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Monti (Vincenzo).

Monti (Vincenzo).

13,3 36,1 701 725 3418 3477,4

[13,3]  Nelle poesie del Monti (specialmente nelle Cantiche [In morte di Lorenzo Mascheroni, In morte di Ugo di Bassville]) sono osservabili la  14 bellezza novità efficacia delle imagini, particolarmente sublimi, ma anche di ogni altro genere, la mollezza e dirò così sveltezza, agilità, disinvoltura dell'espressione; la gran felicità nell'esprimere cose e imagini difficilissime, la disinvolta e spedita nobiltà dello stile, e quella data colla scelta e collocamento delle parole (o coll'uno o l'altra separatamente) a cose e imagini per se stesse ignobili o quasi; la sublimità {e grandezza} delle imaginazioni fantastiche, la grazia e forza del dipingere, la facilità e felicità di certe rime disparatissime, come di qualche nome proprio, lontanissimo dell'argomento, condottovi con mirabile franchezza e disinvoltura, (nella qual facilità ebbe il {Monti} gran precursore, {oltre a Dante} il Menzini nelle Satire) l'efficacia di molte espressioni acquistata colla novità ec. ec. le quali cose tutte fanno uno stile suo proprio, elegante, (la quale eleganza, la qual nobiltà ec. è anche molto spesso acquistata con acconce parole latine destrissimamente, disinvoltamente, e morbidamente insinuate nella composizione) efficace, nobile, proprio, e un genere di poesia che si può dire originale, avendo molte tinte che non si vedono in quello di Dante sempre più feroce, e quanto allo stile, di raro così molle e pieghevole e armonioso e disinvolto e grazioso e anche delicato ec. ec. {la sicurezza e franchezza del tocco sia quanto all'espressione sia quanto al concetto alle immagini ec.}

[36,1]  Sento dal mio letto suonare (battere) l'orologio della torre. Rimembranze di quelle notti estive nelle quali essendo fanciullo e lasciato in letto in camera oscura, chiuse le sole persiane, tra la paura e il coraggio sentiva battere un tale orologio. Oppure situazione trasportata alla profondità della notte, o al mattino ancora silenzioso, e all'età consistente.

[700,1]  Del resto quello ch'io dico della perfezione di stile nei cinquecentisti si deve intendere dei prosatori, non dei poeti. Anzi io mi maraviglio come quella tanta gravità e dignità che risplende ne' prosatori, si cerchi invano in quasi tutti i poeti di quel secolo, e bene spesso anche negli ottimi. I difetti dello stile poetico di quel secolo, anche negli ottimi, sono infiniti, massime la ridondanza, gli epiteti, i sinonimi accumulati (al contrario delle prose) ec. lasciando i più essenziali difetti di arguzie, insipidezze ec. anche nell'Ariosto e nel Tasso. E non è dubbio che Dante e Petrarca (sebbene non senza gran difetti di stile) furono nello stile più vicini alla  701 perfezione che i cinquecentisti, e così lo stile poetico del trecento (riguardo a questi due poeti) è superiore al cinquecento: (tanto è vero che la poesia migliore è la più antica, all'opposto della prosa, dove l'arte può aver più luogo). E dal trecento in poi lo stil poetico {italiano} non è stato richiamato agli antichi esemplari, massime latini, nè ridotto a una forma perfetta e finita, prima del Parini e del Monti. V. gli altri miei pensieri in questo proposito p. 10 pp. 59-60. Parlo però del stile poetico, perchè nel resto se si eccettuano quanto agli affetti il Metastasio e l'Alfieri (il quale però fu piuttosto filosofo che poeta), quanto ad alcune (e di rado nuove) immagini il Parini e il Monti (i quali sono piuttosto letterati di finissimo giudizio, che poeti); l'italia dal cinquecento in poi non solo non ha guadagnato in poesia, ma ha avuto solamente  702 versi senza poesia. Anzi la vera {poetica} facoltà creatrice, {sia quella del cuore o quella della immaginativa,} si può dire che dal cinquecento in qua non si sia più veduta in italia; e che un uomo degno del nome di poeta (se non forse il Metastasio) non sia nato in italia dopo il Tasso. (27. Feb. 1821.).

[724,3]  I poeti, oratori, storici, scrittori in somma di bella letteratura, oggidì in italia, non manifestano mai, si può dire, la menoma forza d'animo (vires animi, e non intendo dire la magnanimità), ancorchè il soggetto, o l'occasione {ec.} contenga  725 grandissima forza, sia per stesso fortissimo, abbia gran vita, grande sprone. Ma tutte le opere letterarie italiane d'oggidì sono inanimate, esangui, senza moto, senza calore, senza vita (se non altrui). Il più che si possa trovar di vita in qualcuno, come in qualche poeta, è un poco d'immaginazione. Tale è il pregio del Monti, e dopo il Monti, ma in assai minor grado, dell'Arici. Ma oltre che questo pregio è rarissimo nei nostri odierni o poeti o scrittori, oltre che in questi rarissimi è anche scarso (perchè il più de' loro pregi appartengono allo stile), osservo inoltre che non è veramente spontaneo nè di vena, e soggiungo che non solamente non è, ma non può essere, se non in qualche singolarissima indole.

[3416,1]  In somma la lingua italiana non aveva ancora bastante antichità, per potere avere abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702  3417 che non prima del passato secolo e del presente si è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile) poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo, distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p. 3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno dell'antichità della lingua. E così, contro quello  3418 che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo (quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo, l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia lingua, l'una prosaica l'altra  3419 poetica, non altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento) che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le quali sono ben confermati[confermate] da questi fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta; del che puoi vedere le pagg. 3397-9. (12. Sett. 1823.)

[3477,4]  Alla p. 3156. Si potrebbe aggiungere il nostro Monti, nel quale tutto è immaginazione, e nulla parte ha il sentimento, come n'ha grandissima nel più delle poesie di Lord Byron (se però quel di Lord Byron è ben significato  3478 col nome di sentimento). Certo è che il Monti benchè d'immaginazione senz'alcun confronto inferiore a quella di Lord Byron, e benchè non abbia di poetico che l'immaginazione (sì nelle cose sì nello stile), si lascia leggere non senza piacere, nè senza effetto poetico, e l'immaginoso in lui comparisce molto più spontaneo e men comandato che in Lord Byron. Ed è forse al contrario, perchè Lord Byron è veramente un uomo di caldissima fantasia naturale, e Monti, qualch'egli sia per se stesso, nelle sue composizioni non è che un buono e valente traduttore di Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio ed altri poeti antichi, e imitatore, anzi spesso copista, di Dante, Ariosto e degli altri nostri classici. Sicchè Lord Byron tira le immagini dal suo fondo, e Monti dall'altrui. E se nell'uno ha dell'impoetico lo sforzo che suo poetare apparisce, nell'altro è veramente impoetico l'imitare e il copiare che però nella sua stessa poesia intrinsecamente non si lascia scorgere. Ond'è che le poesie di Lord Byron sieno meno poetiche, considerate in se stesse, che quelle di Monti. Mentre però questi è infinitamente meno poeta di quello.  3479 E si conchiude che le poesie dell'uno sieno impoetiche, e che l'altro non sia poeta. E l'effetto poetico delle poesie di Monti spetta più agli antichi che a lui, ed è piuttosto come di poesia e d'immaginazione antica, che di moderna. Nel sentimento poi la vena del Monti è al tutto secca, e provandocisi, il che egli fa ben di rado, non ci riesce punto, come nel Bardo. (20. Sett. 1823.).