Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

Contraddizioni e mostruosità evidenti e orribili nel sistema della Natura e della esistenza.

Contradictions and monstrosities, evident and horrible, in the system of Nature and of existence.

4099,2 4127,9 4133,2 4169,1 4174,12 4188,13 4248,9 4257,11

Contraddizioni ridicole in esso sistema della Natura e della esistenza.

Ridiculous contradictions in said system of Nature and of existence.

4204,1

[4099,2]  Non si può meglio spiegare l'orribile mistero delle cose e della esistenza universale (v. il mio Dialogo della Natura e di un Islandese, massime in fine) che dicendo essere insufficienti ed anche falsi, non solo la estensione, la portata e le forze, ma i principii stessi fondamentali della nostra ragione. Per esempio quel principio, estirpato il quale cade ogni nostro discorso e ragionamento ed ogni nostra proposizione, e la facoltà istessa di poterne fare e concepire dei veri, dico quel principio Non può una cosa insieme essere e non essere, pare assolutamente falso quando si considerino le contraddizioni palpabili che sono in natura. L'essere effettivamente, e il non potere in alcun modo esser felice, e ciò per impotenza innata e inseparabile dall'esistenza, anzi pure il non poter non essere infelice, sono due verità tanto ben dimostrate e certe intorno all'uomo e ad ogni vivente, quanto possa esserlo verità alcuna secondo i nostri principii e la nostra esperienza. Or l'essere, unito all'infelicità, ed unitovi necessariamente e per propria essenza, è cosa contraria dirittamente a se stessa, alla perfezione e al fine proprio che è la sola felicità, dannoso a se stesso e {suo} proprio inimico. Dunque l'essere dei viventi è in contraddizione naturale {essenziale} e necessaria con se  4100 medesimo. La qual contraddizione apparisce ancora nella essenziale imperfezione dell'esistenza (imperfezione dimostrata dalla necessità di essere infelice, e compresa in lei); cioè nell'essere, ed essere per necessità imperfettamente, cioè con esistenza non vera e propria. Di più che una tale essenza comprenda in se una necessaria cagione e principio di essere malamente, come può stare, se il male per sua natura è contrario all'essenza {rispettiva} delle cose e perciò solo è male? Se l'essere infelicemente non è essere malamente, l'infelicità non sarà dunque un male a chi la soffre nè contraria e nemica al suo subbietto, anzi gli sarà un bene poichè tutto quello che si contiene nella propria essenza e natura di un ente {dev'essere} un bene per quell'ente. Chi può comprendere queste mostruosità? Intanto l'infelicità {necessaria} de' viventi è certa. E però secondo tutti i principii della ragione ed esperienza nostra, è meglio assoluto ai viventi il non essere che l'essere. {Ma} questo ancora come si può comprendere? che il nulla e ciò che non è, sia meglio di qualche cosa? {#1. L'amor proprio è incompatibile colla felicità, causa della infelicità necessariamente, se non vi fosse amor proprio non vi sarebbe infelicità, e da altra parte la felicità non può aver luogo senz'amor proprio, come ho provato altrove pp. 2493-95, e l'idea di quella suppone l'idea e l'esistenza di questo.}

