20. Giugno 1821.
[1183,2] Quello che ho detto altrove [pp. 481-84]
[pp.
667-68] intorno alla diversa impressione che fanno ne' fanciulli i nomi
propri (e si può aggiungere le parole di ogni genere), e alle diverse idee che
loro applicano di bellezza o di bruttezza, secondo le circostanze accidentali di
quell'età, serve anche a dimostrare come sia vero che il bello è puramente
relativo, e come l'idea del bello determinato non derivi dalla bellezza propria
ed assoluta di tale o tale altra cosa, ma da circostanze affatto estrinseche al
genere e alla sfera del bello.
[1183,3] Ed ampliando questa osservazione, se noi vorremo
vedere come i fanciulli appoco appoco si formino
1184
l'idea delle proporzioni e delle convenienze determinate e speciali; e come
senz'alcuna idea innata nè di proporzioni nè di convenienze particolari e
applicate, giungano pur brevemente a giudicar quella cosa bella e quell'altra
brutta, e quella buona, e quell'altra cattiva; e ad accordarsi più o meno col
giudizio universale intorno alla bruttezza o bellezza, bontà o il suo contrario,
senza però averne nell'intelletto o nella immaginazione alcun tipo; consideriamo
per modo di esempio il progresso delle idee de' fanciulli circa le forme
dell'uomo, e vediamo come appoco appoco arrivino a giudicare e a sentire la
bellezza e la bruttezza estrinseca degl'individui umani.
[1184,1] Il fanciullo quando nasce non ha veruna idea del
quali sieno e debbano essere le forme dell'uomo: {(eccetto
per quello ch'ei sente materialmente e può concepire delle sue proprie
membra e parti, mediante l'esperienza de' sensi.)}
{+(Ma se egli non ha l'idea di dette
forme, e questo è costante presso tutti gl'ideologi, come potrà averla della
loro bellezza? Come potrà aver l'idea della qualità, non avendo quella del
soggetto? E così discorrete di tutti gli altri oggetti suscettibili di
bellezza, di nessuno de' quali il fanciullo ha idea innata. Come dunque
potrà avere idea della bellezza, prima di aver la menoma idea di quelle cose
che ponno esser belle? Poniamo un essere non soltanto possibile, ma reale, e
che noi pur sappiamo ch'esista, senza però conoscerlo in altro conto. Che
idea abbiamo noi della sua bellezza o bruttezza? Ma se è assolutamente ignoto quel bello e
quel brutto che appartiene a forme ignote ec., dunque il bello non è
assoluto.)} L'acquista però ben presto col vedere {toccare ec.} E vedendo p. e. in tutte le persone che lo circondano,
il naso o la bocca di quella tal misura che noi chiamiamo proporzionata, si
forma necessariamente e naturalmente l'idea che quella tal parte dell'uomo sia e
debba essere di quella tal misura. Ecco subito l'idea di una proporzione non
assoluta, ma relativa; idea non innata, ma acquisita, non derivata
1185 dalla natura nè dall'essenza delle cose, nè da un
tipo e da una nozione preesistente nel suo intelletto, nè da un ordine
necessario, ma dall'assuefazione del senso della vista circa quel tale oggetto,
e dall'arbitrio della natura che ha fatto realmente la maggior parte degli
uomini in quel tal modo.
[1185,1] Acquistata così per solissima assuefazione l'idea delle proporzioni o
convenienze, il fanciullo si forma facilmente quella delle sproporzioni e
sconvenienze, che è sempre e necessariamente posteriore a quella dei loro
contrari, e perciò l'idea del brutto e del cattivo è posteriore a quella del
buono e del bello, {+(il che non sarebbe
se fosse assoluta e primitiva e ingenita nell'uomo, e appartenente
all'essenza e natura della sua mente e della sua facoltà concettiva)}
e deriva non da un tipo, ma dalla detta idea in questo modo che son per dire.
