[69,3] Quanto è più dolce l'odio che la indifferenza verso
alcuno! Perciò la natura intenta a proccurare la nostra felicità individuale
nello stato primitivo, ci avea lasciata l'indifferenza verso pochissime cose,
come vediamo nei fanciulli sempre proclivi a odiare o ad amare, temere ec.
[381,1] La facoltà di formare questo giudizio non manca
all'uomo ignorante, perchè tutto quello ch'egli deve sapere gli è insegnato
dalla natura. Bisogna esser bene stupido per ammetter l'ipotesi di un'ignoranza
che lasci l'uomo nell'intera indifferenza, come quell'asino delle scuole, posto
tra due cibi distanti e moventi d'un modo,
*
il quale si morria di fame.
*
L'ignorante ignora il vero, ma non i motivi di determinarsi. Anzi l'ignorante
naturale, come il fanciullo, si determina molto più presto, facilmente e
vivamente, {risolutamente e certamente} dell'uomo
istruito o saggio. Di più le stesse cose per natura loro indifferenti all'uomo,
per poco che abbia perduto della natura, quelle cose che non possono essere
oggetti di azione, come piante, sassi, e che so io, non sono indifferenti
all'uomo primitivo nè al fanciullo, il quale da piccolissime minuzie, cava
argomento di amarle o di odiarle, e trova notabili {benchè
immaginarie}
differenze, nelle cose più
382 indifferenti, ed esagera e ingrandisce le piccole
differenze reali: sicchè non gli manca ma motivo di determinazione. Anzi la
ragione e la scienza è indifferentissima, e la natura e l'ignoranza è tutto
l'opposto dell'indifferenza. (V. il mio
discorso sui romantici, e la p. 69. di questi pensieri, capoverso 3.)
Perchè l'immaginazione e l'errore dà molto più peso alle minuzie, che la
ragione, e non ammette nè dubbi, nè freddezze nella stessa certezza, come la
ragione che conosce la poca importanza di tutto, e perciò la poca differenza
dell'utilità o bontà rispettiva. Oltracciò la ragione e la scienza, tende
evidentemente ad agguagliare il mondo sotto ogni rispetto, ed estinguere o
scemare la varietà, perchè non c'è cosa più uniforme della ragione, nè più varia
della natura; e così la scienza promuove sommamente l'indifferenza, perchè
toglie o scema anche le differenze reali, e quindi i motivi di
determinazione.
[448,1] Del resto, come l'indifferenza assoluta, ossia la
mancanza di ogni determinazione dell'intelletto, cioè di ogni credenza, sarebbe
mortifera per l'animale {libero, e dipendente dalla sua
propria determinazione;} così anche appresso a poco il dubbio, ch'è
quasi tutt'uno col detto stato. Così anche sarà cattiva e dannosa la difficoltà
o lentezza al determinarsi (riferite a questo capo l'angoscia e il tormento
dell'irresoluzione): e quindi lo stato dell'uomo sarà tanto più felice, quanto
egli avrà maggior facilità e prontezza a determinarsi a credere (dal che poi
segue l'operare); cioè a tirare una conseguenza da un tal dato; e con quanto
maggior forza, ossia certezza, egli si determinerà al credere. (s'intende già
che la credenza sia buona per lui, perchè la supposizione contraria
449 è fuor del caso). Ora è cosa dimostrata dalla
continua esperienza, che l'uomo si determina al credere, tanto più facilmente,
prontamente, e certamente, quanto più è vicino allo stato naturale, come appunto
accade negli animali, che non hanno nè difficoltà nè lentezza nè dubbio intorno
alle loro idee o credenze, innate nel senso detto di sopra. E così il fanciullo,
l'ignorante, ec. E per lo contrario, quanto più si è lontani dallo stato
naturale, cioè quanto più si sa, tanto maggior difficoltà e lentezza si prova
alla determinazione dell'intelletto, e tanto minor forza, ossia certezza, ha
questa determinazione o credenza. Così che la certezza degli uomini nel credere
(e quindi la determinazione e forza nell'operare, ch'è in ragion diretta colla
certezza del credere) è in ragione inversa del loro sapere. Hoc unum scio, me
nihil scire:
*
famoso detto di quell'antico
sapiente. {+E questa è la
conclusione, la sostanza, il ristretto, la sommità, la meta, la perfezione
della sapienza.} Laddove il fanciullo e l'ignorante, si può dire che
crede di non ignorar nulla: e se non altro, crede di saper di certo tutto quello
che crede. {+E questa è la sommità
dell'ignoranza.} (Onde credendo quello ch'è conforme alla natura, e
credendolo in questo modo, ne viene a esser felice e
450
perfetto.) In maniera che, dove alla determinazione dell'uomo, non è necessario,
anzi non può servir altro che la credenza; la cognizione la quale si vuol che
sola sia capace a determinarlo, viene a esser nemica della credenza, e però
della determinazione. E in vece che l'ignoranza, tal qual è in natura, (non
l'assoluta, cioè la negazione di ogni credenza, o determinazione
dell'intelletto, che in natura non si dà) conduca l'uomo {o
l'animale} all'indifferenza, come pretendono; ve lo conduce anzi il
sapere (e l'eterna esperienza lo prova). E l'uomo tanto meno, tanto più
difficilmente, lentamente, e dubbiamente si determina, quanto più sa. Tanto
minore è la determinazione, quanto maggiore è il sapere. E tanto è lungi che la
credenza sia incompatibile coll'ignoranza, che per lo contrario è molto più
compatibile coll'ignoranza che col sapere.
