Invidia.
Envy.
45,1 73,1 197,1 204,1 206,1 233,2 302,3 453,2 1164,13 1201,1 1291,1 1669,2 1675,1 1723,1 1724,1 1740,1[45,1] Soleva considerar come una pazzia quello che dicono i
Cappuccini per iscusarsi del trattar male i loro novizzi, il che fanno con gran
soddisfazione, e con intimo sentimento di piacere, cioè che anch'essi sono stati
trattati così. Ora l'esperienza mi ha mostrato che questo è un sentimento
naturale, giacch'io giunto appena {per l'età} a
svilupparmi dai legami di una penosa e strettissima educazione e tuttavia
convivendo ancora nella casa paterna con un fratello minore di parecchi anni, ma
non tanti ch'egli non fosse nel pienissimo uso di tutte le sue facoltà vizi ec.
siccome non per altro (giacchè non era punto per predilezione de' genitori) se
non perch'era mutato il genere della vita nostra che convivevamo con lui,
anch'egli partecipava non poco alla nostra larghezza, ed avea molto più comodi e
piaceruzzi che non avevamo noi in quella età, e molto meno incomodi e noie e
lacci e strettezze e gastighi, ed era perciò molto più petulante ed ardito di
noi in quell'età, perciò io ne risentiva naturalmente una verissima invidia,
cioè non di quei beni giacch'io gli avea allora, e pel tempo passato non li
potea più avere, ma mero e solo dispiacere ch'ei gli avesse, e desiderio che
fosse incomodato e tormentato come noi, ch'è la pura e legittima invidia del
pessimo genere, e io la sentiva naturalmente e senza volerla sentire, ma in
somma compresi allora (e allora appunto scrissi queste parole) che tale è la
natura umana, onde mi erano men cari quei beni ch'io aveva qualunque fossero,
perch'io li comunicava con lui, forse parendomi che non fossero più degno
termine di tanti stenti dopo che non costavano niente a un altro che si trovava
nelle mie circostanze, e con meno merito di me, ec. Quindi applico ai
Cappuccini, i quali trovando la sorte dei fratelli minori che sono i novizzi
dipendente da loro, seguono gl'impulsi di questa inclinazione che ho detto, e
non soffrono che si possano dire a se stessi essere scarso quel bene a cui son
giunti poichè altri gli acquista con assai meno travaglio di loro, nè che
abbiano a provare il dispiacere che questi tali non soffrano quegl'incomodi
ch'essi in quelle circostanze hanno sofferti.
[73,1]
73 Io non ho mai provato invidia nelle cose in cui mi son
creduto abile, come nella letteratura, dove anzi sono stato proclivissimo a
lodare. L'ho provata posso dire per la prima volta (e verso una persona a me
prossimissima) quando ho desiderato di valer qualche cosa in un genere in cui
capiva d'esser debolissimo. Ma bisogna che mi renda giustizia confessando che
questa invidia era molto indistinta e non al tutto e per tutto vile, e contraria
al mio carattere. Tuttavia mi dispiaceva assolutamente di sentire le fortune di
quella tal persona in quel tal genere, e raccontandomele essa, la trattava da
illusa, ec.
[197,1] Dice Diogene Laerzio di Chilone che προσέταττε... ἰσχυρὸν ὄντα πρᾷον εἶναι ὅπως οἱ πλησίον αἰδῶνται μᾶλλον
ἢ ϕοβῶνται
*
. E questo precetto si deve estendere,
massimamente oggidì in tanta propagazione dell'egoismo, a tutti i vantaggi
particolari di cui l'individuo può godere. Perchè se tu sei bello non ti resta
altro mezzo per non essere odiosissimo agli uomini che un'affabilità
particolare, e come una certa noncuranza di te stesso, che plachi l'amor proprio
altrui offeso dall'avvantaggio che tu hai sopra di loro, o anche
dall'uguaglianza. Così se tu sei ricco, dotto, potente ec. Quanto maggiore è
l'avvantaggio che tu hai sopra gli altri, tanto più per fuggir l'odio, t'è
necessaria una maggiore amabilità, e quasi dimenticanza e disprezzo di te stesso
in faccia agli altri, perchè tu devi medicare una cagione d'odio che tu hai in
te stesso e che gli altri non hanno: una cagione assoluta, che ti fa odioso per
se sola, senza che tu sia nè ingiusto nè superbo nè ec. Ed era questa una cosa
notissima agli antichi, tanto persuasi della odiosità dei vantaggi individuali,
che ne credevano invidiosi gli stessi dei, e nella prosperità avevano cura
dell'invidiam deprecari tanto divina che umana, e
quindi un
198 seguito non interrotto di felicità li
rendeva paurosi di gravi sciagure. V. Frontone
de Bello Parthico.
