[436,1] Nella Genesi non si trova nulla in
favore della pretesa scienza infusa in Adamo, eccetto quello che appartiene ad un certo linguaggio, come ho
detto p. 394. fine. Dio, dice la Genesi,
adduxit ea
*
(gli
animali) ad Adam, ut videret
quid vocaret ea: omne enim quod vocavit Adam animae viventis,
*
(che
forse è quanto dire: omnis enim
anima vivens, quam vocavit Adam, cioè omne animal vivens) ipsum est nomen eius.
Appellavitque Adam
nominibus suis cuncta animantia, et universa volatilia caeli, et
omnes bestias terrae.
*
(Gen. 2. 19. et
20.) Questo non suppone mica una storia naturale infusa in Adamo, nè la scienza di quelle qualità
degli animali che non si conoscono senza studio, ma solamente di quelle che
appariscono a prima giunta agli occhi, all'orecchio ec: qualità dalle quali
ordinariamente son derivati i nomi di tutti gli oggetti sensibili
437 nei primordi di qualunque lingua; quei nomi dico e
quelle parole che formano le radici degl'idiomi.
[1183,2] Quello che ho detto altrove pp. 481-84
pp.
667-68 intorno alla diversa impressione che fanno ne' fanciulli i nomi
propri (e si può aggiungere le parole di ogni genere), e alle diverse idee che
loro applicano di bellezza o di bruttezza, secondo le circostanze accidentali di
quell'età, serve anche a dimostrare come sia vero che il bello è puramente
relativo, e come l'idea del bello determinato non derivi dalla bellezza propria
ed assoluta di tale o tale altra cosa, ma da circostanze affatto estrinseche al
genere e alla sfera del bello.
[1339,1]
Alla p. 1257.
Insomma questa idea benchè entri subito nel bello ideale, è figlia della madre
comune di tutte le idee, cioè dell'esperienza che deriva dalle nostre
sensazioni, e non già di un insegnamento e di una forma ispirataci e impressaci
dalla natura nella mente avanti l'esperienza, il che non è più bisogno
dimostrare dopo Locke. Ma quello che mi
tocca provare si è, che queste sensazioni, sole nostre maestre, c'insegnano che
le cose stanno così, perchè così stanno, e
1340 non
perchè così debbano assolutamente stare, cioè perch'esista un bello e un buono
assoluto ec. Questo noi lo deduciamo pure dalle nostre sensazioni, {+(e lo deduciamo naturalmente, come ne
deduciamo naturalmente le idee innate, della quale opinione questa è una
conseguenza)} ma questo è ciò che non ne possiamo dedurre; e non
possiamo, appunto perchè tutto ci è insegnato dalle sole sensazioni, le quali
sono relative al puro modo di essere ec. e perchè nessuna cognizione o idea ci
deriva da un principio anteriore all'esperienza. Quindi è chiaro che la
distruzione delle idee innate distrugge il principio della bontà, bellezza,
perfezione assoluta, e de' loro contrarii. Vale a dire di una perfezione ec. la
quale abbia un fondamento, una ragione, una forma anteriore alla esistenza dei
soggetti che la contengono, e quindi eterna, immutabile, necessaria, primordiale
ed esistente prima dei detti soggetti, e indipendente da loro. Or dov'esiste
questa ragione, questa forma? e in che consiste? e come la possiamo noi
conoscere o sapere, se ogn'idea ci deriva dalle sensazioni relative ai soli
oggetti esistenti? Supporre il bello e il buono assoluto, è tornare alle idee di
Platone, e risuscitare le idee innate
dopo averle distrutte, giacchè tolte queste, non v'è altra possibile
1341
ragione per cui le cose debbano
assolutamente e astrattamente e necessariamente essere così o così, buone queste
e cattive quelle, indipendentemente da ogni volontà, da ogni accidente, da ogni cosa di fatto, che in realtà è la
sola ragione del tutto, e quindi sempre e solamente relativa, e quindi tutto non
è buono, bello, vero, cattivo, brutto, falso, se non relativamente; e quindi la
convenienza delle cose fra loro è relativa, se così posso dire, assolutamente.
