Arcaismi. Scrivere all'antica.
Archaisms. Writing in an old-fashioned manner.
1098,3 1243,3 1887,1 2395,2 2683,1 2718,1 3407 3465 3856-8 3866,1[1098,3] Odio gli arcaismi, e quelle parole antiche, ancorchè
chiarissime, ancorchè espressivissime, bellissime,
1099
utilissime, riescono sempre affettate, ricercate, stentate, massime nella prosa.
Ma i nostri scrittori antichi, ed antichissimi, abbondano di parole e modi oggi
disusati, che oltre all'essere di significato apertissimo a chicchessia, cadono
così naturalmente, mollemente, facilmente nel discorso, sono così lontani da
ogni senso di affettazione o di studio ad usarle[usarli], e in somma così freschi, (e al tempo stesso bellissimi ec.)
che il lettore il quale non sa da che parte vengano, non si può accorgere che
sieno antichi, ma deve stimarli modernissimi e di zecca. Parole e modi, dove
l'antichità si può conoscere, ma per nessun conto sentire. E laddove quegli
altri si possono paragoragonare[paragonare] alle
cose stantivite, rancidite, ammuffite col tempo; questi rassomigliano a quelle
frutta che intonacate di cera si conservano per mangiarle fuor di stagione, e
allora si cavano dall'intonacatura vivide e fresche e belle e colorite, come si
cogliessero dalla pianta. E sebbene dismessi e ciò da lunghissimo tempo, o nello
scrivere, o nel parlare, o in ambedue, non paiono dimenticati, ma come riposti
in disparte, e custoditi, per poi ripigliarli. (28. Maggio
1821.).
[1243,3] 1. Il non aver noi mai rinunziato alle nostre
1244 ricchezze di quantunque antico possesso, a
differenza della lingua francese, a cui non gioverebbe neppure l'avere avuta
altrettanta copia di scrittori e di secoli letterati, quanti noi. Neppure alla
varietà, ed anche a quella ricchezza che serve precisamente all'esatta
espressione delle cose, gioverebbe alla lingua francese l'avere avuto in questi
due secoli dopo la sua rigenerazione, tanti e più scrittori quanti noi in cinque
secoli. Non le gioverebbe dico, quanto giova alla nostra lingua la moltitudine
dei secoli, e quindi la maggior varietà degli scrittori, delle opinioni, de'
gusti, degli stili, delle materie da loro trattate; varietà che non si può
trovare nello stesso grado in due secoli soli, benchè fossero più copiosi di
scrittori, che questi 5. insieme: e varietà che serve infinitamente alla
ricchezza di una lingua, ed alla esattezza e minutezza del suo poter esprimere,
giacch'è stata applicata ad esprimere tanto più diverse cose, da tanto più
diversi ingegni, e più diversamente disposti; e in tanto più diversi modi.
Neppure la lingua tedesca ha rinunziato alle sue antiche ricchezze e
possedimenti, come si vede nel Verter, abbondante di studiati e
begli ed espressivi arcaismi.
[1887,1] Ho detto pp. 343-45
pp. 1243-44
p. 1768
p. 1807 che la lingua italiana non ha mai rinunziato alle sue
ricchezze antiche. Ecco come ciò si deve intendere. Tutte le nazioni, tutte le
lingue del mondo antiche e moderne, formate ed informi, letterate e illetterate,
civili e barbare, hanno sempre di mano {in mano}
rinunziato, e di mano in mano incessantemente rinunziano alle parole e frasi
antiche, come, e perciò, {ed in proporzione} che
rinunziano ai costumi antichi, opinioni ec. Quelle ricchezze alle quali io dico
che la lingua italiana non ha mai rinunziato, sono le ricchezze sue {più o meno} disusate, che sono infinite e bellissime, e
ponno esserle ancora d'infinito uso; ma non propriamente le voci e locuzioni
antiche, cioè quelle che oggi o non si ponno facilmente e comunemente intendere,
o comunque intese non ponno aver faccia di naturali, e spontanee, e non pescate
nelle Biblioteche de' classici. A queste l'italia come
tutte le altre nazioni nè più nè meno, intende di avere rinunziato; e i soli
pedanti
1888 lo negano, o non riconoscono per buona
questa rinunzia, e le protestano contro, e non vi si conformano, nè
l'ammettono.