(4. Agosto 1820.). {{v. p. 453. capoverso
ult.}}
[204,1] In proposito di quello che ho detto p. 197. io so di una donna desiderosa
di concepire che bastonava fieramente una cavalla pregna, dicendo, tu gravida
e io no. L'invidia e l'odio altrui per le felicità che hanno, cade
ordinariamente sopra quei beni che noi desideriamo di avere e non abbiamo, o de'
quali vorremmo esser gli unici o i principali possessori ed esempi. Sopra gli
altri beni non è cosa ordinaria l'invidia, ancorchè sieno beni grandissimi. Del
resto quantunque l'invidia riguardi per lo più i nostri simili, coi quali
solamente sogliamo entrare in competenza, nondimeno si vede che il furore di
questa passione può condurre all'invidia e all'odio anche delle altre cose.
(10. Agosto 1820.).
[206,1]
Cleobulo dice Diog.
Laerz.
συνεβούλευε... γυναικὶ
*
{(uxori)}
μὴ ϕιλοϕρονεῖσϑαι μηδὲ μάχεσϑαι ἀλλοτρίων παρόντον∙ τὸ
μὲν γὰρ ἄνοιαν, τὸ δὲ μανίαν σημαίνει
*
.
{{V. p. 233.}}
[233,2] Al capoverso
primo della p. 206. aggiungi: Et si elles
*
(les
Françoises) ont un amant, elles ont autant de soin
de ne pas {donner} à l'heureux mortel des
marques de prédilection en public, qu'un Anglois du bon ton de ne
pas paroître amoureux {de sa femme} en
compagnie.
*
Morgan,
France. t.
1. 1818. p. 253. liv. 3.
[302,3]
La
plus grande marque qu'on est né avec de grandes qualités, c'est d'être
sans envie
*
Mme. la Marquise de Lambert,
Avis d'une mère à son
fils. À Pariset à Lyon 1808. p. 67.
[453,2] Quale idea avessero gli antichi della felicità (e
quindi dell'infelicità) dell'uomo in questa vita, della sua gloria, delle sue
imprese; e come tutto ciò paresse loro solido e reale,
454 si può arguire anche da questo, che delle grandi felicità ed imprese umane,
ne credevano invidiosi gli stessi Dei, e temevano perciò l'invidia loro, ed era
lor cura in tali casi deprecari la divina invidia, in
maniera che stimavano anche fortuna, e (se ben mi ricordo) si proccuravano
espressamente qualche leggero male, per dare soddisfazione agli Dei, e mitigare
l'invidia loro pp. 197-98. Deos immortales precatus est, ut, si
quis eorum invideret operibus ac fortunae suae, in ipsum potius
saevirent, quam in remp.
*
Velleio I. c. 10. di Paolo Emilio. E così avvenne
essendogli morti due figli, l'uno 4 giorni avanti il suo trionfo, e l'altro 3
giorni dopo esso trionfo. E v. quivi le note Variorum.
V. pure Dionigi Alicarnasseo l. 12. c. 20. e 23. edizione
di Milano, e la nota del Mai al c. 20. V. ancora questi pensieri
p. 197. fine. Così importanti
stimavano gli antichi le cose nostre, che non davano ai desideri divini, o alle
divine operazioni altri fini che i nostri, mettevano i dei in comunione della
nostra vita e de' nostri beni, e quindi gli stimavano gelosi delle nostre
felicità ed imprese, come i nostri simili,
455 non
dubitando ch'elle non fossero degne della invidia degl'immortali. (23.
Dic. 1820.). {{V. p. 494. capoverso
1.}}
[1164,3] L'invidia, passione naturalissima, e primo vizio del
primo figlio dell'uomo secondo la S. Scrittura, è un effetto, e un indizio
manifesto dell'odio naturale dell'uomo verso l'uomo, nella società, quantunque
imperfettissima, e piccolissima. Giacchè s'invidia anche quello che noi abbiamo,
ed anche in maggior grado; s'invidia ancor quello che altri possiede senza il
menomo nostro danno; ancor quello che ci è impossibile assolutamente di avere, e
che neanche ci converrebbe; e finalmente quasi ancor quello che non desideriamo,
e che anche potendo avere non vorremmo. Così che il solo e puro bene altrui, il
solo aspetto dell'altrui supposta felicità, ci è grave naturalmente per se
stessa, ed è il soggetto di questa passione, la quale per conseguenza non può
derivare se non dall'odio verso gli altri, derivante dall'amor proprio, ma
derivante, se m'è lecito di
1165 così spiegarmi, nel
modo stesso nel quale dicono i teologi che la persona del Verbo procede dal
Padre, e lo Spirito Santo da entrambi, cioè non v'è stato un momento in cui il
Padre esistesse, e il Verbo o lo Spirito Santo non esistesse. (13. Giugno
1821.).