(17. Luglio 1821.).
[1341,1] In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è
il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione
assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E
tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perchè una cosa
qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è
divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra
tutte le bonta[bontà] e perfezioni
possibili.
[1613,1] Le cose non sono quali sono, se non perch'elle son
tali. Ragione preesistente, o dell'esistenza o del suo modo, ragione anteriore e
indipendente dall'essere e dal modo di essere delle cose, questa ragione non
v'è, nè si può immaginare. Quindi nessuna necessità nè di veruna esistenza, nè
di tale o tale, e così o così fatta esistenza. Come dunque immaginiamo noi un
Essere necessario? Che ragione v'è fuori di lui e prima di lui perch'egli
esista, ed esista in quel modo, ed esista ab eterno? - La ragione
1614 è in Lui stesso, cioè l'infinita sua perfezione. -
Che ragione assoluta vi è perchè quel modo di essere che gli ascriviamo, sia
perfezione? perchè sia più perfetto degli altri possibili? più perfetto delle
stesse altre cose esistenti e degli altri modi di essere? Questa ragione
dev'essere assoluta e indipendente dal modo in cui le cose sono, altrimenti il
detto Ente non sarà assolutamente necessario. Or nessuna se ne può trovare. - Il
suo modo di essere è perfezione perch'egli esiste così. - La stessa ragione
milita per tutte le altre cose e modi di essere. Tutte saran dunque egualmente
perfette, e tutte assolutamente necessarie. Quest'è un giuoco di parole. Bisogna
trovare una ragione perchè il suo modo di essere sia astrattamente e
indipendentemente da qualunque cosa di fatto, più perfetto di tutti gli altri
possibili o esistenti: perchè non sia possibile una maggior perfezione; ovvero
un tutt'altro ordine di cose, dove quel modo di essere non sia neppur buono.
Bisogna insomma porsi al di fuori dell'ordine esistente e di tutti gli ordini
possibili, e così trovare una
1615 ragione per cui le
qualità che ascriviamo a quell'Essere sieno assolutamente e necessariamente
perfette, non possano esser diverse, nè più perfette, non possano esser tali e
non esser ottime, e sieno migliori di tutte le altre possibili.
[1619,1] Io non credo che le mie osservazioni circa la
falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio. Da che le cose sono,
par ch'elle debbano avere una ragion sufficiente di essere, e di essere in
questo lor modo; appunto perch'elle potevano non essere o esser tutt'altre, e
non sono punto necessarie. Ego sum qui sum
*
, cioè ho in
me la ragione di essere: grandi e notabili parole! Io concepisco l'idea di Dio
in questo modo. Può esservi una cagione universale di tutte le cose che sono o
ponno essere, e del loro modo di essere. - Ma la cagione di questa cagione qual
sarà? poich'egli non può esser necessario, come voi avete dimostrato. - È vero
che niente preesiste alle cose. {Non preesiste dunque la
necessità.} Ma pur preesiste la possibilità. Noi non possiamo concepir
nulla al di là della materia. Noi non possiamo {dunque}
negare l'aseità, benchè neghiamo la
necessità di essere. Dentro i limiti della materia, e nell'ordine di cose che ci
è noto,
1620 pare a noi che nulla possa accadere senza
ragion sufficiente; e che però quell'essere che non ha in se stesso veruna
ragione e quindi veruna necessità assoluta di essere, debba averla fuor di se
stesso. E quindi neghiamo che il mondo possa essere, ed esser qual è, senza una
cagione posta fuori di lui. Sin qui nella materia. Usciti della materia ogni