[2395,2] Nelle scritture de' moderni puristi italiani (p. e.
del Botta) per lo più si vede
chiaramente un moderno che scrive all'antica, e quindi non ha la grazia dello
scrivere antico, non avendone lo spontaneo. Una delle due, o s'ha da parere un
2396 antico che scriva all'antica, vale a dire che
questo scrivere paia naturale dello scrittore, e venuto da se; o s'ha da essere
un moderno che scriva alla moderna: e volendo parere un moderno, non si dee
volere scrivere altrimenti, se si vuol fuggire il contrasto ridicolo e
l'affettazione; e molto meno volendo scriver cose moderne, e pensieri di
andamento moderno (cioè insomma propri dello scrittore, che mentre vive non sarà
mai antico): le quali cose e i quali pensieri, da che mondo è mondo, in
qualsivoglia nazione non si sono scritti nè potuti scrivere in altra lingua che
moderna (perchè questa sola è loro connaturale, e perciò sola dà il modo di bene
e pienamente esprimerli), e non altrimenti che alla moderna. (19. Marzo dì
di S. Giuseppe. 1822.)
{Quando mai, se si potesse, dovressimo,
quanto allo stile, parere antichi che pensassero alla moderna. Laddove nei
nostri accade tutto il contrario.}
[2683,1]
Nè altro vuol dir il
parlar antico, che la consuetudine antica di parlare; e sciocca cosa
sarebbe amar il parlar antico, non per altro che per voler più presto
parlare come si parlava, che come si parla.
*
Il medesimo, ivi, p.
64. (15. Marzo 1823.).
[2718,1]
Alla p. 2699.
Di quelli scrittori del 300 che usarono lingua più illustre e comune, o manco
plebea e provinciale o municipale, vedi
Perticari
2719
Degli Scritt. del 300. l. 2. c.
6. È da notare che molte differenze che s'incontrano in questi
scrittori fra la loro lingua e la presente, non sono da attribuire alla lingua
di quel secolo. Ma elle sono tutte proprie degli scrittori medesimi. I quali in
quei primi cominciamenti della nostra lingua illustre, in quella scarsezza di
esempi, e quindi di regole della lingua volgare scritta, seguirono quali una
strada e quali un'altra, {sì nel trovare o crear le voci ai
dati oggetti, sì nel collegarle,} come quelli ch'erano i primi; e
spesso per mancanza d'arte, per cattivo gusto, {per povertà
di voci o di modi propria loro o della lingua,} per vaghezza di
novità, o per sola ignoranza, {e poca conoscenza della loro
stessa lingua scritta o parlata,} e per non sapere scrivere, divisero
le loro scritture dalla lingua parlata molto più che non si doveva, o in quelle
cose e in quelle guise che non si doveva; non volendo esser plebei, furono qua e
là mostri di locuzione; non sapendo esprimersi, inventarono parole e forme tutte
loro, tutte barbare; introdussero nelle scritture molti vocaboli e modi latini o
provenzali durissimi e
2720 ripugnanti all'indole della
favella comune o particolare, illustre o plebea, di quel medesimo secolo. Della
qual favella pertanto in queste cose non si può nè si dee fare argomento da
quelle scritture. Perche[Perchè] quelle
mostruosità e stranezze, che noi crediamo e chiamiamo comunemente arcaismi, come
non si parlano ora nè si scrivono, così non furono mai parlate nè pure in quel
secolo, nè scritte se non da uno o da pochi; e quindi non sono proprie della
lingua del 300 ma di quei particolari scrittori. E neanche nei secoli seguenti
al suddetto, fino a noi, non furono mai parlate da alcuno in
italia, nè scritte se non da qualche pedantesco
imitatore, e razzolatore degli antichi, de' quali pedanti ve n'ha gran copia
anche oggidì. Ma l'autorità di questi non fa la lingua nè presente nè passata.
