 4182,9 4199,1 4204,1[1329,2] Si suol dire; se il tale incomodo ec. ec. fosse
durevole, non sarebbe sopportabile. Anzi si sopporterebbe molto meglio, mediante
l'assuefazione e il tempo. All'opposto diciamo frequentemente; il tal piacere
ec. sarebbe stato grandissimo, se avesse durato. Anzi durando, non sarebbe stato
più piacere. (15 Luglio 1821.).
[1347,1] Io non avendo mai letto scrittori metafisici, e
occupandomi di tutt'altri studi, e null'avendo imparato di queste materie alle
scuole (che non ho mai vedute), aveva già ritrovata la falsità delle idee
innate, indovinato l'Ottimismo
1348 del Leibnizio, e scoperto il principio, che
tutto il progresso delle cognizioni consiste in concepire che un'idea ne
contiene un'altra; il quale è la somma della tutta nuova scienza ideologica. Or
come ho potuto io povero ingegno, senza verun soccorso, e con poche riflessioni,
trovar da me solo queste profondissime, e quasi ultime verità, che ignorate per
60. secoli, hanno poi mutato faccia alla metafisica, e quasi al sapere umano?
Com'è possibile che {di} tanti sommi geni, in tutto il
detto tempo, nessuno abbia saputo veder quello, ch'io piccolo spirito, ho veduto
da me, ed anche con minori cognizioni in queste materie, di quelle che molti di
essi avranno avuto?
[1507,1] Paragonando le occupazioni di un mercante che
travaglia a' suoi complicatissimi negozi, e di un giovane che scherza con una
donna, quella {ci par} serissima, e questa
frivolissima. E pure qual è lo scopo del mercante? il far danari. E perchè? per
godere. E come si gode quaggiù? collo spassarsi; e uno de' maggiori spassi e
piaceri è quello che si piglia colle donne. Dunque lo scopo del mercante in
ultima analisi è di potersi a suo agio, e con molti mezzi occupare in quello
stesso in che si occupa il giovanastro, o in cose tali. Se dunque il fine è
frivolo, quanto più il mezzo. Tutto dunque è frivolo a questo mondo, e l'utile è
molto più frivolo del semplicissimo dilettevole. Così dico degli studi, e delle
carriere ec. (16. Agos. 1821.).
[2157,1] Ho paragonato altrove p. 1507 le
occupazioni di un mercadante con quelle di un giovanastro che si spassa colle
donne, e trovatele della stessissima importanza, anzi queste più importanti di
quelle. La stessa comparazione col medesimo risultato, si può fare
2158 delle operazioni e intenzioni e desiderii e
fatiche di un soldato, di un letterato, di un uomo in carriera ec. Quel filosofo
che per puro amore dell'umanità, suda dietro ad un'opera di morale o di
politica, o d'altro soggetto della più grande utilità, o si affatica nella
speculazione della natura, del cuore umano ec.; quel ministro zelante e
integerrimo del maggior monarca immaginabile, che travaglia giorno e notte {unicamente} per il bene della maggior nazione e della
maggior possibile quantità di uomini (se pur si trovano tali filosofi, e tali
cortigiani); questi tali che cosa cercano essi? La felicità degli uomini. E la
felicità che cos'è? il piacere. E qual piacere maggiore che i giovanili? Dunque
le occupazioni di costoro non sono più importanti di quelle del giovanastro che
mette a profitto i vantaggi dell'età più favorita dalla natura,
2159 e destinata a godere. Anzi sono meno importanti,
perchè non fanno altro che proccurare agli uomini, {alla
lontanissima} quello stesso piacere, (o altri piaceri che certo
saranno sempre minori) che il giovanastro immediatamente ed attualmente si gode.
In ultima analisi è manifesto che le occupazioni di coloro hanno appresso a poco
per fine quello medesimo che il giovanastro già conseguisce, sebbene questo fine
sia molto lontano. Il fine, come dunque non sarà più importante del mezzo? e di
un mezzo lontanissimo? e difficilissimo? e spesso immaginario, falso,
inutilissimo? spesso ancora conducente ad esito contrario? (24. Nov. dì di
S. Flaviano.
1821.).