facoltà dell'intelletto si spegne. Noi vediamo solamente che nulla è {assoluto nè quindi} necessario. Ma appunto perchè nulla
è assoluto, chi ci ha detto che le cose fuor della materia non possano esser
senza ragion sufficiente? Che quindi un Essere onnipotente non possa sussister
da se ab eterno, ed aver fatto tutte le cose, bench'egli assolutamente parlando
non sia necessario? Appunto perchè nulla è vero nè falso assolutamente, non è
egli tutto possibile, come abbiamo provato altrove? pp. 1339-42
pp. 1461-64
pp. 1616-18
[2705,3] È pur doloroso che i filosofi e le persone che
cercano di essere utili o all'umanità o alle nazioni, sieno obbligate a spendere
nel distruggere un errore o nello spiantare un abuso quel tempo che avrebbono
potuto dispensare nell'insegnare o propagare una nuova verità, o nell'introdurre
o divulgare una buona usanza. E veramente a prima vista può parer poco degno di
un grande
2706 intelletto, e poco utile, o se non
altro, di seconda o terza classe nell'ordine de' libri utili, un libro, tutta la
cui utilità si riduca a distruggere uno o più errori. (Tali sono p. e. i due Trattati di Perticari, e tutta la Proposta di Monti). Ma se guarderemo più sottilmente, troveremo che i
progressi dello spirito umano, e di ciascuno individuo in particolare,
consistono la più parte nell'avvedersi de' suoi errori passati. E le grandi
scoperte per lo più non sono altro che scoperte di grandi errori, i quali se non
fossero stati, nè quelle (che si chiamano, scoperte di grandi verità) avrebbero
avuto luogo, nè i filosofi che le fecero avrebbero alcuna fama. Così dico delle
grandi utilità recate ai costumi, alle usanze ec. Non sono, per lo più, altro se
non correzioni di grandi abusi. Lo spirito umano è tutto pieno di errori, la
vita umana di male usanze. La maggiore e la principal parte delle utilità che si
possono recare agli uomini, consiste nel disingannarli e nel correggerli,
piuttosto che nell'insegnare
2707 e nel bene
accostumare, benchè quelle operazioni bene spesso, anzi ordinariamente, ricevano
il nome di queste. La maggior parte de' libri, chiamati universalmente utili,
antichi o moderni, non lo sono e non lo furono, se non perchè distrussero o
distruggono errori, gastigarono o gastigano abusi. In somma la loro utilità non
consiste per lo più nel porre, ma nel togliere, o dagl'intelletti o dalla vita.
Grandissima parte de' nostri errori scoperti o da scoprirsi, sono o furono così
naturali, così universali, così segreti, così propri del comune modo di vedere,
che a scoprirli si richiedeva o si richiede un'altissima sapienza, una somma
finezza e acutezza d'ingegno, una vastissima dottrina, insomma un gran genio.
Qual è la principale scoperta di Locke,
se non la falsità delle idee innate? Ma qual perspicacia d'intelletto, qual
profondità ed assiduità di osservazione, qual sottigliezza di raziocinio non era
2708 necessaria ad avvedersi di questo inganno
degli uomini, universalissimo, naturalissimo, antichissimo, anzi nato nel genere
umano, e sempre nascente in ciascuno individuo, insieme colle prime riflessioni
del pensiero sopra se stesso, e col primo uso della logica? E pure che infinita
catena di errori nascevano da questo principio! Grandissima parte de' quali
ancor vive, e negli stessi filosofi, ancorchè il principio sia distrutto. Ma le
conseguenze di questa distruzione, sono ancora pochissimo conosciute (rispetto
alla loro ampiezza e moltiplicità), e i grandi progressi che dee fare lo spirito
umano in séguito e in virtù di questa distruzione, non debbono consistere essi
medesimi in altro che in seguitare a distruggere.
