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Uomo, se fosse destinato a occupare tutta la terra. Storia filosofica della propagazione del genere umano ec. L'incivilimento fu uno in origine: così le invenzioni e scoperte difficili ec. ec.

Man, whether he was destined to occupy the entire earth. Philosophical history of the propagation of the human race, etc. The process of civilization was one in its origin, and likewise difficult inventions and discoveries, etc.

3643,1 3890,1 3957,1 3961,4 4048,6 4069,2

[3643,1]  Fuoco - Il suo uso è indispensabile necessità ad una vita comoda e civile, {+1. anzi pure ai primissimi comodi.} - Or tanto è lungi che la natura l'abbia insegnato all'uomo, che fuor di un puro caso, e senza lunghissime e diversissime esperienze, ei non può averlo scoperto nè concepito - E non possono neppure i filosofi indovinare come abbia fatto l'uomo non pure ad accendere, ma a vedere e scoprire il primo fuoco. Chi ricorre a un incendio cagionato dal fulmine, chi al frottement reciproco de' rami degli alberi cagionato da' venti nelle  3644 foreste, {chi a' volcani,} e chi ad altre tali ipotesi l'una peggio dell'altra - E conosciuto il fuoco, come avrà l'uomo trovato il modo di accenderlo sempre che gli piaceva? Senza di che e' non gli era di veruno uso. E di estinguerlo a suo piacere? Quanto avrà egli dovuto tardare a {sapere e a} trovar tutte queste cose - Gli antichi favoleggiavano che il fuoco fosse stato rapito al cielo e portato di lassù in terra. Segno che l'antica tradizione dava l'invenzione del fuoco e del suo uso e del modo di averlo, accenderlo, estinguerlo a piacere, per un'invenzione non delle volgari, ma delle più maravigliose; e che questa invenzione non fu fatta subito, ma dopo istituita la società, e non tanto ignorante, altrimenti ella non avrebbe potuto dar luogo a una favola, e a una favola la quale narra che il ratto del fuoco fu opera di chi volle beneficare la società umana ec - Non solo la natura non ha insegnato l'uso del fuoco, nè somministrato {pure} il fuoco {agli uomini} se non a caso, ma ello[ella] lo ha fatto eziandio formidabile, e pericolosissimo il suo uso. E lasciando i danni morali, quanti infiniti ed immensi danni fisici non ha fatto l'uso del fuoco sì all'altre  3645 parti della natura sì allo stesso genere umano. Niuno de' quali avrebbe avuto luogo se l'uomo non l'avesse adoperato, e contratto il costume di adoperarlo. Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo, dove essa vita e la vegetazione e la vita totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciarlo manifestare che nelle convulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali {{e particolari,}} com'è quello de' vulcani, che sono fuor dell'ordine {generale} e della regola ordinaria della natura. Tanto è lungi ch'ella abbia avuto intenzione di farne una materia d'uso ordinario e regolare nella vita degli animali o di qualsivoglia specie di animali, e nella superficie del globo, e di sottometterlo all'arbitrio dell'uomo, come le frutta o l'erbe ec., e di destinarlo come necessario alla felicità e quindi alla natural perfezione della principale specie di esseri terrestri -  3646 Orazio (1. od. 3.) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec. di quanti la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana - Ma il fuoco è necessario all'uomo anche non sociale, ed alla vita umana semplicemente. Come si vivrebbe in Lapponia o sotto il polo, anzi pure in Russia ec. senza il fuoco? Primieramente, rispondo io, come dunque la natura l'ha così nascosto ec. come sopra? Come poteva ella negare agli esseri ch'ella produceva il precisamente necessario alla vita, all'esistenza loro? o render loro difficilissimo il procacciarselo? e pericolosissimo l'adoperare il necessario? pericolosissimo, dico, non meno a se stessi che altrui? Ed essendo quasi certo, secondo il già detto, che gli uomini non hanno potuto non tardare un pezzo (più o men lungo) a scoprire il fuoco, e più ad avvedersi che lor potesse  3647 servire ed a che, e più a trovare il come usarlo, il come averlo al bisogno ec. e a vincere il timore che e' dovette ispirar loro, sì naturalmente, sì per li danni che ne avranno ben tosto provati {e certo} prima di conoscerne {anzi pur d'immaginarne l'uso e la proprietà,} sì ancora forse per le cagioni che lo avranno prodotto (come se fulmini o volcani o tali fenomeni ec.), sì per gli effetti che n'avranno veduto fuor di se, come incendi e {{struggimenti}} d'arbori, di selve ec. morti e consunzioni e incenerimento