Vedi anche circa queste mostruosità arbitrarie e particolari di tale o {{tale}}
2721 trecentista, il Perticari
loc. cit. p. 133-5. e massime p. 136. fine. (23. Maggio
1823.).
[3404,1] Venendo alla conchiusione, ripeto che da una lingua
così conforme alla nostra, come ho mostrato essere la spagnuola, {per ogni verso, e} per tante cagioni naturali,
accidentali, intrinseche, estrinseche ec.; da una lingua sorella com'essa è
all'italiana; da una lingua ec. {ec.;} molta bella ed
utile novità possono trarre gli scrittori italiani moderni, come ne trassero gli
antichi e classici nostri. Ma voglio io perciò introdotti nella lingua italiana
degli spagnuolismi? Tanto come, consigliando
3405 di
attingere dal latino, intendo consigliare che s'introducano nell'italiano de'
latinismi. {#1. Molto meno io vorrei
consigliare che la lingua o lo scrittore italiano si modellasse sulla lingua
spagnuola, molto alla nostra inferiore in perfezione, benchè conforme in
carattere. Oltre che una lingua già perfetta non si dee modellare, anzi dee
fuggir di modellarsi sopra alcuna altra, {+sia quanto si vuole perfettissima.} E così a
proporzione discorrasi della letteratura ec.} Sono nel latino molte
parole, nello spagnuolo alcune, nel greco, nel latino e nello spagnuolo
moltissimi modi e forme di dire, {+(e
molte significazioni di vocaboli o modi già fatti italiani)} le quali
tutte non per altro non sono italiane, se perchè da veruno per anche non
introdotte nella nostra lingua. Adoperandole nell'italiano, elle sarebbero così
bene intese, cadrebbero così bene e facilmente, parrebbero così spontanee e
naturali, sarebbero così lontane da ogni sembianza d'affettate, che niuno
s'accorgerebbe non pur ch'elle fossero o greche o latine o spagnuole anzi, o
più, che italiane, ma neppur sentirebbe che fossero nuove nella nostra lingua,
nè se n'avvedrebbe in altro modo che ricercandone espressamente il vocabolario.
O se vi sentisse della novità, ne sentirebbe quel tanto e non più, che dà
grazia, eleganza, forza, nobiltà, bellezza allo stile e alla lingua, e dividono
l'una e l'altra dal popolo, il che non pur è concesso ma richiesto al nobile
scrittore in qualunque genere. Queste
3406 voci, frasi,
forme, benchè latine, greche, spagnuole di origine; benchè non mai per l'innanzi
usate o sentite in italiano; introdotte che vi fossero, non sarebbero nè
latinismi nè grecismi nè spagnolismi, perchè non vi si conoscerebbe nè la
latinità, nè la grecità ec., o se vi si conoscerebbe, non vi si sentirebbe, ch'è
quel che importa; nè vi si conoscerebbe che per cagioni estrinseche e proprie
del lettore, cioè per la cognizione che questi avrebbe di quelle lingue, e degli
scrittori italiani ec.; non per cagioni intrinseche, cioè proprie di quella tale
scrittura, stile ec. per le qualità di quelle tali voci, frasi ec. rispetto alla
lingua italiana o a quel tal genere e stile. Altre voci, frasi, forme, {significazioni} sono in gran numero nelle dette lingue,
che si potrebbero pure utilissimamente introdurre nella italiana, ma non altrove
che in certi luoghi, con certi contorni, {preparazioni
ec.} nè senza molta avvertenza, arte, discrezione, giudizio
dell'opportunità ec. Con le quali condizioni, {nè}
anche queste (che sono in molto maggior numero dell'altre sopraddette) non
riuscirebbero nè latinismi nè grecismi ec. per le stesse ragioni.