[4127,9]  D. Le plaisir est-il l'objet principal et immédiate[immédiat] de notre existence, comme l'ont dit quelques philosophes? R. Non: il ne l'est pas plus que la douleur; le plaisir est un encouragement à vivre, comme la douleur est un repoussement à mourir. D. Comment prouvez-vous cette assertion? R. Par deux faits palpables: l'un, que le plaisir, s'il est pris au-delà du besoin, conduit à la destruction: par exemple, un homme qui abuse du plaisir de manger ou de boire, attaque sa santé, et nuit à sa vie. L'autre,  4128 que la douleur conduit quelquefois à la conservation: par exemple un homme qui se fait couper un membre gangrené, souffre de la douleur, et c'est afin de ne pas périr tout entier. * Volney, La loi naturelle, ou Catéchisme du citoyen français, chap. 3. à la suite des Ruines (Les Ruines) ou Méditation sur les Révolutions des Empires, par le même auteur, 4.me édition. Paris 1808. p. 359-360. Bisogna distinguere tra il fine della natura generale e quello della umana, il fine dell'esistenza universale, e quello della esistenza umana, o per meglio dire, il fine naturale dell'uomo, e quello della sua esistenza. Il fine naturale dell'uomo e di ogni vivente, in ogni momento della sua esistenza sentita, non è nè può essere altro che la felicità, e quindi il piacere, suo proprio; e questo è anche il fine unico del vivente in quanto a tutta la somma della sua vita, azione, pensiero. Ma il fine della sua esistenza, o vogliamo dire il fine della natura nel dargliela e nel modificargliela, come anche nel modificare l'esistenza degli altri enti, e in somma il fine dell'esistenza generale, e di quell'ordine e modo di essere che hanno le cose e per se, e nel loro rapporto alle altre, non è certamente in niun modo la felicità nè il piacere dei viventi, non solo perchè questa felicità è impossibile (Teoria del piacere), ma anche perchè sebbene la natura nella modificazione di ciascuno animale e delle altre cose per rapporto a loro, ha provveduto e forse avuto la mira ad alcuni piaceri di essi animali, queste cose sono un nulla rispetto a quelle nelle quali il modo di essere di ciascun vivente, e delle altre cose rispetto a loro, risultano necessariamente e costantemente in loro dispiacere; sicchè e la somma e la intensità del dispiacere nella vita intera di ogni animale, passa senza comparazione  4129 la somma e intensità del suo piacere. Dunque la natura, la esistenza non ha in niun modo per fine il piacere nè la felicità degli animali; piuttosto al contrario; ma ciò non toglie che ogni animale abbia di sua natura per necessario, perpetuo e solo suo fine il suo piacere, e la sua felicità, e così ciascuna specie presa insieme, e così la università dei viventi. Contraddizione evidente e innegabile nell'ordine delle cose e nel modo della esistenza, contraddizione spaventevole; ma non perciò men vera: misterio grande, da non potersi mai spiegare, se non negando (giusta il mio sistema) ogni verità o falsità assoluta, e rinunziando in certo modo anche al principio di cognizione, non potest idem simul esse et non esse. Un'altra contraddizione, o in altro modo considerata, in questo essere gli animali necessariamente e regolarmente e per natura loro e per natura universale, infelici (essere - infelicità, cose contraddittorie), si è da me dichiarata altrove pp. 4099-4100.