Seguendo l'esempio che abbiamo scelto, se il fanciullo vede un naso molto più
lungo o più corto di quello ch'è assuefatto a vedere, concepisce subito il senso
della sproporzione e sconvenienza, cioè di una mera contraddizione con la sua propria abitudine di vedere, e
forma il giudizio dello sproporzionato e sconveniente, ossia del brutto. Ed
eccolo {ben presto} d'accordo col giudizio universale
degli uomini circa la bellezza e la bruttezza determinata,
1186 senza averne portata nè ricevuta dalla natura o dalla ragione
verun'idea.
[1186,1] Ma ecco prove più trionfanti di questa mia
proposizione, cioè che l'idea d'ogni proporzione, d'ogni convenienza, d'ogni
bello, d'ogni buono determinato e specifico, e di tutti i loro contrari, deriva
dalla semplice assuefazione.
[1186,2] 1. Se quel naso sarà poco più lungo, o quella bocca
poco più larga, quantunque lo sia tanto che basti ad eccitare negli uomini il
giudizio e il senso della bruttezza, il fanciullo non concepirà questo giudizio
nè questo senso in verun modo. Che la cosa vada così, n'è testimonio
l'esperienza di chiunque è stato fanciullo, e vorrà sovvenirsi di ciò che gli
accadeva in quell'età. E qual è la ragione? La ragione è che il fanciullo avendo
acquistato solamente una scarsa e debole idea delle proporzioni, perchè poco ha
veduto, e poco ha confrontato, ha parimente una scarsa ed inesatta e non sottile
nè minuta idea delle sproporzioni, e non se n'accorge nè le sente, se non quando
quel tale oggetto si oppone vivamente e fortemente alla sua abitudine. Solamente
col molto vedere, egli arriva a formarsi senza pensarvi, un giudizio, {un discernimento,} un senso fino per distinguere il
bello dal brutto. {+Alle volte {per l'opposto} pare al fanciullo notabilissima una
sproporzione o sconvenienza, che gli altri neppure osservano. E ne deduce un
senso di bruttezza che gli altri non provano. La ragione è la poca
assuefazione, l'aver poco veduto, il che gli fa trovare strano quello che
non è strano, e brutto quindi o assai brutto, quello che non è brutto, o
poco. Come ciò, se il brutto fosse assoluto? Un fanciullo raccontava che una
persona aveva due nasi, perchè aveva osservata sul suo naso una piccola
differenza di colore, in parte più rosso, in parte meno. E di questa cosa
nessun altro si avvedeva senz'apposita osservazione.} Che vuol dir
1187 questo? Se l'idea del bello e del brutto {determinato,} fosse assoluta e naturale ed innata,
avrebbe mestieri il fanciullo di crescere, e di esercitare i suoi sensi, e e di
esperienza, per acquistare un'idea, non dico perfetta, ma sufficiente, della
bellezza o bruttezza determinata? Il vedere che ne ha bisogno, non dimostra
evidentemente che il giudizio e il senso della bruttezza o bellezza deriva
unicamente dall'assuefazione e dal confronto, e che nessun oggetto al mondo sarebbe nè bello nè brutto,
nè buono nè cattivo, se non ci fosse con che confrontarlo, massime nella sua
specie? E ciò viene a dire che nessuna cosa è bella nè buona assolutamente,
{e per se stessa;} e quindi non esiste un bello nè
un buono assoluto.