d'animali, {o d'altri uomini} ec. ec.; stante dico tutto questo, come avranno potuto vivere tanti uomini, o sempre, o fino a un certo tempo, senza il necessario alla vita loro? Secondariamente, chiunque non consideri il genere umano per più che per una specie di animali, superiore bensì all'altre, ma una finalmente di esse; chiunque si contenti e si degni di tener l'uomo non per il solo essere, ma per un degli esseri, di questa terra, diverso dagli altri di specie, ma non di genere nè totalmente, nè formante un ordine e una natura a parte, ma compreso nell'ordine e nella natura di tutti gli altri esseri sì della terra sì di questo mondo,  3648 e partecipante delle qualità ec. degli altri, come gli altri delle sue, e in parte conforme in parte diverso dagli altri esseri, e fornito di qualità parte comuni parte proprie, come sono tutti gli altri esseri di questo mondo, ed insomma avente piena e vera proporzione cogli altri esseri, e non posto fuor d'ogni proporzione e gradazione e rispetto e attinenza e convenienza e affinità ec. verso gli altri; chiunque non crederà che tutto il mondo {o} tutta la terra e ciascuna parte di loro sian fatte unicamente ed espressamente per l'uomo, e che sia inutile e indegna della natura qualunque cosa, qualunque creatura, qualunque parte o della terra o del mondo non servisse o non potesse nè dovesse servire all'uomo, nè avesse per fine il suo servigio; chiunque così la pensi, risponderà facilmente alla soprascritta obbiezione. S'egli v'ha, come certo v'avrà, una specie di pianta, che rispetto al genere de' vegetabili ed alla propria natura loro {generale,} sia di tutti i vegetabili il più perfetto, e sia la sommità del genere vegetale, come lo è l'uomo dell'animale, non per questo  3649 seguirà nè sarà necessario ch'essa pianta nè si trovi nè prosperi, nè debba nè pur possa prosperare nè anche allignare nè nascere in tutti i paesi e climi della terra, nè in qualsivoglia regione de' climi ov'ella più prospera e moltiplica, nè in qualsivoglia terreno e parte delle regioni a lei più proprie e naturali. Così discorrasi nel genere o regno minerale, e negli altri qualunque. Che all'uomo in società giovi la moltiplicazione e diffusione della sua specie, o per meglio dire che alla società giovi la moltiplicazione e propagazione della specie umana, e tanto più quanto è maggiore, questo è altro discorso, {#1. questo suppone lo stato di società ch'io combatto.} e certo s'inganna assai chi lo nega. Ma che la natura {medesima} abbia destinato la specie umana a tutti i climi e paesi, e tutti i climi e paesi alla specie umana, questo è ciò che nè si può provare, e secondo l'analogia, che sarà sempre un fortissimo, e forse il più forte argomento di cognizione concesso all'uomo, si dimostra per falsissimo. Niuna pianta, niun vegetale, niun minerale, niuno animale conosciuto si trova in tutti i paesi e climi  3650 nè in tutti potrebbe vivere e nascere, non che prosperare ec. Altre specie di vegetabili e di animali {ec.} si trovano e stanno bene in più paesi e più diversi, altre in meno, niuna in tutti, e niuna in tanti e così vari di qualità e di clima, in quanti e quanto vari è diffusa la specie umana. Tra la propagazione e diffusione di questa specie e quella dell'altre non v'ha proporzione alcuna. E notisi che la propagazione di molte specie di animali, di piante ec. devesi {in gran parte} non alla natura, ma all'uomo stesso, onde non avrebbe forza di provar nulla nel nostro discorso. Molte specie che per natura non erano destinate se non se a un solo paese, o a una sola qualità di paesi, o a paesi poco differenti, sono state dagli uomini trasportate e stabilite in più paesi, in paesi differentissimi ec. Ciò è contro natura, come lo è lo stabilimento della specie umana medesima in quei luoghi che a lei non convengono. Le piante, gli animali ec. trasportate e stabilite dall'uomo in paesi a loro non convenienti, o non ci durano, o non prosperano, o ci degenerano, ci si trovano male ec. Gl'inconvenienti  3651 a cui le tali specie sono soggette ne' tali casi in siffatti luoghi, sono forse da attribuirsi alla natura? e se esse in detti luoghi, pur, benchè male, sussistono, si dee forse dire che la natura ve le abbia destinate? e il genere di vita ch'esse sono obbligate a tenere in siffatti luoghi, o che loro è fatto tenere, e i mezzi che impiegano a sussistere, o che s'impiegano a farle sussistere, si debbono forse considerare come naturali, come lor propri per loro natura? e argomentare da essi delle intenzioni della natura intorno a dette specie?

