2. Giugno. 1824. - 3. Giugno. 1824.
[4099,2] Non si può meglio spiegare l'orribile mistero delle
cose e della esistenza universale (v. il mio
Dialogo della Natura e di un
Islandese, massime in fine) che dicendo essere insufficienti
ed anche falsi, non solo la estensione, la portata e le forze, ma i principii
stessi fondamentali della nostra ragione. Per esempio quel principio, estirpato
il quale cade ogni nostro discorso e ragionamento ed ogni nostra proposizione, e
la facoltà istessa di poterne fare e concepire dei veri, dico quel principio Non può una cosa insieme essere e non essere, pare
assolutamente falso quando si considerino le contraddizioni palpabili che sono
in natura. L'essere effettivamente, e il non potere in alcun modo esser felice,
e ciò per impotenza innata e inseparabile dall'esistenza, anzi pure il non poter
non essere infelice, sono due verità tanto ben dimostrate e certe intorno
all'uomo e ad ogni vivente, quanto possa esserlo verità alcuna secondo i nostri
principii e la nostra esperienza. Or l'essere, unito all'infelicità, ed unitovi
necessariamente e per propria essenza, è cosa contraria dirittamente a se
stessa, alla perfezione e al fine proprio che è la sola felicità, dannoso a se
stesso e {suo} proprio inimico. Dunque l'essere dei
viventi è in contraddizione naturale {essenziale} e
necessaria con se
4100 medesimo. La qual contraddizione
apparisce ancora nella essenziale imperfezione dell'esistenza (imperfezione
dimostrata dalla necessità di essere infelice, e compresa in lei); cioè
nell'essere, ed essere per necessità imperfettamente, cioè con esistenza non
vera e propria. Di più che una tale essenza comprenda in se una necessaria
cagione e principio di essere malamente, come può stare, se il male per sua
natura è contrario all'essenza {rispettiva} delle cose
e perciò solo è male? Se l'essere infelicemente non è essere malamente,
l'infelicità non sarà dunque un male a chi la soffre nè contraria e nemica al
suo subbietto, anzi gli sarà un bene poichè tutto quello che si contiene nella
propria essenza e natura di un ente {dev'essere} un
bene per quell'ente. Chi può comprendere queste mostruosità? Intanto
l'infelicità {necessaria} de' viventi è certa. E però
secondo tutti i principii della ragione ed esperienza nostra, è meglio assoluto
ai viventi il non essere che l'essere. {Ma} questo
ancora come si può comprendere? che il nulla e ciò che non è, sia meglio di
qualche cosa? {#1. L'amor proprio è
incompatibile colla felicità, causa della infelicità necessariamente, se non
vi fosse amor proprio non vi sarebbe infelicità, e da altra parte la
felicità non può aver luogo senz'amor proprio, come ho provato altrove [pp.
2493-95], e l'idea di quella suppone l'idea e l'esistenza di
questo.}
[4100,1] Del resto e in generale è certissimo che nella
natura delle cose si scuoprono mille contraddizioni {#2. in mille generi e di mille qualità.} non delle
apparenti, ma delle dimostrate con tutti i lumi e l'esattezza {la} più geometrica della metafisica e della logica; e
tanto evidenti per noi quanto lo è la verità della proposizione Non può una
cosa a un tempo essere e non essere. Onde ci bisogna rinunziare alla
credenza o di questa o di quelle. E in ambo i modi rinunzieremo alla nostra
ragione. (2. Giugno. 1824.) - Vedi un'altra evidente contraddizione
della natura, e si può dire, in cose fisiche,
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notata alla p. 4087. e anche nel
citato dialogo. (3. Giugno. 1824.).