22. Dic. 1820.
[436,1] Nella Genesi non si trova nulla in
favore della pretesa scienza infusa in Adamo, eccetto quello che appartiene ad un certo linguaggio, come ho
detto p. 394. fine. Dio, dice la Genesi,
Q9184adduxit ea (gli
animali) Q9184ad Adam, ut videret
quid vocaret ea: omne enim quod vocavit Adam animae viventis, (che
forse è quanto dire: Q9184omnis enim
anima vivens, quam vocavit Adam, cioè omne animal vivens) ipsum est nomen eius.
Appellavitque Adam
nominibus suis cuncta animantia, et universa volatilia caeli, et
omnes bestias terrae. (Gen. 2. 19. et
20.) Questo non suppone mica una storia naturale infusa in Adamo, nè la scienza di quelle qualità
degli animali che non si conoscono senza studio, ma solamente di quelle che
appariscono a prima giunta agli occhi, all'orecchio ec: qualità dalle quali
ordinariamente son derivati i nomi di tutti gli oggetti sensibili
437 nei primordi di qualunque lingua; quei nomi dico e
quelle parole che formano le radici degl'idiomi.
[437,1] Del resto sostengo anch'io, anzi fa parte essenziale
del mio sistema la proposizione che Adamo ebbe una scienza infusa: ma in questo modo. Ogni essere capace
di scelta, anzi tale che non si può determinare all'azione (neppure a quella
necessaria per conservarsi, eccetto le azioni che chiamano hominis, se ce ne ha veramente) e per conseguenza non può vivere,
senza un atto elettivo e definito della sua volontà, ha bisogno di credenze,
cioè deve credere che le cose siano buone o cattive, e che quella tal cosa sia
buona o cattiva, altrimenti {la sua volontà} non avrà
motivo per determinarsi ad abbracciarla o fuggirla, per decidersi a fare o non
fare, all'affermativo o al negativo. E l'uomo e l'animale in questa indifferenza
diverrebbe necessariamente come quell'asino delle scuole, di cui vedi p. 381. Le piante e i sassi che non
si muovono da se, nè dipendono da se nell'azione e nella vita, non hanno bisogno
di credenze, ma l'animale che dipende da se nell'azione e nella vita, ha bisogno
di credere, giacchè non c'è altro motivo
438 nè mobile,
nè altra forza, (eccetto l'estrinseche) che lo possa determinare, e definirne la
scelta. Qualunque essere non è macchina, ha bisogno di credenze per vivere.
Dunque anche gli animali, se non sono purissime macchine: {dunque hanno anch'essi il principio di ragionamento, senza cui non v'è
credenza, perchè il credere non è altro che tirare una
conseguenza.}
[438,1] Ma io dico credenze, non cognizioni. L'oggetto della
cognizione è la verità; l'oggetto della credenza è una proposizione credibile, e
dico credibile relativamente in tutto e per tutto alle qualità generali o
individuali, essenziali o accidentali dell'essere che crede, perchè una cosa può
esser credibile a una specie o genere, e non ad un'altra; a un individuo di
quella specie o genere, e non ad un altro; a questo medesimo individuo oggi, e
non domani.
[438,2] La verità dunque non entra in questo discorso, ma solo
bisogna sapere quali determinazioni a credere siano atte a produrre una
determinazione ad operare, vantaggiosa (e questo veramente) all'essere pensante e vivente; e perciò quali
determinazioni a credere, {o sia quali credenze,} sieno
atte a produrre la sua felicità.
[438,3] Io dunque dico che queste credenze determinanti l'uomo
bene (cioè non altro che convenientemente alla sua propria e particolare
essenza), e perciò conducenti
439 alla felicità, sono
(come negli altri animali) le credenze ingenite, primitive, e naturali.