[484,1] Non si è mai letto di nessun antico che si sia ucciso
per noia della vita, laddove si legge di molti moderni, e v. il Suicidio ragionato di Buonafede. Nè perchè questo
accade oggidì massimamente in Inghilterra, si creda che
questo fosse comune in quel paese anche anticamente, senza che ne rimanga
memoria. Dai poemi di Ossian si vede
quanto gli antichi abitatori di quel paese fossero lontani dal concepire la
nullità e noia necessaria della vita assolutamente; e molto più dal disperarsi e
uccidersi per questo. Gli antichi Celti e gli altri antichi si uccidevano per
disperazioni
485 nate da passioni e sventure, non mai
considerate come inevitabili e necessarie assolutamente all'uomo, ma come
proprie dell'individuo, perciò disgraziato e infelice, e disperantesi. La
disperazione e scoraggimento della vita in genere, l'odio della vita come vita
umana (non come individualmente e accidentalmente infelice), la miseria
destinata e inevitabile alla nostra specie, la nullità e noia inerente ed
essenziale alla nostra vita, in somma l'idea che la vita nostra per se stessa
non sia un bene, ma un peso e un male, non è mai entrata in intelletto antico,
nè in intelletto umano avanti questi ultimi secoli. Anzi gli antichi si
uccidevano o disperavano appunto per l'opinione e la persuasione di non potere,
a causa di sventure individuali, conseguire e godere quei beni ch'essi stimavano
ch'esistessero. (10. Gen. 1821.).
[2599,1] L'uniformità è certa cagione di noia. L'uniformità è
noia, e la noia uniformità. D'uniformità vi sono moltissime specie. V'è anche
l'uniformità prodotta dalla continua varietà, e questa pure è noia, come ho
detto altrove p. 51, e provatolo con esempi. V'è la continuità di
tale o tal piacere, la qual continuità è uniformità, e perciò noia ancor essa,
benchè il suo soggetto sia il piacere. Quegli sciocchi poeti, i quali vedendo
che le descrizioni nella poesia sono piacevoli hanno ridotto la poesia a {continue} descrizioni, hanno tolto il piacere, e
sostituitagli la noia (come i bravi poeti stranieri moderni, detti descrittivi): ed io ho veduto persone
di niuna letteratura, leggere avidamente l'Eneide
2600 (ridotta nella loro lingua) la qual par che non
possa esser gustata da chi non è intendente, e gettar via dopo i primi libri
le
Metamorfosi, che {pur} paiono
scritte per chi si vuol divertire con poca spesa. Vedi quello che dice Omero in persona di Menelao: Di tutto è
sazietà, della cetra, del sonno
*
ec. La continuità
de' piaceri, (benchè fra loro diversissimi) o di cose poco differenti dai
piaceri, anch'essa è uniformità, e però noia, e però nemica del piacere. E
siccome la felicità consiste nel piacere, quindi la continuità de' piaceri
(qualunque si sieno) è nemica della felicità per natura sua, essendo nemica e
distruttiva del piacere. La Natura ha proccurato in tutti i modi la felicità
degli animali. Quindi ell'ha dovuto allontanare e vietare agli animali la
continuità dei piaceri. (Di più abbiamo veduto {parecchie
volte}
pp.
