10. Gen. 1821.
[484,1] Non si è mai letto di nessun antico che si sia ucciso
per noia della vita, laddove si legge di molti moderni, e v. il Suicidio ragionato di Buonafede. Nè perchè questo
accade oggidì massimamente in Inghilterra, si creda che
questo fosse comune in quel paese anche anticamente, senza che ne rimanga
memoria. Dai poemi di Ossian si vede
quanto gli antichi abitatori di quel paese fossero lontani dal concepire la
nullità e noia necessaria della vita assolutamente; e molto più dal disperarsi e
uccidersi per questo. Gli antichi Celti e gli altri antichi si uccidevano per
disperazioni
485 nate da passioni e sventure, non mai
considerate come inevitabili e necessarie assolutamente all'uomo, ma come
proprie dell'individuo, perciò disgraziato e infelice, e disperantesi. La
disperazione e scoraggimento della vita in genere, l'odio della vita come vita
umana (non come individualmente e accidentalmente infelice), la miseria
destinata e inevitabile alla nostra specie, la nullità e noia inerente ed
essenziale alla nostra vita, in somma l'idea che la vita nostra per se stessa
non sia un bene, ma un peso e un male, non è mai entrata in intelletto antico,
nè in intelletto umano avanti questi ultimi secoli. Anzi gli antichi si
uccidevano o disperavano appunto per l'opinione e la persuasione di non potere,
a causa di sventure individuali, conseguire e godere quei beni ch'essi stimavano
ch'esistessero. (10. Gen. 1821.).