[1187,1] Il perfezionamento del gusto in ogni materia, sia
nelle arti, sia riguardo alla bellezza umana, sia in letteratura ec. ec. si
considera come una prova del bello assoluto, ed è tutto l'opposto. Come si
raffina il gusto de' pittori, degli scultori, de' musici, degli architetti, de'
galanti, de' poeti, degli scrittori? Col molto vedere o sentire di quei tali
oggetti sui quali il detto gusto si deve esercitare; coll'esperienza, col
confronto, coll'assuefazione. Come dunque questo gusto può dipendere da un tipo
assoluto, universale, immutabile, necessario, naturale, preesistente? Quello
ch'io
1188 dico de' fanciulli, dico anche de' villani,
e di tutti quelli che si chiamano o di rozzo, o di cattivo, o di non formato
gusto in ogni qualsivoglia genere di cose: lo dico di chi non è avvezzo a vedere
opere di pittura, il quale ognuno sa e dice che non può giudicare del bello
pittorico; lo dico di chi non è accostumato alla lettura de' buoni poeti, il
quale non può mai giudicare del bello poetico, del bello dello stile ec. ec. ec.
Come il giudizio e il senso del fanciullo intorno al bello, è da principio
necessariamente grossolanissimo, cosa che dimostra evidentemente come il detto
giudizio dipenda dall'assuefazione, così il giudizio e il senso della massima
parte degli uomini {circa il bello,} resta sempre
imperfettissimo non per altro, se non perchè la massima parte degli uomini non
acquista mai una tal esperienza da poter formare quel giudizio minuto, esatto e
distinto, che si chiama gusto fino. Cioè 1. non considera bene le minute parti
degli oggetti, per poterle confrontare, e formarsene quindi l'idea della
proporzione determinata, {idea}
ch'egli non ha. 2. non {ha l'abito} di
confrontare minutamente, ch'è l'unico mezzo di giudicare minutamente della proporzione e
sproporzione, bellezza o bruttezza, buono o cattivo. Così andate discorrendo, e
applicate queste osservazioni a tutte le facoltà e cognizioni umane. E dal
vedere che il senso
1189 del bello è suscettivo di
raffinamento e accrescimento sì ne' fanciulli, e sì negli uomini già formati,
deducete ch'esso non è dunque innato nè assoluto, giacchè quello che ha bisogno
di essere acquistato e formato non è ingenito; e quello che essendo suscettivo
di accrescimento è per conseguenza suscettivo di cangiamento, non è nè può
essere assoluto.
[1189,1] Dunque io non riconosco negli individui veruna
differenza di naturale disposizione ed ingegno a riconoscere e sentire il bello
ed il brutto ec.? Anzi la riconosco, ma non l'attribuisco a quello a cui si
suole attribuire: cioè ad un sognato magnetismo che trasporti gl'ingegni
privilegiati verso il bello, e glielo faccia sentire, e scoprire senza veruna
dipendenza dall'assuefazione, dall'esperienza, dal confronto; ad una simpatia
dell'ingegno {con un} bello esistente nella natura
astratta; ad un favore della natura che si riveli spontaneamente a questi geni
privilegiati ec. ec. Tutti sogni. Il genio del bello, come il genio della verità
e della filosofia, consiste unicamente nella delicatezza degli organi che rende
l'uomo d'ingegno 1. facile ed inclinato a riflettere, ad osservare,
1190 a notare, a scoprire le minute cose, e le minime
differenze: 2. a paragonare, e nel paragone ad essere diligente, minuto, e
ritrovare le minime disparità, le minime somiglianze, le menome
contrapposizioni, i menomi rapporti: 3. ad assuefarsi in poco tempo; e con poca
esperienza, poco vedere ec. poco uso insomma de' sensi, poco esercizio materiale
delle sue facoltà, contrarre un'abitudine: 4. a potere, mediante quello che già
conosce, indovinare in breve tempo anche quello che non conosce, in virtù della
gran forza comparativa che gli viene dalla delicatezza de' suoi organi; la qual
forza fa ch'egli ne' pochi dati che ha, scuopra tutti i possibili rapporti
scambievoli, e ne deduca tutte le possibili conseguenze. P. es. (non uscendo
dalla materia che abbiamo scelta) un fanciullo provvisto di quello che si chiama
genio, ha meno bisogno di vedere, di quello che n'abbia un altro d'ingegno
ottuso e torpido, per formarsi un'idea della bellezza umana; perchè concepisce
più presto l'idea delle proporzioni determinate, mediante una più minuta ed