[4130,1] Del resto che il fine naturale dell'animale non sia
la propria conservazione direttamente e immediatamente cioè per causa di se
medesima,
4131 si è dimostrato nel Dial. di un Fisico e un
Metafisico. L'uomo ama naturalmente e immediatamente solo
il suo bene, e il suo maggior bene, e fugge naturalmente e immediatamente solo
il suo male e il suo maggior male: cioè quello che per tale egli giudica. Se gli
uomini preferiscono la vita a ogni cosa, e fuggono la morte sopra ogni cosa, ciò
avviene solo perchè ed in quanto essi giudicano la vita essere il loro maggior
bene (o in se, o in quanto senza la vita niun bene si può godere), e la morte
essere il loro maggior male. Così l'amor della vita, lo studio della propria
conservazione, l'odio e la fuga della morte, {il timore di
essa e dei pericoli d'incontrarla,} non è nell'uomo l'effetto di una
tendenza immediata della natura, ma {di un raziocinio,}
di un giudizio formato da essi preliminarmente, sul quale si fondano questo
amore e questa fuga; e quindi l'una e l'altra non hanno altro principio naturale
e innato, se non l'amore del proprio bene il che viene a dire della propria
felicità, e quindi del piacere, principio dal quale derivano similmente tutti
gli altri affetti ed atti dell'uomo. (E quel che dico dell'uomo intendasi di
tutti i viventi). Questo principio non è un'idea, esso è una tendenza, esso è
innato. Quel giudizio è un'idea, per tanto non può essere innato. Bensì egli è
universale, e gli uomini {e gli animali} lo fanno
naturalmente, nel qual senso egli si può chiamar naturale. Ma ciò non prova che
egli sia nè innato nè vero. P. e. l'uomo crede e giudica naturalmente che il
sole vada da oriente a occidente, e che la terra non si muova: tutti i
fanciulli, tutti gli uomini che veggano da prima il fenomeno del
4132 giorno e che vi pongano mente, {(se non sono già preoccupati dalla istruzione)} concepiscono questa
idea, formano {{questo}} giudizio, {ciò immantinente,} ciò immancabilmente, ciò con loro piena certezza:
questo giudizio è {dunque} naturale e universale, e
pure non è nè innato (perocchè è posteriore alla esperienza dei sensi, e da essa
deriva), nè vero, perocchè in fatti la cosa è al contrario. Così di mille altri
errori e illusioni, mille falsi giudizi, {+in cose fisiche, e più in cose morali,} naturali,
universali, immancabilmente concepiti da tutti, e ciò con piena certezza di
persuasione, e la cui naturalità e universalità non per tanto non prova per
niente la loro verità nè il loro essere innati. Conchiudo che l'amore e studio
della propria conservazione non è nell'uomo una qualità ec. immediata, ma
derivante dall'amore della propria felicità (che è veramente immediato), e
derivantene per mezzo di un'idea, di un giudizio (e questo falso), il quale
mancando o cangiandosi, l'uomo manca dell'amore della propria conservazione, lo
converte in odio della medesima, fugge la vita, segue la morte; il che egli non
fa nè può fare mai, nè pure un momento, verso la sua propria felicità, ossia
piacere, da un lato, e la sua propria infelicità dall'altro; nè anche quando
egli sia pazzo e furioso; nel quale stato bene egli talvolta {volontariamente} si uccide, ma non lascia mai di amare sopra ogni
cosa e proccurare altresì quello che egli giudica essere sua felicità, e sua
maggiore felicità. (5-6. Aprile. 1825.).
[4253,3] Il bambino, quasi appena nato, farà dei moti, per li
quali si potrebbe intender benissimo che egli conosce l'esistenza della forza di
gravità dei corpi, in conseguenza della qual cognizione egli agisce. Così di
moltissime altre cognizioni fisiche che tutti gli uomini hanno, e che il bambino
manifesta quasi
4254 subito. Forse che queste
cognizioni e idee sono in lui innate? Non già: ma egli sente in se ben tosto, e
nelle cose che lo circondano, che i corpi son gravi. Questa esperienza, in un
batter d'occhio, gli dà l'idea della gravità, e gliene forma in testa un
principio: del quale di là a pochi momenti gli parrebbe assurdo il dubitare, e
il quale ei non si ricorda poi punto come gli sia nato nella testa. Il simile
accade appunto nei principii e morali e intellettuali. Ma le idee fisiche ognun
concede e afferma non essere innate: le morali, signor sì, sono. Buona pasqua
alle signorie vostre. (9. Marzo. 1827.
Recanati.).
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