[3890,1]  Σχεδὸν μὲν οὖν καὶ τὰ ἄλλα δεῖ νομίζειν εὑρῆσϑαι πολλάκις ἐν τῷ πολλῷ χρόνῳ, μᾶλλον δὲ ἀπειρακις∙ τὰ μὲν γὰρ ἀναγκαῖα τὴν χρείαν διδάσκειν εἰκὸς αὐτήν, τὰ δὲ εἰς εὐσχημοσύνην καὶ περιουσίαν * (Victor. splendorem et ubertatem), ὑπαρχόντων ἤδη τούτων * (scil. τῶν ἀναγκαίων), εὔλογον λαμβάνειν τὴν αὔξησιν. ῞Ωστε καὶ τὰ περὶ τὴς πολιτείας οἴεσϑαι δεῖ ἔχειν τὸν τρόπον τοῦτον. ῞Οτι δὲ πάντα ἀρχαῖα, σημεῖον τὰ περὶ αἴγυπτον ἐστιν∙ οὗτοι γὰρ ἀρχαιότατοι μὲν δοκοῦσιν εἶναι, νόμων δὲ τετυχήκασι καὶ τὰξεως πολιτικῆς. Διὸ δεῖ τοῖς μὲν εἰρημένοις ἱκανῶς, χρῆσϑαι, τὰ δὲ παραλελεμμένα πειρᾶσϑαι ζητεῖν. * Aristot. Polit. l. 7. Florent. 1576. p. 593. (iis quae tradita sunt ita ut satis esse possint * . Victor.) (18. Nov. 1823.).

[3957,1]  In tutta l'America, abitata certo e frequentata da tempi remotissimi, poichè non s'ha notizia nè memoria alcuna del quando incominciasse, non si è trovato {alcuna sorta di} alfabeto nè orma alcuna di alfabeto, nè cosa che alla natura di esso si avvicinasse. {V. il Saggio di Algarotti sugl'Incas.} Non ostante la molta e maravigliosa coltura, le arti, manifatture, fabbriche ammirabili, {+politica squisita e legislazione,} ed altre grandi e numerose parti di civiltà che si trovarono nel paese soggetto al regno degl'Incas, cominciato da tre secoli prima della scoperta e conquista d'esso paese (cioè nel sec. 13.); e più ancora nel Messico, la cui civilizzazione credo che sia ancora più antica. Dico  3958 dell'ultima e più nota civiltà, poichè s'hanno molti indizi, e di tradizioni {patrie,} e d'avanzi d'edifizi e monumenti di gusto e maniera diversa da quelli dell'ultima epoca di civiltà, e d'altre cose, che dimostrano esservi state altre epoche in cui questa o quella parte dell'America (in particolare il Perù) fu, non si sa fino a qual segno, civile o dirozzata. Massime che l'America fu soggetta a rivoluzioni frequentissime e totali ne' paesi ov'elle accadevano, trasmigrazioni e totali estinzioni d'interi popoli e città, e devastazioni e assolamenti d'intere provincie, per la ferocia e frequenza e quasi continuità delle guerre, come ho detto altrove in più luoghi (v. la pag. 3932. fra l'altre con quelle ivi citate [p. 3795,2], e il pensiero [p. 3773,1 segg.] a cui quest'ultime appartengono). La scrittura del regno degl'incas si faceva con certi nodi (Algarotti Saggio sugl'Incas. opp. Cremona t. 4. p. 170-1); quella del Messico consisteva in pitture. Queste osservazioni si applichino al detto altrove pp. 830-38 pp. 1270-71 pp. 2602-606 pp. 2619-22 pp. 3661. sgg. pp. 3959-60 1. sopra l'unicità dell'invenzione dell'alfabeto, 2. sopra la difficoltà di questa invenzione tanto necessaria alla civiltà, e quindi tanto principal cagione dello snaturamento dell'uomo ec., 3. sopra le differenze essenziali tra lo stato de' popoli anche civili, che non abbiano avuto relazioni tra loro, 4. sopra l'unicità di tutte o quasi tutte le invenzioni più difficili, e più contribuenti alla civiltà, dimostrata dall'esser esse, benchè necessarissime, state sempre ignote ai popoli, anche fino a un certo segno civili, che non hanno avuto che fare cogli europei ec. dopo esse invenzioni, o viceversa agli europei ec. benchè civilissimi, quelle degli altri popoli, ancorchè molto addietro in coltura, e ciò per lunghissimi secoli, fino al cominciamento delle relazioni scambievoli degli europei ec. e di tali popoli. (8. Dec. Festa della Concezione. 1823.).