[2666,1]
2666 La prosa francese (nazione e lingua la più
impoetica fra le moderne, che sono le più impoetiche del mondo) è molto più
poetica della stessa prosa antica scritta nelle lingue le più poetiche
possibili. Lo stesso mancare affatto di linguaggio poetico distinto dal prosaico
fa che lo scrittor francese confonda quello ch'è proprio dell'uno con quel ch'è
proprio dell'altro, e che come il poeta francese scrive prosaicamente così il
prosatore scriva poeticamente, e che la lingua francese manchi non solo di
linguaggio e stile poetico distinto per rispetto al prosaico, ma anche di
linguaggio e stile veramente prosaico, e ben distinto e circoscritto e definito
per rispetto al poetico. Questa è l'una delle cagioni della poeticità della
prosa francese. Altre ancora se ne potranno addurre, ma fra queste, una che ha
del paradosso e pure è verissima. La prosa francese è poetica perchè la lingua
francese è poverissima. Quindi la necessità di metafore di metonimie di
catacresi di mille figure di dizione che rendono poetica la lingua della prosa,
e secondo il nostro gusto,
2667 gonfia, concitata ed
aliena da quella semplicità, riposatezza, calma, sicurezza ed equabilità e
gravità di passo che s'ammira nelle prose latina e greca, le più poetiche lingue
dell'occidente. P. e. non avendo i francesi una
parola che significhi unitamente il padre e la madre, (come noi, che diciamo i genitori), sono obbligati a dire spesso les auteurs de ses jours, des
jours de quelqu'un, de celui-là etc. Queste
tali frasi necessarie e forzate, obbligano poi lo scrittor prosaico francese a
formar loro un contorno conveniente, a seguire una forma di dire, uno stile,
dove queste frasi, figure ec. non disdicano, e quindi a innalzare il tuono della
sua prosa, e dargli un color poetico tanto nello stile quanto nella lingua: e
così la povertà della lingua francese rende poetica la sua prosa, e per le
figure che l'obbliga ad usare in cambio delle parole che le mancano, e per le
figure che queste medesime figure forzate richiedono intorno a se, e quasi
portano con se, e per lo stile e il linguaggio {e il
tuono} che queste figure forzate
2668
domandano per non disdire. (2. Feb. 1823.).
[262,3] Lo spavento e il terrore sebbene di un grado maggior
del timore, contuttociò bene spesso sono molto meno vili, anzi talvolta non
contengono nessuna viltà: e possono cadere anche negli uomini perfettamente
coraggiosi, al contrario del timore. P. e. lo spavento che cagiona l'aspetto di
una vita infelicissima o noiosissima e lunga, che ci aspetti ec. {{Lo spavento degli spiriti, così puerile esso, e fondato
in opinione così puerile, è stato (ed ancora è) comune ad uomini
coraggiosissimi. V. la p.
531, e 535.}}
[2803,1] Altro è il timore altro il terrore. Questa è {passione} molto più forte {e
viva} di quella, e molto più avvilitiva dell'animo e sospensiva
dell'uso della ragione, {+anzi quasi di
tutte le facoltà dell'animo, ed anche de' sensi del corpo.}
2804 Nondimeno la prima di queste passioni non cade
nell'uomo perfettamente coraggioso o savio, la seconda sì. Egli non teme {mai,} ma può sempre essere atterrito. Nessuno può
debitamente vantarsi di non poter essere spaventato. (21. Giugno
1823.).
[3349,1] Si applichino queste osservazioni a quelle da me
fatte p. 2752-5
2926. fine - 28 , e
viceversa quelle a queste. (3. Sett. 1823.). {{V. p.
3676.}}
[3956,3] Si dice con ragione, massime delle cose umane, {+e terrene,} che tutto è piccolo. Ma
con altrettanta ragione si potrebbe dire, anche delle menome cose, che tutto è
grande, parlando cioè relativamente, come ancor parlano quelli che chiamano
tutto piccolo, perchè nè piccola nè grande non è cosa niuna assolutamente.
Sicchè non è per vero dire nè più ragionevole nè più filosofico il considerare
qualsivoglia cosa umana o qualunque, come piccola, che il considerare essa
medesima cosa come grande, e grandissima ancora, se così piace. E ben vi sono
{quasi} altrettanti aspetti e riguardi, tutti
egualmente
3957 degni di filosofo, altrettanti, dico,
per la seconda affermazione che per la prima. Ed anche il mondo intero e
universo e tutta la università delle cose o esistenti o possibili o
immaginabili, a paragone di cui chiamiamo piccole e menome le cose umane,
terrene, sensibili, a noi note, e simili, può nello stesso modo esser
considerata come piccola e menoma cosa, e d'altro lato come grande e
grandissima. Niente manco che mentre delle cose umane si chiamano piccole
verbigrazia quelle degli oscuri privati a paragone di quelle de' vastissimi e
potentissimi regni, e nondimeno queste ancora, grandissime a paragon di quelle,
si chiamano da' filosofi piccolissime e nulle sotto altro rispetto, è ben
ragionevole che sotto diversi rispetti, quelle eziandio de' privati ed
oscurissimi individui, sieno chiamate, anche da' filosofi, grandi e grandissime,
di grandezza niente men vera o niente più falsa che quella delle cose de'
massimi imperii. (8. Dec. 1823.).
