8. Marzo. 1824.
[4043,2] Nè la occupazione nè il divertimento qualunque, non
danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l'uomo
occupato o divertito comunque, è manco infelice del disoccupato, e di quello che
vive vita uniforme senza distrazione alcuna. Perchè? se nè questi nè quelli sono
punto superiori gli uni agli altri nel godimento e nel piacere, ch'è l'unico
bene dell'uomo? Ciò vuol dire che la vita è per se stessa un male. Occupata o
divertita, ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e
perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene nè piacere
più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non
divertiti, sono più infelici, non perchè abbiano minori beni, ma per maggioranza
di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della
vita, benchè questa sia senza alcun altro male particolare. Il sentir meno la
vita, e l'abbreviarne l'apparenza è il sommo bene, o vogliam dire la somma
minorazione di male e d'infelicità, che l'uomo possa conseguire. La noia è
manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia?
Niun male nè dolore particolare, (anzi l'idea e la natura della noia esclude la
presenza di qualsivoglia particolar male o dolore), ma la semplice vita
pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed
occupantelo. Dunque la vita è semplicemente un male: e il non vivere, o il viver
meno, sì per estensione che per intensione è semplicemente un bene, o un minor
male, ovvero preferibile per se ed assolutamente alla vita ec. (8. Marzo.
1824.). {{V. p.
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