[439,1] In questo modo io sostengo che Adamo ebbe non una scienza {propriamente,} ma delle credenze infuse: non la cognizione del vero,
indifferente per lui, ma delle opinioni credute veramente vere da lui, opinioni
di credere il vero (senza di che non v'è credenza), e opinioni veramente
convenienti alla sua natura, e alla sua felicità, e quindi conducenti alla
perfezione. E Adamo ne dovette avere
necessariamente, come gli altri animali, perchè senza credenze non c'è vita per
quegli esseri che dipendono nell'operare dalla determinazione della propria
volontà, come ho dimostrato.
[439,2] Queste credenze ingenite, primitive e naturali, non
sono altro se non quello che si chiama istinto, idee innate ec. Gli animali ne
hanno: non si contrasta: ma non perciò non son liberi: se non fossero liberi
sarebbono macchine pure: l'istinto non è altro che quello che ho detto, cioè
credenze ingenite. Queste non tolgono la libertà, perchè non fanno altro che
determinare la volontà, e non già
forzare macchinalmente gli organi: nello stesso modo
440
che una credenza qualunque, o ingenita o acquistata, non toglie la libertà o la
scelta all'uomo. Che il ragionamento necessario per iscegliere sia determinato
da principii naturali ed innati, o da principii acquistati colla cognizione, da
principii veri, o da principii falsi ma creduti naturalmente veri; questo è
indifferente alla libertà, com'è indifferente alla felicità {relativa che ne dipende,} il vero o il falso assoluto. E il
ragionamento della scelta, è ragionamento nello stessissimo modo, da qualunque
principio parta. Sicchè i bruti hanno istinto e insieme libertà piena. L'uomo
dunque che aveva libertà piena, aveva ancora ed ha tuttavia istinto. Considerate
l'uomo naturale, il fanciullo ec. e vedrete quante sieno le sue azioni
determinate da principii ingeniti, sieno principii di sola credenza, sieno anche
di vera cognizione delle cose come sono. P. e. il bambino, applicategli le
labbra alla mammella, ne succhia il latte senza maestro. Ma è cosa già
osservata, e quanto naturale ad accadere, tanto perciò appunto difficile ad
esser notata dai più, e tuttavia degnissima d'esser sempre meglio osservata, che
la forza dell'istinto, scema in proporzione che crescono le altre forze
determinatrici dell'uomo, cioè la ragione e la cognizione; e così
441 in proporzione che l'uomo si allontana dalla natura,
per la società, l'alterazione o sostituzione di altri mezzi {a quelli} che la natura ci aveva dato per gli stessi fini ec. ec. E
come l'uomo perde la felicità naturale, così pure, anzi precedentemente, perde
la forza attuale dell'istinto, e dei
mezzi ingeniti di ottener questa felicità. Perciò è un vero acciecamento il dire
che il bruto ha dalla natura tutta quella istruzione che gli bisogna per
esistere: l'uomo no: e dedurne ch'egli dunque ha bisogno di ammaestramento, di
società ec. insomma ch'egli esce imperfetto dalle mani della natura, e conviene
che si perfezioni da se. Anche l'uomo aveva naturalmente tutto il necessario; se
ora non sente più d'averlo, viene che l'ha perduto; ha perduto la perfezione
volendosi perfezionare, e quindi alterandosi e guastandosi. Osserviamo l'uomo
primitivo, il bambino, e proporzionatamente l'ignorante, e vedremo quanto essi
{o}
sappiano di quello che noi abbiamo scoperto; o credano di quello che noi non crediamo più, ma dovevamo
credere, e avrebbe servito ai nostri bisogni veramente, ed era l'istrumento che ci conveniva, e che
442 la natura ci avea posto in mano; e sebben falso in
assoluto, era vero in relativo, e pienamente sufficiente al suo fine, cioè
insomma, alla nostra esistenza perfetta secondo la nostra particolare essenza, e
quindi alla nostra felicità.
