19. Sett. 1823.
[3461,1]
3461 I poeti latini (e proporzionatamente gli altri
scrittori secondo che lor conveniva) usarono la mitologia greca, non per lo aver
preso da' greci la loro letteratura e poesia, ma perchè, o da' greci o
d'altronde ch'e' ricevessero la loro religione, essa mitologia alla religion
latina apparteneva niente meno che alla greca, e nel Lazio non meno che in
grecia
era cosa popolare e creduta dal popolo. Laonde se questa o quella favola
adoperata, accennata ec. dagli scrittori o poeti latini, fu tolta da' greci, o
ch'ella fosse stata primieramente e di netto inventata da qualche greco poeta, o
che in grecia e non nel Lazio ella fosse
sparsa {ec.,} non perciò segue che la mitologia dagli
scrittori latini usata, non fosse, com'ella fu, altrettanto latina che greca.
Perocchè il fabbricare, per dir così, sul fondamento delle opinioni popolari, fu
sempre lecito ai poeti, anzi fu loro sempre prescritto. Laonde se i poeti latini
fabbricarono su tali opinioni popolari nazionali, o dell'altrui fabbriche sì
servirono, o rami stranieri innestarono sul tronco domestico, niuno di ciò li
dee riprendere. Nè perciò
3462 essi vollero introdurre
un nuovo genere di opinioni popolari nella nazione e farne materia di lor
poesia; nè supposero falsamente un genere {un sistema}
di opinioni popolari che nella nazione non esisteva, ma su di quel ch'esisteva
in effetto, innestarono, fabbricarono, lavorarono. Similmente i greci, da
qualunque luogo pigliassero la loro mitologia, certo è che di là presero
eziandio la {loro} religion popolare, e che {tra' greci} il sistema greco religioso e mitologico,
quanto alla sostanza, alla natura, alla principal parte ed al generale, non fu
prima de' poeti che del popolo. E se i letterati greci si giovarono, come si
dice, delle letterature o dottrine ec. egizie, indiane o d'altre genti, non
adottarono perciò nelle loro finzioni ch'avessero ad esser popolari, e nazionali
ec. le mitologie d'esse nazioni. L'aver noi dunque ereditato la letteratura
greca e latina, l'esser la nostra letteratura modellata su di quella, anzi pure
una continuazione, per così dire, di quella, non vale perch'ella possa
ragionevolmente usare la mitologia greca nè latina al modo che quegli antichi
l'adoperavano. Giacchè non abbiamo già noi colla
3463
letteratura ereditato eziandio la religione greca e latina, nè i latini, come ho
detto, usarono la mitologia greca perciò ch'essi avevano adottato la greca
letteratura; nè se la letteratura ebbero i greci dalla Fenicia o donde si
voglia, perciò fu che i greci poeti e scrittori si valsero della mitologia di
quella tal gente; ma fu per le ragioni dette di sopra, e che nel nostro caso non
hanno alcun luogo. Tutt'altre sono le nostre opinioni popolari nazionali e
moderne da quelle de' greci e de' latini. E gli scrittori italiani o moderni che
usano le favole antiche alla maniera degli antichi, eccedono tutte le qualità
della giusta imitazione. L'imitare non è copiare, nè ragionevolmente s'imita se
non quando l'imitazione è adattata e conformata alle circostanze del luogo, del
tempo, delle persone ec. in cui e fra cui si trova l'imitatore, e per li quali
imita, e a' quali è destinata e indirizzata l'imitazione. Questa può essere
imitazione nobile, degna di un uomo, e di un alto spirito e ingegno,
3464 degna di una letteratura, degna di esser
presentata a una nazione. E una letteratura fondata comunque su tale imitazione
può esser nazionale e contemporanea e meritare il nome di letteratura.
Altrimenti l'imitazione è da scimmie, e una letteratura fondata su di essa è
indegna di questo nome, sì per la troppa viltà, essendo letteratura da scimmie,
sì perchè una letteratura che tra' suoi è forestiera, e a' suoi tempi antica,
non può esser letteratura per se, ma al più solo una parte d'altra letteratura o
una copia da potersi guardare, se fosse però perfetta (ch'è sempre l'opposto)
collo stesso interesse con cui si guarda una copia d'un quadro antico ec. e
niente più. Veramente pare che i nostri poeti usando le antiche favole (come già
i più antichi italiani e forestieri scrivendo in latino) affettino di non essere
italiani ma forestieri, non moderni ma antichi, e se ne pregino, e che questo
sia il debito della nostra poesia e letteratura, non esser nè moderna nè nostra
ma antica ed altrui. Affettazione e finzione barbara,
3465 ripugnante alla ragione, e colla qual macchia una poesia non è
vera poesia, una letteratura non è vera letteratura. Come non è nè letteratura
nè lingua nostra quella letteratura e quella lingua che oggidì usano i nostri
pedanti affettando e simulando di esser antichi italiani, e dissimulando al
possibile di essere italiani moderni, di aver qualche idea che gl'italiani
antichi non avessero perchè non poterono, (così forse fece Cic. verso Catone antico ec. o Virgilio
verso Ennio ec.?) ec. ec. Onde segue
che noi oggi non abbiamo letteratura nè lingua, perchè questa non essendo
moderna, benchè italiana, non è nostra, ma d'altri italiani, e perchè non si dà
nè si diede mai {nè può darsi} letteratura che a' suoi
tempi non sia moderna; e dandosi, non è letteratura.
[3465,1] Quel ch'io dico dell'uso delle favole antiche fatto
alla maniera antica (cioè mostrandone persuasione e presentandole in qualunque
modo a' lettori o uditori come e' ne fossero persuasi, chè altrimenti il
prevalersi della mitologia non ha peccato alcuno), fatto dico da' poeti
cristiani antichi o moderni (massime italiani) scrivendo a' Cristiani, si
3466 dee dire dell'eccessivo uso, anzi abuso
intollerabile della mitologia che fanno e fecero i pittori e scultori ec.
cristiani, non d'italia solo, ma d'ogni nazione, e niente meno i forestieri che
gl'italiani. Se sta ad essi a scegliere il soggetto, potete esser sicuro,
massime degli scultori, ch'e' non escirà della mitologia. Ed anche grandissima
parte de' soggetti eseguiti per commissione, essendo mitologici, segue che il
più delle pitture e massimamente delle sculture che si veggono in europa (fuor
delle Chiese), sieno mitologiche. Par che tutto lo scopo che si propone uno
scultore (siccome un poeta) sia che la sua opera paia una statua antica (come un
poema antico), dovendo solamente cercare ch'ella sia tanto bella quanto
un'antica, o più bella ancora, quantunque, se si vuole, nel genere del bello
antico. (19. Sett. 1823.).