[3961,4]  Ippocrate nel libro de aere, aquis et locis (p. 29. class. 1. dell'edizione del Mercuriale. Venet. 1588. fol. ap. Iuntas in due tomi, ciascuno diviso in due classi) parla di una nazione che chiama de' Macrocefali, presso i quali stimandosi γενναιότατοι quelli ch'avessero la testa {più} lunga, era legge che a' bambini ancor teneri, quanto più presto colle mani si riducesse la figura della testa in modo che fosse lunga {+e così si facesse crescere obbligandola con fasce e altre stretture.} Aggiunge ch'al tempo suo questa legge e questo costume non s'osservavano più, ma che i bambini naturalmente nascevano colla testa così figurata, perchè prodotti da genitori che tale l'avevano. Che però negli ultimi tempi già non nascevano e non erano più tutti  3962 {nè tanti, come prima, di lunga testa, per lo disuso della legge.} Or vedi la par. 1. della Cronica del Peru di Pietro de Cieça (della quale op. v. la p. 3795-6.), capitulo 26. car. 66. p. 2-67 p. 1. e cap. 50. car. 136. p. 2. ed altrove, circa la stessa costumanza di figurar le teste de' bambini a lor modo, propria di molte popolazioni selvagge dell'America meridionale. Or che relazione ebbero mai questi coi Macrocefali? E questo costume è forse cosa che la natura l'insegna, e in cui gli uomini facilmente, benchè per solo caso, debbano concorrere? Si applichi questa osservazione a quelle sopra l'unicità dell'origine del genere umano pp. 3665. sgg. pp. 3811-13; l'antica e ignota divisione di popoli già ὁμόφυλοι, poi, fino {da} quando comincia la memoria delle storie, lontanissimi e separatissimi e diversissimi; l'unicità delle invenzioni e scoperte, dell'origine di moltissimi usi o abusi ec. ec. molti de' quali si danno oggi per naturali solo per esser comuni, e son comuni solo per esser nati prima della divisione del genere umano, o dello allontanamento delle sue parti, e sua dilatazione ec. {Puoi ved. la p. 3988. Si può anche applicare al discorso sopra le barbarie della società umana ec. (pp. 3797-802.)} E a questo medesimo proposito si applichi il luogo greco da me citato a pag. 2799. dove si narra un costume simile o conforme a quello di tanti e tanti altri selvaggi antichi, moderni, presenti, che nulla hanno avuto a far mai (in tempi che si sappiano) nè cogli Sciti di cui quivi si parla, nè tra loro {#1. V. p. 3967..} E quanti altri sono i costumi, credenze ec. affatto conformi tra selvaggi i quali non si può vedere come abbiano mai potuto aver, non ch'altro, notizia, gli uni degli altri; isolani, remotissimi. Eppur le dette conformità sono sovente tali e tante, ed anche così diffuse, e per altra parte così lontane, contrarie ec. alla natura, che  3963 per una parte sarebbe stolto l'attribuirle al caso, per l'altra non se può trovare cagione alcuna probabile, se non se ec. - Uso delle settimane ec. ec. (9. Dec. Vigilia della Venuta della S. Casa. 1823.).

[4048,6]  Una nuova prova dell'antica tradizione, di cui altrove pp. 2331-35 , che la popolazione del mondo, o certo quella d'europa, venisse dall'Asia, si deduce dalla favola (o storia) che l'europa pigliasse il nome da una donna d'Asia così chiamata. V. il sogno d'europa nel 2.do idillio di Mosco ec. (20. Marzo. 1824.). {{V. ancora i mitologi e critici ec.}}

[4069,2]  Non molto addietro ho notato in questi pensieri {+ p. 4062. segg.} la maggior disposizione naturale alla felicità che hanno i popoli di clima {assai} caldo e gli orientali, rispetto agli altri. Notisi ora che in verità questi erano i climi destinati dalla natura alla specie umana, come si dimostra quanto all'oriente, dalle antiche tradizioni che provano l'origine del genere umano essere stata in quei paesi, secondo il detto da me altrove in più luoghi pp. 3643. sgg. p. 4048, e quanto ai climi assai caldi in generale, dall'essere essi i soli in cui l'uomo possa viver nudo, come la natura lo ha posto, e senza altri soccorsi contro gli elementi, di cui la natura l'ha lasciato sfornitissimo, e che in altri paesi gli sono di prima necessità e non pochi nè facili a procacciare, nè insegnati dalla natura, ma bisognosi di molte esperienze, {casi ec.} La costruzione {ec.} degli altri animali qualunque, e delle piante, ci fa conoscere chiaramente la natura de' paesi, de' luoghi, dell'elemento {ec.} in cui la natura lo ha destinato a vivere, perchè se in diverso clima, luogo, ec. quella costruzione, quella parte, membro ec. e la forma di esso ec. non gli serve, gli è incomoda ec. non si dubita punto che esso naturalmente non è destinato a vivervi, anzi è destinato a non vivervi. Ora perchè simili argomenti saranno invalidi  4070 nell'uomo solo? quasi ei non fosse un figlio della natura, come ogni altra cosa {creata,} ma di se stesso, come Dio. (17. Aprile. Sabato Santo. 1824.).