[442,1] Ma bisogna ben intendere che cosa siano queste
credenze ingenite, o vero istinto, e idee innate. Idee precisamente innate non
esistono in alcun vivente, e sono un sogno delle antiche scuole. La natura
influisce sulle idee o credenze di qualunque animale, non ponendoci
identicamente e immediatamente quelle tali idee e credenze, ma mediatamente,
cioè disponendo l'animale, e l'ordine delle cose relativo a lui, in tal maniera,
che l'animale si determini {naturalmente} a credere
questo e non quello. Così che la credenza non è neppur essa determinata
primitivamente, non più della volontà, ma deve anch'essa determinarsi prima di
determinare la volontà. Ma come le azioni o determinazioni della volontà sono
naturali quando vengono da credenze naturali, così le credenze o determinazioni
dell'intelletto sono naturali, quando sono conformi al modo in cui la natura
avea disposto e provveduto che l'intelletto si determinasse; cioè ai mezzi di
credenza che
443 la natura ci ha dati, come nelle
credenze ci ha dato i mezzi di azione.
[443,1] Tutti i moderni ideologi hanno stabilito che le idee o
credenze, le più primitive, le più necessarie all'azione la più vitale, e quindi
tutte le idee o credenze moventi del bambino appena nato, (e così d'ogni altro
animale): tutte le idee o credenze determinanti o non determinanti, cioè
relative o no all'azione, non vengono altro che dall'esperienza, e quindi non
sono {se non tante} conseguenze tirate col mezzo di un
raziocinio e di un'operazione sillogistica, da una maggiore ec. (E qui osservate
la necessità del raziocinio ne' bruti.)
[443,2] Questa esperienza che deve necessariamente formare la
base o come chiamano, le antecedenti del sillogismo, senza il qual sillogismo
non v'è idea nè credenza, può esser di due sorte. L'una è quella che deriva
dalle inclinazioni naturali, passioni affetti ec. tutte cose veramente ingenite,
e assolutamente primitive, sebbene {molte di esse}
possano svilupparsi più o meno, o nulla; possono alterarsi, corrompersi ec.
L'uomo che sente fame (quest'è un'esperienza) e si sente portato dalla natura al
cibo (questa non è idea, ma inclinazione), ne deduce che bisogna cibarsi, che il
cibo è cosa buona. Ecco la conseguenza, cioè la
444
credenza. Dunque si determina e risolve a cibarsi. Ecco la determinazione della
volontà prodotta dalla previa determinazione dell'intelletto, ossia dalla
credenza. Segue il cibarsi, cioè l'azione, che deriva dalla volontà determinata
in quel modo.
[444,1] L'altro genere di esperienza, è quello che appartiene
ai sensi esterni. E l'uno e l'altro genere di esperienza sono i soli fonti della
cognizione in atto (non in potenza); i soli fonti o del credere o del sapere.
Qual conseguenza poi si debba tirare da una data esperienza, questo è ciò ch'è relativo, perchè l'uomo naturale,
ne tira una; l'uomo sociale, istruito ec. un'altra; quell'animale di diversa
specie, un'altra: e via discorrendo. E così son relative e si diversificano le
credenze.
[444,2] Sicchè la credenza è naturale, quando l'animale tira
da quella esperienza, quella conseguenza che la natura ha provveduto che ne
tirasse, e viceversa. E quindi l'azione che ne deriva è naturale, quando
proviene da una credenza naturale, ossia da una conseguenza tirata naturalmente, e viceversa. E quindi la
vita è naturale quando le azioni derivano da credenze naturali, e viceversa. E
quindi finalmente l'uomo è {perfetto e} felice {come ogni altro vivente,} quando la sua vita si compone
di azioni naturali, e viceversa.