[4133,2]  Tutta la natura è insensibile, fuorchè solamente gli animali. E questi soli sono infelici, ed è meglio per essi il non essere che l'essere, o vogliamo dire il non vivere che il vivere. Infelici però tanto meno quanto meno sono sensibili (ciò dico delle specie e degli individui) e viceversa. La natura tutta, e l'ordine eterno delle cose non è in alcun modo diretto alla felicità degli esseri sensibili o degli animali. Esso vi è anzi contrario. Non vi è neppur diretta la natura loro propria e l'ordine {eterno} del loro essere. Gli enti sensibili sono per natura enti souffrants, una parte essenzialmente souffrant dello universo. Poichè essi esistono e le loro specie si perpetuano, convien dire che essi siano un anello necessario alla gran catena degli esseri, e all'ordine e alla esistenza di questo tale universo, al quale sia utile il loro danno, poichè la loro esistenza è un danno per loro, essendo essenzialmente una souffrance. Quindi questa loro necessità è un'imperfezione della natura, e dell'ordine universale, imperfezione essenziale ed eterna, non accidentale. Se però la souffrance d'una menoma parte della  4134 natura, qual è tutto il genere animale preso insieme, merita di esser chiamato[chiamata] un'imperfezione. Almeno ella è piccolissima e quasi un menomo neo nella natura {universale} nell'ordine ed esistenza del gran tutto. Menomo perchè gli animali rispetto alla somma di tutti gli altri esseri, e alla immensità del gran tutto sono un nulla. E se noi li consideriamo come la parte principale delle cose, gli esseri più considerabili, e perciò come una parte non minima, anzi massima, perchè grande per valore se minima per estensione; questo nostro giudizio viene dal nostro modo di considerar le cose, di pesarne i rapporti, di valutarle comparativamente, di estimare e riguardare il gran sistema del tutto; modo e giudizio naturale a noi che facciamo parte noi stessi del genere animale e sensibile, ma non vero, nè fondato sopra basi indipendenti e assolute, nè conveniente colla realtà delle cose, nè conforme al giudizio e modo (diciamo così) di pensare della natura universale, nè corrispondente all'andamento del mondo, nè al vedere che tutta la natura, fuor di questa sua menoma parte, è insensibile, e che gli esseri sensibili sono per necessità souffrants, {+e tanto più sempre, quanto più sensibili.} Onde anzi si dovrebbe conchiudere, che essi stessi, o la sensibilità astrattamente, sono una imperfezione della natura, o vero gli ultimi, cioè infimi di grado e di nobiltà {e dignità} nella serie degli esseri e delle proprietà delle cose. (9. Aprile. Sabato in Albis. 1825.). {{V. p. 4137.}}

[4169,1]  L'uomo (e così gli altri animali) non nasce per goder della vita, ma solo per perpetuare la vita, per comunicarla ad altri che gli succedano, per conservarla. Nè esso, nè la vita, nè oggetto alcuno di questo mondo è propriamente per lui, ma al contrario esso è tutto per la vita. - Spaventevole, ma vera proposizione e conchiusione di tutta la metafisica. L'esistenza non è per l'esistente, non ha per suo fine l'esistente, nè il bene dell'esistente; se anche egli vi prova alcun bene, ciò è un puro caso: l'esistente è per l'esistenza, tutto per l'esistenza, questa è il suo puro fine reale. Gli esistenti esistono perchè si esista, l'individuo esistente nasce ed esiste perchè si continui ad esistere e l'esistenza si conservi in lui e dopo di lui. Tutto ciò è manifesto dal vedere che il vero e solo fine della natura è la conservazione delle specie, e non la conservazione nè la felicità degl'individui; la qual felicità non esiste neppur punto al mondo, nè per gl'individui nè per la specie. Da ciò necessariamente si dee venire in ultimo grado alla generale, sommaria, {suprema} e terribile conclusione detta di sopra. (Bologna 11. Marzo. 1826.).

[4174,2]  Tutto è male. Cioè tutto quello che {è,} è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale dell'universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v'è altro bene che il non essere; non v'ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir così, del non esistente, del nulla.

[4188,13]  E ciò che forse potrebbe sorprendere si è che l'insalubrità dell'aria è quasi sempre sicuro indizio di straordinaria fertilità del suolo. * Gioia,  4189 Filosofia della statistica, Milano 1826. tom. 1. ap. l'Antologia di Fir. Giugno 1826. No. 66. p. 84. Narra * (il Gioia) dell'Harmattan, vento soffiante sopra una parte della costa d'Affrica fra il capo Verde e il capo Lopez, pestifero a' vegetabili e saluberrimo agli animali. Quelli che sono travagliati dal flusso di ventre, dalle febbri intermittenti, guariscono al soffio dell'Harmattan. Quelli le cui forze furono esauste da eccessive cavate di sangue, ricuperano le loro forze a dispetto e con grande sorpresa del medico. Questo vento discaccia le epidemie, fa sparire il vaiuolo affatto, e non si riesce a comunicarne il contagio neanche col soccorso dell'arte. Tanto è vero che ciò che nuoce alla vita vegetativa è utilissimo alla vita animale, ed all'opposto. (Journal des voyages t. 19, p. 111.) * Ivi, p. 85. Questa opposizione tra due regni così analoghi, così vicini, anzi prossimi, nell'ordine naturale; e così necessarii reciprocamente; così inevitabilmente, per dir così, conviventi; è una nuova prova della somma provvidenza, bontà, benevolenza della Natura verso i suoi parti. (28. Luglio. 1826. Bologna.)