3407 Ovunque si
senta latinità, grecità ec. o un sapore di non nazionale, indipendentemente dalle cognizioni ec. del
lettore, e per propria qualità della parola o frase, o del modo in ch'ella è
adoperata, quivi è latinismo, grecismo ec. quivi barbarismo, quivi sempre vizio.
E siccome nei contrarii casi suddetti, malgrado la vera novità, niun vizio, anzi
pregio vi sarebbe; così in questo caso, niun pregio sarebbevi, e sempre vizio,
quando anche la novità non fosse vera, cioè quando bene quella tal parola ec.
avesse già esempio d'autor classico nazionale, e n'avesse ancor molti; sia che
in tutti questi ella stesse parimente male, o che stando bene in questi, ella
stesse male nel dato caso, perchè {+non
intelligibile o difficile a intendere, perchè} male adoperata, e senza
i debiti riguardi, e in {+occasione e
con} circostanze non opportune ec. Similmente accade e si dee
discorrere intorno alle parole antiquate. La novità in una lingua, o la rarità
ec., insomma il pellegrino, da qualunque luogo sia tolto (o da' forestieri, o
dagli antichi classici nazionali ec.), deve sempre parere una
3408 pianta, bensì nuova nel paese o rara, ma nata nel terreno
medesimo della lingua nazionale, e non pur della nazionale, ma della lingua di
quel secolo, della lingua conveniente a quel genere a quello stile a quel luogo
della scrittura. Sempre ch'ella par forestiera {+(e recata d'altronde)} per qualunque ragione, e in
qualunque di questi sensi, ella è cattiva. Nel caso contrario è sempre
buona.
[3465,1] Quel ch'io dico dell'uso delle favole antiche fatto
alla maniera antica (cioè mostrandone persuasione e presentandole in qualunque
modo a' lettori o uditori come e' ne fossero persuasi, chè altrimenti il
prevalersi della mitologia non ha peccato alcuno), fatto dico da' poeti
cristiani antichi o moderni (massime italiani) scrivendo a' Cristiani, si
3466 dee dire dell'eccessivo uso, anzi abuso
intollerabile della mitologia che fanno e fecero i pittori e scultori ec.
cristiani, non d'italia solo, ma d'ogni nazione, e niente
meno i forestieri che gl'italiani. Se sta ad essi a scegliere il soggetto,
potete esser sicuro, massime degli scultori, ch'e' non escirà della mitologia.
Ed anche grandissima parte de' soggetti eseguiti per commissione, essendo
mitologici, segue che il più delle pitture e massimamente delle sculture che si
veggono in europa (fuor delle Chiese), sieno mitologiche.
Par che tutto lo scopo che si propone uno scultore (siccome un poeta) sia che la
sua opera paia una statua antica (come un poema antico), dovendo solamente
cercare ch'ella sia tanto bella quanto un'antica, o più bella ancora,
quantunque, se si vuole, nel genere del bello antico. (19. Sett.
1823.).