[4043,2] Nè la occupazione nè il divertimento qualunque, non
danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l'uomo
occupato o divertito comunque, è manco infelice del disoccupato, e di quello che
vive vita uniforme senza distrazione alcuna. Perchè? se nè questi nè quelli sono
punto superiori gli uni agli altri nel godimento e nel piacere, ch'è l'unico
bene dell'uomo? Ciò vuol dire che la vita è per se stessa un male. Occupata o
divertita, ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e
perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene nè piacere
più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non
divertiti, sono più infelici, non perchè abbiano minori beni, ma per maggioranza
di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della
vita, benchè questa sia senza alcun altro male particolare. Il sentir meno la
vita, e l'abbreviarne l'apparenza è il sommo bene, o vogliam dire la somma
minorazione di male e d'infelicità, che l'uomo possa conseguire. La noia è
manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia?
Niun male nè dolore particolare, (anzi l'idea e la natura della noia esclude la
presenza di qualsivoglia particolar male o dolore), ma la semplice vita
pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed
occupantelo. Dunque la vita è semplicemente un male: e il non vivere, o il viver
meno, sì per estensione che per intensione è semplicemente un bene, o un minor
male, ovvero preferibile per se ed assolutamente alla vita ec. (8. Marzo.
1824.). {{V. p.
4074.}}
[4096,2] Il tale diceva non esser ben detto quel che si
afferma comunemente che basta l'apparenza p. e. a un letterato per essere
stimato, benchè manchi della sostanza. Ora l'apparenza non solo basta, ma è la
sola cosa che basti, ed è necessaria e la sola necessaria. Perocchè la sostanza
senza l'apparenza non fa effetto alcuno e nulla ottiene, e l'apparenza colla
sostanza non fa nè ottiene niente di più che senza essa: onde si vede la
sostanza essere inutile, e il tutto stare nella sola apparenza. (1.
Giugno. 1824.).
[4174,2] Tutto è male. Cioè tutto quello che {è,} è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna
cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine
dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale
dell'universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v'è
altro bene che il non essere; non v'ha altro di buono che quel che non è; le
cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il
complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un
bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e
generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa
imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che
esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente
infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente
piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il
tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir
così, del non esistente, del nulla.
[4182,9]
Burchiellesco. Genere burchiellesco,
{Frottole,} in uso anche tra i greci. Demetr.
de elocut. sect. 153. Ἔστι δέ τις καὶ ἡ παρὰ τὴν προσδοκίαν χάρις∙ ὡς ἡ τοῦ
Κύκλωπος, ὅτι ὕστατον ἕδομαι Oὖτιν. οὐ γὰρ προσεδóκα τοιοῦτο ξένιον oὔτε
᾽Oδυσσεὺς oὔτε ὁ ἀναγινώσκων. καὶ ὁ ᾽Aριστοϕάνης ἐπὶ τοῦ Σωκράτους,
Κάμψας ὀβελίσκον, ϕησίν, εἶτα διαβήτην λαβών, ἐκ τῆς παλαίστρας
ϑoιμάτιον ὑϕείλετο.
*
sect. 154. Ἤδη μέν
τοι ἐκ δύο τóπων ἐνταῦϑα ἐγένετο ἡ χάρις. οὐ γὰρ παρὰ προσδοκίaν μóνον
ἐπηνέχϑη, ἄλλ᾽ οὐδ᾽ ἠκoλoύϑει τοῖς προτέροις. ἡ δὲ τοιαύτη ἀνακoλouϑία
καλεῖται γρῖϕος∙ ὥσπερ ὁ παρὰ Σώϕρονι ῥητορεύων Βουλίας∙ (οὐδὲν γὰρ
ἀκóλουϑoν αὑτῷ λέγει). καὶ παρὰ Mενάνδρῳ δὲ ὁ πρóλογος τῆς
Mεσσηνίας.
*
I versi di Aristofane sono i 53. 54.
della scena 2. atto 1. delle Nubi, edit. Aureliae Allobrogum 1608. Gli Scoli antichi però, dánno loro un
senso, e gli spiegano come il resto. {+Simili
ai commentatori della frottola del Petrarca.}
(Bologna. 5. Luglio. 1826.). {{Dei grifi
v. Casaub.