[445,1]
445 Non sono dunque precisamente innate nè le idee nè le
credenze, ma è innata nell'uomo {la disposizione} a
determinarsi dietro quella tale esperienza, inclinazione ec. a quella tal
credenza o giudizio. E in questo senso io nomino le idee innate e l'istinto. E
così appunto avviene nei bruti, i quali non hanno altre idee innate che in
questo senso, e tuttavia generalmente parlando, tutti gli animali della stessa
specie, hanno le stesse credenze cioè si
determinano a credere nello stesso modo; e operando giusta tali
credenze, sono tutti perfetti e felici relativamente alla loro essenza. Tali
credenze pertanto sono effettivamente naturali, e figlie legittime della natura,
sebbene non partono immediatamente dalla sua mano. Ma quod est caussa caussae, est etiam caussa caussati. Nello
stesso modo che le azioni conformi a dette credenze, sono naturali, sebbene
eseguite immediatamente dall'individuo, e non dalla natura: sebben libere, e non
forzate; come non sono forzate le azioni che derivano da credenze religiose,
filosofiche ec. le quali tuttavia, senza esser forzate, si chiamano e sono
azioni religiose, filosofiche ec.
[446,1]
446 L'uomo si allontana dalla natura, e quindi dalla
felicità, quando a forza di esperienze di ogni genere, ch'egli non doveva fare,
e che la natura aveva provveduto che non facesse (perchè s'è mille volte
osservato ch'ella si nasconde al possibile, e oppone milioni di ostacoli alla
cognizione della realtà); a forza di combinazioni, di tradizioni, di
conversazione scambievole ec. la sua ragione comincia ad acquistare altri dati,
comincia a confrontare, e finalmente a dedurre altre conseguenze sia dai dati
naturali, sia da quelli che non doveva avere. E così alterandosi le credenze, o
ch'elle arrivino al vero, o che diano in errori non più naturali, si altera lo
stato naturale dell'uomo; le sue azioni non venendo più da credenze naturali non
sono più naturali; egli non ubbidisce più alle sue primitive inclinazioni,
perchè non giudica più di doverlo fare, nè più ne cava la conseguenza naturale
ec. E per tal modo l'uomo alterato, cioè divenuto imperfetto relativamente alla
sua propria natura, diviene infelice. (L'uomo può essere anche infelice accidentalmente per forze esterne, che
gl'impediscano di conformar le azioni alle credenze, cioè di far quello ch'egli
giudica buono per lui, o non far quello ch'egli giudica e crede
447 cattivo. Tali forze sono le malattie, le violenze
fattegli da altri individui, o da altre specie, o dagli elementi ec. ec. ec.
Quest'infelicità non entra nel nostro discorso. Essa è appresso a poco
l'infelicità antica.)
[447,1] Da queste osservazioni deducete che propriamente la
nemica della natura non è la ragione, ma la scienza e cognizione, ossia
l'esperienza che n'è la madre. Perchè anche le operazioni e tutta la vita
dell'uomo naturale, e degli altri viventi, è perfettamente ragionevole, giacchè deriva da credenze tirate in forma
di conseguenza, per via di sillogismo, da quei tali dati. L'esperienza,
crescendo oltre il dovere, cambia, altera, moltiplica soverchiamente le basi di
questi sillogismi produttori delle credenze, e quindi alterando dette
conseguenze o credenze, fa che non sia più ragionevole il determinarsi a credere quelle tali cose naturalmente
credibili, e quindi a fare o fuggire quelle tali cose naturalmente da farsi o da
fuggirsi. Ma la ragione assolutamente in se stessa, è innocente; ed ha la sua
intera azione anche
448 nello stato naturale; vale a
dire, anche nello stato naturale l'uomo (e così nè più nè meno il bruto) è
conseguente, e si determina a credere quello che gli par vero, per via di
perfetto raziocinio; e si determina ad abbracciare o fuggire quello che crede
veramente buono o cattivo per lui, rispetto alla sua natura generale e
individuale, e alle sue circostanze di quel tal momento in cui si determina.