attenta considerazione degli oggetti che vede, ed una più esatta comparazione di
questi oggetti fra loro. V. g. quel fanciullo d'
1191
ingegno torpido non si accorgerà della piccola differenza di struttura che è fra
quella bocca o quella fronte che vede, e quelle ch'è accostumato a vedere. Un
fanciullo d'ingegno fino, penetrante, arguto, riflessivo, cioè di organi
delicati, mobili, rapidi, pieghevoli, pronti, si accorgerà o subito, o più
presto, di detta differenza, e concepirà il senso e il giudizio della
sproporzione, e della bruttezza; {+perchè
gli oggetti che ha veduti gli ha osservati meglio, e osserva meglio questo
che or vede, e gli uni e l'altro gli fanno o gli hanno fatto, più viva, più
chiara e più costante impressione; dal che deriva la maggior facilità ed
esattezza della comparazione ch'egli fa in questo punto; comparazione ch'è
l'unica fonte dell'idea delle proporzioni e convenienze.} Ecco tutto
il genio. Così discorrete proporzionatamente di tutte le altre età, e di tutti
gli altri oggetti e facoltà, e vedrete come il genio di qualunque sorta, non sia
mai altro che una facoltà osservativa e
comparativa, derivante dalla
delicatezza, e più o meno perfetta struttura degli organi, che è quello che si
chiama maggiore o minore ingegno.
[1191,1] 2. Se un fanciullo ha dintorno a se persone o di
forme notabilmente diverse, o di forme tutte brutte, e che tutte convengano in
una certa specie di bruttezza, l'idea ch'egli si forma della bellezza, e della
proporzione, è incertissima nel primo caso, e sta solamente sui generali (cioè
su quelle {sole} proporzioni che sono comuni a tutte le
persone che lo circondano): e nel secondo caso, egli concepisce espressamente
per bello, quello
1192 ch'è brutto, e che poi col più e
più vedere altre persone, arriva finalmente a riconoscere per brutto. Qui chiamo
in testimonio l'esperienza di tutti gli uomini del mondo, acciò mi dicano quanto
l'idea loro circa la bellezza e la bruttezza si sia venuta cambiando secondo
l'età, cioè a misura dell'esperienza della loro vista: e come quasi tutti
abbiano da fanciulli giudicate belle delle fisonomie, delle persone ec. che in
altra età sono loro sembrate brutte, e tali sembravano anche agli altri. Il che
deriva 1. dalla ragione ora detta, 2. dalla poca pratica di vedere che
ristringeva la facoltà del loro giudizio, e l'idea che essi avevano delle
proporzioni, limitandola necessariamente e in ogni caso, alla sola idea delle
proporzioni generali e comuni a tutti gli uomini, 3. da circostanze affatto
estrinseche al bello: p. e. la nostra balia ci par sempre bella, e così tutte
quelle persone che ci accarezzano da fanciulli ec. ec. Allora il giudizio della
bellezza era effetto di queste tali impressioni (e non del bello). E si
giudicava poi bello appoco appoco, quello che somigliava a queste tali
fisonomie, sulle quali ci eravamo formata l'idea del bello umano, ancorchè
fossero bruttissime. E siccome le impressioni della fanciullezza sono vivissime,
così per effetto loro,
1193 e delle così dette simpatie
ed antipatie, che sono uno de' loro effetti, accade che per lungo tempo e forse
sempre, ci troviamo inclinati a giudicare favorevolmente di persone bruttissime,
ma somiglianti a quelle che da piccoli ci parvero belle, e massime di queste
medesime; le quali, ancorchè brutte, non ci parranno mai più, brutte veramente;
ma solo il nuovo abito {di vedere,} e quindi il nuovo
modo che abbiamo contratto di giudicare della bellezza, ce {le} faranno giudicare, ma non parer brutte. E ci bisognerà sempre una
riflessione, ed un confronto espresso colle nostre nuove idee del bello, per
giudicar brutte quelle persone, che a prima vista, e senza considerazione, non
ci parranno mai tali. Massime se il nostro ingegno è torpido e difficile a
contrarre nuove abitudini: perchè nel caso contrario più facilmente ci riesce di
formare intorno all'estrinseco di quelle persone un giudizio conforme alle nuove
idee del bello che abbiamo acquistato colla maggiore esperienza de' sensi. Prove
più certe che l'idea del bello non sia nè assoluta, nè innata, nè naturale,
{nè immutabile,} nè dipendente da un tipo (col
quale avremmo potuto paragonare quelle fisonomie), non credo che si possano
desiderare.