ad Athenae. indice delle materie.}}
[4199,1] Paragrandini, parafulmini ec. Fozio, Biblioteca, cod. 72. analizzando Κτησίoυ
τὰ ᾽Iνδικά, e parlando di una fonte che Ctesia diceva esser
nell'india, senz'altra indicazione di luogo, dice
fra l'altre cose: καὶ
*
(λέγει Κτησίας) περὶ τοῦ ἐν τῷ
πυϑμένι τῆς κρήνης σιδήρου, ἐξ oὗ καὶ δύo ξίϕη Κτησίας ϕησὶν ἐσχηκέναι,
ἕν παρὰ βασιλέως
*
(᾽Aρτξέρξoυ
τοῦ Mνήμονος ἐπικληϑέντος), καὶ ἕν παρὰ τῆς
τοῦ βασιλέως μητρὸς Παρυσάτιδος
*
(ἧς ἰατρòς γέγονεν ὁ Κτησίας). ϕησὶ δὲ περὶ αὐτοῦ, ὅτι πηγνύμενος ἐν τῇ γῇ, νέϕους καὶ
χαλάζης καὶ πρηστήρων
4200 ἐστὶν ἀποτρóπαιος.
καὶ ἰδεῖν αὐτὸν ταῦτα ϕησί, βασιλέως δὶς ποιήσαντος.
*
De ferro, quod in huius fontis fundo reperitur; ex quo
duo[duos] se habuisse aliquando
gladios ipse Ctesias
commemorat; unum a rege, (in marg. Artaxerxe, τῷ
Mnemone), alterum a Parysatide regis ipsius matre sibi donatum. Ferri autem huius
eam esse vim, ut in terram depactum nebulas, et grandines, turbinesque
avertat. hoc semel se iterumque vidisse, cum rex ipse eius rei periculum
faceret.
*
Versio Andreae Schotti. (Bologna. 1826. 12.
Settembre.).
[4204,1] Contraddizioni innumerabili, evidenti e continue si
trovano nella natura considerata non solo metafisicamente e razionalmente, ma
anche materialmente. La natura ha dato ai tali animali l'istinto, {le arti,} le armi da perseguitare e assalire i tali
altri, a questi le armi da difendersi, l'istinto di preveder l'attacco, di
fuggire, di usar mille diverse astuzie per salvarsi. La natura ha dato agli uni
la tendenza a distruggere, agli altri la tendenza a conservarsi. La natura ha
dato ad alcuni animali l'istinto e il bisogno di pascersi di certe tali piante,
frutta ec., ed ha armato queste tali piante di spine per allontanar gli animali,
queste tali frutta di gusci, di bucce, d'inviluppi d'ogni genere,
artificiosissimi e diligentissimi, o le ha collocate nell'alto delle piante ec.
La natura ha creato le pulci e le cimici perchè ci succino il sangue, ed
ha[a] noi ha dato l'istinto di cercarle e di
farne strage. L'enumerazione di tali ed analoghe contrarietà si estenderebbe in
infinito, ed abbraccierebbe ciascun regno, {ciascuno
elemento,} e tutto il sistema della natura. Io avrò torto senza
dubbio, ma la vista di tali fenomeni mi fa ridere. Qual è il fine, qual è il
voler sincero e l'intenzione vera della natura? Vuol ella che il tal frutto sia
mangiato dagli animali o non sia mangiato? Se sì, perchè l'ha difeso con sì dura
crosta e con tanta cura? se no,
4205 perchè ha dato ai
tali animali l'istinto {e l'appetito} e forse anche il
bisogno di procacciarlo e mangiarselo? I naturalisti ammirano la immensa
sagacità ed arte della natura nelle difese somministrate alla tale o tale specie
animale o vegetabile o qualunque, contro le offese esteriori di qualunque sia
genere. Ma non pensano essi che era in poter della natura il non crear queste
tali offese? che essa medesima è l'autrice unica delle difese e delle offese,
del male e del rimedio? E qual delle due sia il male e quale il rimedio nel modo
di vedere della natura, non si sa. Si sa ben che le offese non sono meno
artificiosamente e diligentemente condotte dalla natura che le difese; che il
nibbio {o il ragno} non è meno sagace di quel che la
gallina o la mosca sia amorosa o avveduta. Intanto che i naturalisti e gli
ascetici esaminando le anatomie de' corpi organizzati, andranno in estasi di
ammirazione verso la provvidenza per la infinita artificiosità ed accortezza
delle difese di cui li troverà forniti, io finchè non mi si spieghi meglio la
cosa, paragonerò la condotta della natura a quella di un medico, il quale mi
trattava con purganti continui, ed intendendo che lo stomaco ne era molto
debilitato, mi ordinava l'uso di decozioni di china e di altri attonanti per
fortificarlo e minorare l'azione dei purganti, senza però interromper l'uso di
questi. Ma, diceva io umilmente, l'azione dei purganti non sarebbe minorata
senz'altro, se io ne prendessi de' meno efficaci o in minor dose, quando pur
debba continuare d'usarli? (Bologna. 25. Sett.
1826.). {{V. p. seg. [p.
4206,2]}}
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