172-77
pp. 2433-34 come la
Natura ha combattuto la noia in tutti i modi possibili, ed avutala in
quell'orrore che gli antichi le attribuivano rispetto al vuoto.) Ecco come i
mali vengono ad esser necessarii alla stessa felicità, e pigliano vera e reale
essenza
2601 di beni nell'ordine generale della natura:
massimamente che le cose indifferenti, cioè non beni e non mali, sono cagioni di
noia per se, come ho provato altrove pp. 1554-55, e di più non interrompono
il piacere, e quindi non distruggono l'uniformità, così vivamente e pienamente
come fanno, e soli possono fare, i mali. Laonde le convulsioni degli elementi e
altre tali cose che cagionano l'affanno e il male del timore all'uomo naturale o
civile, e parimente agli animali ec. le infermità, e cent'altri mali inevitabili
ai viventi, anche nello stato
primitivo, (i quali mali benchè accidentali uno per uno, forse il genere e
l'università loro non è accidentale) si riconoscono per conducenti, e in certo
modo necessarii alla felicità dei viventi, e quindi con ragione contenuti e
collocati e ricevuti nell'ordine naturale, il qual mira in tutti i modi alla
predetta felicità. E ciò non solo perch'essi mali danno risalto ai beni, e
perchè più si gusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: ma
perchè senza essi mali, i beni
2602 non sarebbero
neppur beni, {a poco andare,} venendo a noia, e non
essendo gustati, nè sentiti come beni e piaceri, e non potendo la sensazione del
piacere, in quanto realmente piacevole, durar lungo tempo ec. (7. Agosto
1822.).
[3942,2]
Alla p. 3275.
marg. Anzi molti di questi amano più di aver de' nemici che degli
amici, son più contenti di essere odiati che amati, e si attaccano volentieri
con chicchessia, non per sensibilità, neanche per misantropia, per l'odio
naturale verso gli altri ec., ma perchè il loro stato naturale è lo stato di
guerra, ed amano più di combattere che di stare in pace e posarsi, e più la vita
inquieta che la tranquilla. E ciò semplicissimamente, senza malignità, senza
carattere nè passioni nere e odiose. Infatti essi sono {apertissimi,} sincerissimi, compassionevolissimi, e beneficano più
degli altri, ma le stesse persone che essi compatiscono o beneficano, amerebbero
più
3943 di averle a combattere e di esserne odiati. E
similmente cogli altri uomini i quali hanno più caro di averli contrarii che
affezionati o indifferenti, e però tuttogiorno, senza passione alcuna, o ben
leggera, e sopra menomissime bagattelle gli stuzzicano e provocano ed offendono
o con parole o con fatti, per avere il piacer di combatterli e di stare in
guerra. E come ciascuno s'immagina ordinariamente quello che più desidera, così
essi ordinariamente si compiacciono in pensare che gli altri vogliano loro male,
e in torcere ogni menoma azione e parola altrui verso loro a cattiva intenzione
ed ostile, e pigliano occasione da tutto di entrare in lizza con chicchessia,
anche coi più familiari, intrinseci, compagni ed amici. Torno a dire che tutto
ciò è con grandissima semplicità ed anche nobiltà, o certo non doppiezza e non
viltà, di carattere; senza umor tetro e malinconico (anzi questi tali sono per
l'ordinario allegrissimi o tirano all'allegria) senza carattere atrabilare, nè
quella che si chiama δυσκολία e morositas, carattere
acre ec. {indole e costume puntiglioso,}
{#1. Chi sia accorto, facilmente distingue
e nella speculazione e nella pratica, e in ciascuna persona e caso
particolare, e nel generale, il carattere e costume puntiglioso, e i fatti
puntigliosi, dal carattere ec. ch'io qui descrivo (il quale non è neppur lo
stesso che quello del Burbero benefico di Goldoni) che certo in realtà sono cose molto
diverse e distinte.} anzi tutte queste cose son proprie degli uomini
deboli e sfortunati (e quindi con verità si attribuiscono pariticolarmente a'
vecchi, massime donne), {senza incontentabilità, malumore,
scontentezza,} senza umore soverchiamente collerico ed accensibile. La
forza del corpo {e dell'età} e la prosperità delle
circostanze, dà a questi tali tanta confidenza in se stessi, che non che
cerchino o curino il favor degli altri, sono più soddisfatti di averli
contrarii, e godono di riguardar gli altri piuttosto come nemici che come amici
o indifferenti, ed anche di averli veramente nemici più o meno, secondo la
qualità delle occasioni
3944 e la forza fisica di
questi tali. La loro conversazione e compagnia e convitto, massime a lungo
andare, è veramente molto difficile e dispiacevole, benchè essi sieno incapaci
di tradimento, e servizievoli e benefici e compassionevoli e generosi. Essi
sono, malgrado questo, poco capaci di amare, e poco fatti per essere amici, ma
essi sono altresì più capaci e desiderosi di aver de' nemici, che atti ad
esserlo, perchè son più buoni all'ira che [all'ira
che] all'odio, a combattere che a odiare, a vendicarsi che a
perseguitare. Anzi costoro son quasi incapaci di odiare, e l'ira eziandio {propriamente presa} in essi è molto blanda e breve,
forse perchè frequentissima. (6. Dec. 1823.).
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