[448,1] Del resto, come l'indifferenza assoluta, ossia la
mancanza di ogni determinazione dell'intelletto, cioè di ogni credenza, sarebbe
mortifera per l'animale {libero, e dipendente dalla sua
propria determinazione;} così anche appresso a poco il dubbio, ch'è
quasi tutt'uno col detto stato. Così anche sarà cattiva e dannosa la difficoltà
o lentezza al determinarsi (riferite a questo capo l'angoscia e il tormento
dell'irresoluzione): e quindi lo stato dell'uomo sarà tanto più felice, quanto
egli avrà maggior facilità e prontezza a determinarsi a credere (dal che poi
segue l'operare); cioè a tirare una conseguenza da un tal dato; e con quanto
maggior forza, ossia certezza, egli si determinerà al credere. (s'intende già
che la credenza sia buona per lui, perchè la supposizione contraria
449 è fuor del caso). Ora è cosa dimostrata dalla
continua esperienza, che l'uomo si determina al credere, tanto più facilmente,
prontamente, e certamente, quanto più è vicino allo stato naturale, come appunto
accade negli animali, che non hanno nè difficoltà nè lentezza nè dubbio intorno
alle loro idee o credenze, innate nel senso detto di sopra. E così il fanciullo,
l'ignorante, ec. E per lo contrario, quanto più si è lontani dallo stato
naturale, cioè quanto più si sa, tanto maggior difficoltà e lentezza si prova
alla determinazione dell'intelletto, e tanto minor forza, ossia certezza, ha
questa determinazione o credenza. Così che la certezza degli uomini nel credere
(e quindi la determinazione e forza nell'operare, ch'è in ragion diretta colla
certezza del credere) è in ragione inversa del loro sapere. Q273668Hoc unum scio, me
nihil scire: famoso detto di quell'antico
sapiente. {+E questa è la
conclusione, la sostanza, il ristretto, la sommità, la meta, la perfezione
della sapienza.} Laddove il fanciullo e l'ignorante, si può dire che
crede di non ignorar nulla: e se non altro, crede di saper di certo tutto quello
che crede. {+E questa è la sommità
dell'ignoranza.} (Onde credendo quello ch'è conforme alla natura, e
credendolo in questo modo, ne viene a esser felice e
450
perfetto.) In maniera che, dove alla determinazione dell'uomo, non è necessario,
anzi non può servir altro che la credenza; la cognizione la quale si vuol che
sola sia capace a determinarlo, viene a esser nemica della credenza, e però
della determinazione. E in vece che l'ignoranza, tal qual è in natura, (non
l'assoluta, cioè la negazione di ogni credenza, o determinazione
dell'intelletto, che in natura non si dà) conduca l'uomo {o
l'animale} all'indifferenza, come pretendono; ve lo conduce anzi il
sapere (e l'eterna esperienza lo prova). E l'uomo tanto meno, tanto più
difficilmente, lentamente, e dubbiamente si determina, quanto più sa. Tanto
minore è la determinazione, quanto maggiore è il sapere. E tanto è lungi che la
credenza sia incompatibile coll'ignoranza, che per lo contrario è molto più
compatibile coll'ignoranza che col sapere.
[450,1] Se poi ancora dubitaste di quello ch'io dico, cioè che
in Adamo fu primitivamente infusa la
credenza come negli altri animali,
e non la scienza propria; basta che
osserviate quello che dice la Scrittura, che dopo il peccato egli acquistò la
scienza del bene e del male. La
scienza del bene e e del male, non è altro che la cognizione assoluta,
451 la credenza vera non più relativamente ma
assolutamente, la cognizione delle cose come sono, cioè buone o cattive, non
relativamente all'uomo, ma indipendentemente e assolutamente; la cognizione
della realtà, della verità assoluta che per se stessa è indifferente all'uomo, e
nociva quando il conoscerla è contrario alla natura del conoscente. Se dunque
Adamo l'acquistò dopo il peccato,
non l'aveva per l'avanti. In fatti la Scrittura dice espressamente che non
l'aveva, e il serpente persuase alla donna di peccare per acquistarla. Questo è
un argomento vittorioso, ultimo, e decisivo. Come poteva essere infusa
primitivamente la scienza in Adamo, se dopo {e
mediante} il peccato egli acquistò la scienza del bene e del male? E
qual fosse l'effetto di questa precisa scienza, vedilo p. 446 - 447. (22. Dic. 1820.).