[1201,1] Perchè la parzialità è sempre odiosa e
intollerabile, quando anche colui che favorisce o benefica alcuno più degli
altri, non tolga niente agli altri del loro dovuto, nè di quello che darebbe
loro in ogni caso, nè li disfavorisca in nessun modo? Per l'odio naturale
dell'uomo verso l'uomo, {inseparabile dall'amor
proprio.} E v. in questo proposito la parabola del padre di famiglia e
degli operai del Vangelo. (21. Giugno, dì del Corpus Domini.
1821.). {{V. p. 1205.
fine.}}
[1291,1] L'aspetto dell'uomo allegro e pieno o commosso anche
mediocremente da qualche buona fortuna, da qualche vantaggio, da qualche piacere
ricevuto ec. è per lo più molestissimo non solo alle persone afflitte, o pur
malinconiche, o poco inclinate alla letizia per atto o
1292 per abito, ma anche alle persone d'animo indifferentemente
disposto, {+e non danneggiate punto, nè soverchiate ec.
da quella prosperità.} Questo ci accade ancora cogli amici,
parenti i più stretti ec. E bisogna che l'uomo il quale ha cagione di allegria,
o la dissimuli, o la dimostri con certa disinvoltura, indifferenza e spirito,
altrimenti {la sua presenza, e la sua conversazione}
riuscirà sempre odiosa e grave, anche a quelli che dovrebbero rallegrarsi del
suo bene, o che non hanno materia alcuna di dolersene. {+Tale infatti è la pratica degli uomini riflessivi, padroni di se, e ben
creati.} Che vuol dir questo, se non che il nostro amor
proprio, ci porta inevitabilmente, e senza che ce ne avvediamo, all'odio altrui?
Certo è che nel detto caso, anche all'uomo il più buono, è mestieri un certo
sforzo sopra se stesso e un certo eroismo, per prender parte alla letizia
altrui, della quale egli non aspetti nessun vantaggio {nè
danno,} o solamente per non gravarsene. (8. Luglio
1821.).
[1669,2] Il vedere che altri prova in nostra presenza un
gusto vivo, ci è sempre grave, e ci rende odiosa quella persona. E perciò è
prudenza e creanza il non dimostrare in presenza
1670
altrui di provare un piacere, o il portarsi con una disinvoltura che mostri di
non curarsene ec. Similmente dico di un vantaggio. E v. un mio pensiero sul far
carezze alla moglie in presenza altrui, e il costume degl'inglesi che ho notato
in questo proposito p. 206
p. 233. Cosa spiacevolissima anche tra noi, e che m'è avvenuto di
sentir condannare come insopportabile in due sposi che si facevano grandi
carezze in presenza d'altri. Tanto è vero che l'uomo odia naturalmente l'uomo.
Eccetto se quel gusto che ho detto è stato procacciato a quella persona da noi
stessi volontariamente, nel qual caso
egli ridonda in certo modo su di noi, e serve alla nostra ambizione, ec. insomma
ne partecipiamo. Questo effetto si prova massimamente cogli eguali e co'
superiori (meno cogl'inferiori, co' fanciulli ec.); ma cogli eguali soprattutto,
e cogli amici e stretti conoscenti più che mai, perocchè con questi si esercita
principalmente l'invidia, e si sente al vivo l'inferiorità nostra ec. in
qualsivoglia genere. I superiori sono il soggetto di un odio più generale, che
si stende su tutta la loro persona,
1671 condizione ec.
e discende meno, o è meno sensibile alle cose particolari, tanto più che non si
può entrare con essi in competenza di desiderii ec. Parimente riguardo
agl'inferiori, bisogna che i loro vantaggi o piaceri siano d'un alto grado (nel
qual caso l'odio è maggiore verso loro che verso qualunque altro) perchè
arrivino a pungere il nostro amor proprio, e la nostra gelosia ec. Nondimeno è
vero che sempre se ne prova qualche disgusto. (11. Sett.
1821.).