[3855,1] Tra le cagioni del mancar noi (e così gli spagnuoli)
di lingua e letteratura moderna propria, si dee porre, e per prima di tutte, la
nullità politica e militare in cui è caduta l'italia non
men che la Spagna dal 600 in poi, epoca appunto da cui
incomincia la decadenza ed estinzione delle lingue e letterature proprie in
italia e in ispagna. Questa
nullità si può considerare e come una delle cagioni del detto effetto, e come la
cagione assoluta di esso. Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi
affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò
viene perchè gl'italiani e spagnuoli non hanno più, dal 600 in poi, nè affari
politici propri, nè milizia propria. Fino dall'estinzione
dell'imperio romano, l'italia
è stata serva, perchè divisa; ma sino a tutto il 500 la milizia italiana propria
ha esistito, e le corti e repubbliche italiane hanno operato da se, benchè
piccole e deboli. Il governo era in mano d'italiani, le dinastie erano italiane
in assai maggior numero che poi non furono
3856 ed or
non sono. Influiti e dominati da' governi e dagli eserciti stranieri, i governi
e gli eserciti italiani, chè tali essi erano ancora, agivano tuttavia essi
medesimi, ed avevano affari. Essi erano che si davano agli stranieri, quando a
questo, quando a quello, che li chiamavano, che gli scacciavano, o contribuivano
a ciò fare, che si alleavano cogli stranieri, o contro di loro, con altri
stranieri, o con altri italiani, contro altri italiani, o a favore. L'amicizia
de' governi italiani, ancorchè piccolissimi, delle stesse singolari città, era
considerata e ricercata dagli stranieri, e la nemicizia temuta; e in qualunque
modo i governi e le città italiane erano allora nemiche o amiche di questa o
quella straniera potenza. Gl'italiani agivano per se presso o nelle corti
straniere, e gli stranieri presso gl'italiani. {+V. p.
3887.} Quindi è che noi avevamo allora a dovizia voci politiche
e militari; più a dovizia ancora delle altre nazioni, perchè la politica e il
militare, ridotti ad arte e scienza tra noi, non lo erano presso gli altri.
Negli storici, negli scrittori tecnici di politica o di milizia, o d'altre
materie appartenenti, e generalmente negli scrittori italiani avanti il
seicento, non troverete mai difficoltà veruna di esprimersi in checchessia che
spetti agli affari pubblici, economia pubblica, diplomatica, negoziazioni,
politica, e a qualsivoglia parte dell'arte militare; mai povertà; {e} mai li vedrete ricorrere a voci straniere, o che
possano pur sospettarsi tali: al contrario li vedrete franchissimi
3857 nell'espressione di tali materie, anzi ricchissimi
e abbondantissimi, esattissimi, provvisti di termini per ciascuna cosa e parte
di essa, ed anche di più termini per ciascuna, voci tutte italianissime e tanto
italiane quanto or sono francesi quelle di cui i francesi e noi ed anche altri
in tali materie si servono; e queste voci e questi termini ben si vede che non
erano inventati da quegli scrittori, nè debbonsi al loro ingegno, ma all'uso
della favella italiana d'allora, e che erano fra noi (come anche fuori non
poche[pochi]) comunissimi, notissimi, e di
significato ben certo e determinato. La più parte di questi, dal 600. in poi,
perduti nell'uso del favellare, {lo furono e lo sono}
conseguentemente nelle scritture, di modo che le stesse cose ancora, che noi a
que' tempi con parole italianissime, e con più parole eziandio, chiarissimamente
e notissimamente esprimevamo, or non le sappiamo esprimere che con voci
straniere affatto, o se queste ci mancano, e son troppo straniere per potersi
introdurre, o non furono ancora introdotte, non possiamo esprimer quelle cose in
verun modo. Moltissime di quelle voci, usandole, sarebbero intese fra noi anche
oggidì nel lor proprio e perfetto senso, come allora, e non farebbero oscurità.