[1194,1]
1194 3. L'uomo, se ben considereremo, non giudica mai
della bellezza nè della bruttezza, se non comparativamente, e l'idea del bello è
sempre comparativa e quindi relativa. Noi giudichiamo della bellezza estrinseca
dell'uomo, sia reale, sia imitata, molto più finamente che di qualunque altro
bello fisico. Perchè? Perchè naturalmente facciamo ed abbiamo fatto maggiore
attenzione alle forme de' nostri simili, che di qualunque altro oggetto, e ne
abbiamo notate le menome parti, le possiamo paragonare fra loro, e quelle di un
individuo con quelle di un altro, o della generalità; e in questo modo, abbiamo
distinta e minuta ed esatta l'idea acquisita delle proporzioni e convenienze relative alla figura
dell'uomo, e delle sproporzioni e sconvenienze, che è quanto dire della bellezza
e della bruttezza umana. Ma poniamo un individuo umano che non abbia mai veduto
alcuno de' suoi simili. Egli non saprà giudicare della bruttezza o bellezza loro
in nessun modo, quando ne vegga qualcuno, massimamente se ne vede qualcuno
isolato. Se però egli non avrà posta molta attenzione alle sue proprie forme,
alla sua fisonomia, specchiandosi p. e. nelle fontane ec. Ed allora il giudizio
ch'egli porterà delle forme di quel tal uomo, sarà pur comparativo, cioè
comparativo alla sua propria
1195 forma, e quindi non
si accorderà col giudizio generale, o solamente a caso. E se egli avrà avuta
molta pratica di qualche altra specie di animali, come cani, o cavalli ec. egli
sarà molto meglio a portata di giudicare della bellezza di questi, che di quella
dell'uomo. E nel detto giudizio sarà meglio d'accordo col giudizio comune degli
uomini. Dico degli uomini, e non già di quegli stessi animali, i quali, come gli
uomini, ponendo maggiore attenzione alle forme de' loro simili, ne giudicano
molto diversamente, e più distintamente ed esattamente degli uomini: {+in proporzione però della facoltà de'
loro organi molto meno disposti o meno esercitati ad osservare, a
paragonare, a riflettere, di quelli dell'uomo, e massime dell'uomo {o del fanciullo} incivilito più o meno.} Bensì
è vero che quel tal uomo che abbiamo supposto, si sentirà forse inclinato verso
quel suo simile più di quello che fosse verso qualunque altra specie d'animali,
con cui fosse addomesticato; e massimamente se quel suo simile è di diverso
sesso. Ma questa è inclinazione materiale ed innata della natura sua, del tutto
indipendente dall'idea del bello, e dal giudizio delle forme: è inclinazione e
πάϑος ossia passione, e non idea. E questo tal uomo, vedendo molti suoi simili
tutti in un tratto per la prima volta, non conoscerà fra loro, nelle loro forme
e fisonomie ec. quasi alcuna differenza, come è già noto che accade p. e.