[4248,9]  Certo molte cose nella natura vanno bene, cioè vanno in modo che esse cose si possono conservare e durare, che altrimenti non potrebbero. Ma infinite (e forse in più numero che quelle) vanno male, e sono combinate male, sì morali sì fisiche, con estremo incomodo delle creature; le quali cose di leggieri si sarebbono potute combinar bene. Pure perch'elle non distruggono l'ordine presente delle cose, vanno naturalmente e regolarmente male, e sono mali naturali e regolari. Ma noi da queste non argomentiamo già che la fabbrica dell'universo sia opera di causa non intelligente; benchè da quelle cose che vanno bene crediamo poter con certezza argomentare che l'universo sia fattura di una intelligenza. Noi diciamo che questi mali sono misteri; che paiono mali a noi, ma non sono, benchè non ci cade in mente di dubitare che anche quei beni sieno misteri, e che ci paiano beni e non siano. Queste considerazioni confermano il sistema di Stratone da Lampsaco, spiegato da me in un'operetta a posta. (18. Febbraio. Domenica di Sessagesima. 1827.).

[4257,11]  Lodasi senza fine il gran magisterio della natura, l'ordine incomparabile dell'universo. Non si hanno parole sufficienti a commendarlo. Or che ha egli, perch'ei possa dirsi lodevole? Almen tanti mali, quanti beni; almen tanto di cattivo, quanto di buono; tante cose che vanno male, quante che camminan bene. Dico  4258 così per non offender le orecchie, e non urtar troppo le opinioni: per altro, io son persuaso, e si potrebbe mostrare, che il male v'è di gran lunga più che il bene. Ora un tal magisterio, sarà poi tanto grande? un tal ordine tanto commendevole? Ma il male par male a noi, non è veramente. E il bene, chi ci ha detto che sia bene veramente, e non paia solo a noi? Se noi non possiamo giudicare dei fini, nè aver dati sufficienti per conoscere se le cose dell'universo sien veramente buone o cattive, se quel che ci par bene sia bene, se quel che male sia male; perchè vorremo noi dire che l'universo sia buono, in grazia di quello che ci par buono; e non piuttosto, che sia malo, in vista di quanto ci par malo, ch'è almeno altrettanto? Astenghiamoci dunque dal giudicare, e diciamo che questo è uno universo, che questo è un ordine: ma se buono o cattivo, non lo diciamo. Certo è che per noi, e relativamente a noi, nella più parte è cattivo; e ciascuno di noi per questo conto l'avria saputo far meglio, avendo {la materia e} l'onnipotenza in mano. Cattivo è ancora per tutte le altre creature, e generi e specie di creature, che noi conosciamo: perchè tutte si distruggono scambievolmente, tutte periscono; e, quel ch'è peggio, tutte deperiscono, tutte patiscono a lor modo. Se di questi mali particolari di tutti, nasca un bene universale, non si sa di chi {+(o se dal mal essere di tutte le parti, risulti il ben essere del tutto; il qual tutto non esiste altrimenti nè altrove che nelle parti; poichè la sua esistenza, altrimenti presa, è una pura idea o parola);} se vi sia qualche creatura, o ente, o specie di enti, a cui quest'ordine sia perfettamente buono; se esso sia buono assolutamente e per se; e che cosa sia, e si trovi, bontà assoluta e per se; queste sono cose che noi non sappiamo, non possiamo sapere; che niuna di quelle che noi sappiamo, ci rende nè pur verisimili, non che ci autorizzi a crederle. Ammiriamo dunque quest'ordine, questo universo: io lo ammiro più degli altri: lo ammiro per la sua pravità e deformità, che a me paiono estreme. Ma per lodarlo, aspettiamo di sapere almeno, con certezza, che egli non sia il pessimo dei possibili. - Quel che ho detto di bontà e di cattività, dicasi eziandio di bellezza e bruttezza di questo ordine ec. (21. Marzo. 1827.) {{A  4259 veder se sia più il bene o il male nell'universo, guardi ciascuno la propria vita; se più il bello o il brutto, guardi il genere umano, guardi una moltitudine di gente adunata. Ognun sa e dice che i belli son rari, e che raro è il bello.}}