Ma moltissime, sostituite alle straniere che or s'usano, riuscirebbero oscure,
parte per la nuova assuefazione fatta a queste altre voci,
perchè[parte] perchè il loro senso non
sarebbe più inteso così determinatamente come
3858
allora. E il simile dico di molte voci con cui potremmo esprimer cose per cui
non abbiamo nemmen voci straniere, o che a questi pur manchino, o che tra noi
non sieno state ancora introdotte. Moltissime voci militari, civili e politiche
sì del nostro 300, sì dello stesso 500, benchè significative di cose or
notissime e comunissime, son tali che noi ora, leggendole negli antichi, o non
le intendiamo, o non senza studio, o non avvertiamo, almen senza molta acutezza
e attenzione, {o imperfettamente} la loro
corrispondenza con quelle che oggi ne' medesimi casi comunemente usiamo. Altresì
ci accade {non di rado} tale incertezza nelle voci
significative di cose, or non più comuni, e spesso in queste ci accade più che
nell'altre. Ecco come, mancati gli affari politici e la milizia in
italia, la nostra nazione non ha nè può avere, nè
ebbe dal 600 in poi, lingua moderna propria per significar le cose politiche e
militari, non ch'ella mai non l'abbia avuta, anzi l'ebbe, ma l'ha perduta, o non
l'ha se non antica. E nello stesso modo proporzionatamente e ragguagliatamente
discorrasi della Spagna.
[3866,1] Il pellegrino e l'elegante che nasce dall'introdurre
nelle nostre lingue voci, modi, e significati tolti dal latino, è quasi della
stessa natura ed effetto con quello che nasce dall'uso delle nostre proprie
voci, modi e significati antichi, o passati dall'uso quotidiano, volgare,
parlato ec. Perocchè siccome queste, così quelle (e talor più delle seconde, che
siccome erano, così conservano talvolta del barbaro della {loro} origine o dell'incolto di que' tempi che le usarono {ec.}) hanno sempre (quando sieno convenientemente
scelte, ed atte alle lingue ove si vogliono introdurre) del proprio e del
nazionale, quando anche non sieno mai per l'addietro state parlate nè scritte in
quella tal lingua. E ciò è ben naturale, perocch'esse son proprie di una lingua
da cui le nostre sono nate ed uscite, e del cui sangue e delle cui ossa {queste} sono formate. Onde queste tali voci {ec.} spettano in certo modo all'antichità delle nostre
lingue, e riescono in queste quasi come lor {proprie}
voci antiche. Sicchè non è senza ragione verissima, se biasimando l'uso o
introduzione di voci ec. tolte dall'altre lingue, sieno antiche sieno moderne,
(eccetto le voci ec. già naturalizzate) lodiamo quella delle voci {ec.} latine. Perocchè quelle a differenza di queste,
sono come di sangue, così di {aspetto e di} effetto
straniero, e diverso
3867 da quello delle altre nostre
voci, e delle nostre lingue in genere, e del loro carattere ec. La novità tolta
{prudentemente} dal latino, benchè novità
assolutissima in fatto, è per le nostre lingue piuttosto restituzione
dell'antichità che novità, piuttosto peregrino che nuovo; e veramente (anche
quando non sia troppo prudente nè lodevole) ha più dell'arcaismo che del
neologismo. Al contrario dell'altre novità, e degli altri stranierismi ec. E per
queste ragioni, oltre l'altre, è ancor ragionevole e consentaneo che la lingua
francese sia, com'è, infinitamente men disposta ad arricchirsi di novità tolta
dal latino, che nol son le lingue sorelle. Perocchè essa lingua è molto più di
queste sformata e diversificata dalla sua origine, degenerata, allontanata ec.
Onde quel latinismo che a noi sarebbe convenientissimo e facilissimo perchè
consanguineo {e materno} ec. alla lingua francese,
tanto mutata dalla sua madre, riescirebbe affatto alieno e straniero e non
materno ec. Meglio infatti generalmente riesce e fa prova e si adatta e
s'immedesima e par naturale nella lingua francese la novità tolta dall'inglese e
dal tedesco (che agl'italiani e spagnuoli sarebbe insopportabile e barbara) che
quella dal latino. Questo può vedersi in certo modo anche ne' cognomi {e nomi propri} inglesi, tedeschi, ec. {che si} nominino nel francese. Paiono {sovente e gran parte di loro} molto men forestieri che
tra noi, e men diversi ed alieni da' nazionali.
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