[1675,1] Parimente l'uomo inesperto (ed anche lo
sperimentato, nella ebbrezza della gioia) sopravvenuto da qualche fortuna, ed
acquistato qualche vantaggio, crede fermamente che tutti, e massime gli amici e
i conoscenti debbano rallegrarsene di tutto cuore, e neppur sospetta che ne
l'abbiano a odiare, ch'egli sia per perderne l'amicizia di questo o di quello,
che gli stessi amici più cari, debbano o tentar mille vie di spogliarlo del suo
nuovo vantaggio, screditarlo ec. o almeno desiderar di farlo, proccurar di
scemare presso lui, presso loro stessi, e presso gli altri l'idea e il pregio
della sua nuova fortuna ec. Tutto ciò, accadendo, come inevitabilmente accade,
gli riesce maraviglioso. (11. Sett. 1821.).
[1723,1] Chi ha disperato di se stesso, o per qualunque
ragione, si ama meno vivamente, è meno invidioso, odia meno i suoi simili, ed è
quindi più suscettibile di amicizia {{per questa}}
parte, o almeno in minor contraddizione con lei. Chi più si ama meno può amare.
Applicate questa osservazione alle nazioni, ai diversi gradi di amor patrio
sempre proporzionali a' diversi gradi di odio nazionale; alla necessità di
render l'uomo egoista di una patria perch'egli possa amare i suoi simili a
cagion di se stesso, appresso a poco come dicono i teologi che l'uomo deve amar
se stesso e i suoi prossimi in Dio, e
1724 per l'amore
di Dio. (17. Sett. 1821.).
[1724,1] L'odio dell'uomo verso l'uomo si manifesta
principalmente, ed è confermato da ciò che accade nelle persone di una medesima
professione {ec.} fra le quali, sebben la perfetta
amicizia astrattamente considerata è impossibile e contraddittoria alla natura
umana, nondimeno anche la possibile amicizia è difficilissima, rarissima,
incostantissima ec. Schiller uomo di
gran sentimento era nemico di Goëthe
(giacchè non solo fra tali persone non v'è amicizia, o v'è minore amicizia, ma
v'è più odio che fra le persone poste in altre circostanze) ec. ec. ec. Le donne
godono del mal delle donne, anche loro amicissime. I giovani del male de'
giovani ec. ec. V. Corinne t. p. liv. ch. Non solo in una stessa
professione, ma anche in una stessa età ec. ec. l'amicizia è minore e l'odio è
maggiore. Eccetto l'esaltamento delle illusioni che favorisce assai l'amicizia
de' giovani, è certo, massime oggi che le grandi e belle illusioni non si
trovano, che l'amicizia è più facile tra un vecchio o maturo, e un giovane, che
tra giovane e giovane; tra
1725 due vecchi che tra due
giovani; perchè oggi, sparite le illusioni, e non trovandosi più la virtù ne'
giovani, i vecchi sono più a portata di amarsi meno, di essere stanchi
dell'egoismo perchè disingannati del mondo, e quindi di amare gli altri.
[1740,1] Considerate indipendentemente e in se stessa, la
lode di se medesimo. Anche dopo formata una società (giacchè prima non esisteva
l'amor di lode), qual cosa più conforme alla natura, più dolce a chi la
pronunzia, qual cosa a cui lo spirito sia più spontaneamente e potentemente
inclinato, qual cosa meno dannosa a' nostri simili, qual piacere insomma più
innocente, e qual premio più conveniente alla virtù, o all'opinione di lei?
Eppur l'assuefazione ce la fa riguardare come un vizio da cui l'animo ben fatto
naturalmente rifugga, come un desiderio di cui bisogni arrossire (e qual cosa ha
ella in se stessa e per natura, che sia vergognosa?), come contrario al dovere
della modestia, che si suppone innato, e non lo è punto (consideriamo i
fanciulli, i quali tuttavia non appena cominciano a desiderar la lode, che già
sono avvertiti a non darsela da se stessi),
1741 come
ripugnante insomma a un dettame interno, e proibita dalla legge naturale.
Related Themes
Trattato delle passioni, qualità umane ec. (pnr) (13)
Odio verso i nostri simili. (1827) (8)
Galateo morale. (1827) (7)
Memorie della mia vita. (pnr) (4)
Macchiavellismo di società. (1827) (3)
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Fanciulli. (1827) (1)
Antichi. (1827) (1)
163. Di un genere d'invidia da me provato. (varia_filosofia) (1)
84. Mali trattamenti che certi frati esercitano co' loro novizi. Invidia da me portata a chi mi pareva che agevolmente conseguisse quello che io dopo lunghi stenti aveva ottenuto. (varia_filosofia) (1)
(a) Pensieri isolati satirici. (danno) (1)
Amicizia. (1827) (1)
Lode di se medesimo. (1827) (1)