[4204,1]  Contraddizioni innumerabili, evidenti e continue si trovano nella natura considerata non solo metafisicamente e razionalmente, ma anche materialmente. La natura ha dato ai tali animali l'istinto, {le arti,} le armi da perseguitare e assalire i tali altri, a questi le armi da difendersi, l'istinto di preveder l'attacco, di fuggire, di usar mille diverse astuzie per salvarsi. La natura ha dato agli uni la tendenza a distruggere, agli altri la tendenza a conservarsi. La natura ha dato ad alcuni animali l'istinto e il bisogno di pascersi di certe tali piante, frutta ec., ed ha armato queste tali piante di spine per allontanar gli animali, queste tali frutta di gusci, di bucce, d'inviluppi d'ogni genere, artificiosissimi e diligentissimi, o le ha collocate nell'alto delle piante ec. La natura ha creato le pulci e le cimici perchè ci succino il sangue, ed ha[a] noi ha dato l'istinto di cercarle e di farne strage. L'enumerazione di tali ed analoghe contrarietà si estenderebbe in infinito, ed abbraccierebbe ciascun regno, {ciascuno elemento,} e tutto il sistema della natura. Io avrò torto senza dubbio, ma la vista di tali fenomeni mi fa ridere. Qual è il fine, qual è il voler sincero e l'intenzione vera della natura? Vuol ella che il tal frutto sia mangiato dagli animali o non sia mangiato? Se sì, perchè l'ha difeso con sì dura crosta e con tanta cura? se no,  4205 perchè ha dato ai tali animali l'istinto {e l'appetito} e forse anche il bisogno di procacciarlo e mangiarselo? I naturalisti ammirano la immensa sagacità ed arte della natura nelle difese somministrate alla tale o tale specie animale o vegetabile o qualunque, contro le offese esteriori di qualunque sia genere. Ma non pensano essi che era in poter della natura il non crear queste tali offese? che essa medesima è l'autrice unica delle difese e delle offese, del male e del rimedio? E qual delle due sia il male e quale il rimedio nel modo di vedere della natura, non si sa. Si sa ben che le offese non sono meno artificiosamente e diligentemente condotte dalla natura che le difese; che il nibbio {o il ragno} non è meno sagace di quel che la gallina o la mosca sia amorosa o avveduta. Intanto che i naturalisti e gli ascetici esaminando le anatomie de' corpi organizzati, andranno in estasi di ammirazione verso la provvidenza per la infinita artificiosità ed accortezza delle difese di cui li troverà forniti, io finchè non mi si spieghi meglio la cosa, paragonerò la condotta della natura a quella di un medico, il quale mi trattava con purganti continui, ed intendendo che lo stomaco ne era molto debilitato, mi ordinava l'uso di decozioni di china e di altri attonanti per fortificarlo e minorare l'azione dei purganti, senza però interromper l'uso di questi. Ma, diceva io umilmente, l'azione dei purganti non sarebbe minorata senz'altro, se io ne prendessi de' meno efficaci o in minor dose, quando pur debba continuare d'usarli? (Bologna. 25. Sett. 1826.). {{V. p. seg. [p. 4206,2]}}