all'Europeo che vede per la prima volta degli Etiopi, o de' Lapponi. Tutti gli
paiono appresso a poco della stessa forma e fisonomia, e nessuno più bello nè
più brutto
1196 degli altri. Questo appunto accade al
fanciullo, nel primo veder uomini che gli accade, e va poi appoco appoco
acquistando l'idea {ed il senso} della loro bellezza o
bruttezza, per sola comparazione, cominciando a notare le minute parti, e
paragonandole, e scoprendo le minute differenze negl'individui. Questo è ciò che
ci accade negli animali, i quali tutti ci paiono appresso a poco p. e. della
stessa fisonomia (dentro i limiti di una stessa specie); e quando anche
facendoci l'occhio appoco appoco, arriviamo a portare un giudizio comparativo
circa la bellezza comparativa delle
loro forme, 1. questo ci accade solamente negli animali che più si trattano e
più si osservano, come cavalli, cani, buoi ec. chè della bellezza p. e. del
lione individuo, nessun uomo ch'io sappia, nè si arroga, nè pensa pure di
giudicare: 2. questo giudizio è certo assai meno esatto di quello degli stessi
animali di quella specie, ed è credibile che bene spesso sia contrarissimo al
giudizio degli stessi animali, perchè noi giudichiamo delle loro forme colle
idee che abbiamo delle proporzioni (diverse dalle loro), e comparativamente
piuttosto ad altre specie, e ad altri oggetti, che alla propria specie loro, del
che dirò poco appresso. {+Un bambino e un
animale confondono facilmente un pupazzo, una statua, una pittura ec. cogli
oggetti che rappresentano, perchè sopra questi hanno fatta poca
osservazione: meno facilmente però, o meno durevolmente, se l'oggetto
rappresentato è della propria specie e forma, perchè nella forma della loro
specie hanno posta naturalmente più attenzione.}
[1196,1] Quell'uomo che io ho supposto, se non avesse
1197 bene osservato il suo proprio colore, e vedesse un
Nero e un Bianco allo stesso tempo, non saprebbe punto decidere qual de' due
fosse più bello, nè qual de' due colori meglio convenisse alla specie umana. E
se non avesse bene osservate le sue proprie forme, e vedesse al tempo stesso un
Lappone, un italiano, un Patagone, non saprebbe decidere quale di queste tre
forme fosse più bella, e non sentirebbe
differenza di bellezza o bruttezza in nessuno di loro. {Il
che dimostra ch'egli non ha veruna regola o norma innata ed assoluta per
giudicare del bello, neppure umano.}
[1197,1] L'uomo non può mai formarsi l'idea di una bellezza
isolata, vale a dire che il bello assoluto non esiste, nè altrove, nè nella
idea, nella fantasia, nell'intelletto naturale e primitivo dell'uomo. Figuratevi
che ci sia mostrato un oggetto forestiero, e che questo sia il primo e l'unico
che noi vediamo nel suo genere. Noi o non giudichiamo in nessun modo della sua
bellezza o bruttezza, nè la sentiamo; ovvero ne giudichiamo comparativamente ad
altri generi di cose, e ad altre proporzioni, e così per lo più andiamo errati,
e probabilmente giudicheremo brutto un oggetto che nel suo paese è giudicato
bellissimo, e che lo è nel suo genere effettivamente; o viceversa. Figuratevi
1198 di vedere un uccello Americano di specie da
voi non prima veduta. Questa è specie e non genere, e voi per giudicarne potete
paragonarla alle altre specie di uccelli che conoscete. Tuttavia probabilmente
sbaglierete il giudizio; voglio dire, p. e. vi parranno sproporzioni quelle che
agli Americani assuefatti a vederne, parranno proporzioni, e bellezza: e
viceversa agli Americani parranno sproporzionati e brutti molti uccelli di
specie e di forme assai differenti dai loro, e ch'essi non sono accostumati a
vedere. Così discorrete d'ogni sorta di oggetti o naturali o artifiziali.
[1198,1] E passando da queste osservazioni, al buono e al
cattivo, vedrete come nessuna cosa possibile sia buona nè cattiva, nè più o meno
perfetta ec. isolatamente, ma solo comparativamente; e che per conseguenza non
esiste il buono nè il cattivo assoluto, ma solo il relativo.
[1198,2] Voglio prevenire un'obbiezione. Diranno che l'uomo
naturalmente, e senza osservazione ed esame preferisce un altro uomo, o una
donna giovane a una vecchia, e che quindi l'idea della bellezza è assoluta.
[1198,3] 1. Potrei dire che al fanciullo non accade così
prima di avere acquistata coll'esperienza de'
1199
sensi, la facoltà comparativa: ed aggiungerei che io mi ricordo di aver da
fanciullo giudicato belli alcuni vecchi, e più belli ancora di altre persone
ch'erano giovani. E ciò per le ragioni dette p. 1191. fine-1193.
[1199,1] 2. Ma la vera e piena risposta è che questo non
appartiene alla sfera della bellezza.
[1199,2] Il metafisico non deve lasciarsi imporre dai nomi,
ma distinguere le diverse cose che si denotano sotto uno stesso nome. {+V. in tal proposito p. 1234-36 e specialmente p. 1237.} Un colore
isolato e vivo, che piace, si chiama bello, e non è. Un suono isolato che
diletta, senza gradazioni nè armonia, non appartiene al bello. Bellezza non è
altro che armonia e convenienza. Bruttezza è sproporzione e sconvenienza. {Queste sono proposizioni non contrastate da nessun filosofo,
per poco che abbia osservato.} Quali cose si convengano o
disconvengano insieme, si crede che la natura dell'uomo l'insegni, e che dipenda
dall'ordine primordiale e necessario delle cose, e questo io lo nego. La
quistione è qui. Dove non entra armonia nè convenienza, la quistione non entra.
Una cosa che piace senza armonia nè convenienza, appartiene alla sfera di altri
piaceri. Quel colore vivo, ci diletta, perchè i nostri organi son così fatti,
che quella sensazione li solletichi gradevolmente.
1200
Questa è sensazione {(dipendente dall'arbitrio della natura
circa il[le] quali cose sieno piacevoli a
questa o a quella specie di esseri)} e non idea; e quindi il detto
piacere, benchè venga per la vista, non appartiene alla bellezza, più di quello
che vi appartenga il piacere che dà un cibo alle papille del nostro palato, o il
piacere venereo ec. (Lascio che anche questi tali piaceri non sono assoluti
neppure dentro i limiti di una sola specie, anzi neppure di un solo individuo, e
dipendono sommamente, almeno in gran parte, dall'assuefazione.) L'uomo è più
inclinato al suo simile giovane, che al suo simile vecchio. Così anche gli altri
animali. Questa non è idea, ma inclinazione, {tendenza,} e passione; ed è fuori della teoria del bello, perch'è
fuori ancora della sfera dell'armonia. Le tendenze sono innate e comuni a tutti
gli uomini; le idee no. Ma nel detto caso la mente non giudica; bensì il fisico
dell'uomo si sente inclinato, e trasportato. Non tutti i piaceri che vengono per
la vista appartengono alla bellezza, sebbene gli oggetti che producono i detti
piaceri, si chiamano ordinariamente belli; ma quelli soli che derivano
dall'armonia e convenienza, sì delle parti fra loro, sì del tutto col suo
fine.
[1200,1] Io credo poi ancora che la stessa idea dell'uomo che le cose debbano convenire fra loro,
non sia innata ma acquisita, e derivi dall'assuefazione in questo modo. Io sono
avvezzo a vedere {p. e.} negli uomini
1201 le tali e tali forme. Se ne vedo delle differenti
e contrarie, le chiamo sconvenienti, perchè elle mi producono un effetto
contrario alla mia assuefazione. Sviluppate quest'idea. (20. Giugno
1821.).