27. Feb. 1821.
[690,1] Il secolo del cinquecento è il vero e solo secolo
aureo e della nostra lingua e della nostra letteratura.
[690,2] Quanto alla lingua moltissimi disconvengono da questo
ch'io dico, volendo che il suo vero secol d'oro, fosse il trecento. Ma
osservino. Quasi tutti gli scrittori del cinquecento, toscani o non toscani,
hanno bene e convenientemente
691 adoperata la nostra
lingua, e tutti più o meno possono servire di norma al bello scrivere, e sarebbe
ammirato e studiato uno scrittore d'oggidì che avesse tanti pregi di lingua
quanto l'infimo de' mediocri scrittori di quel tempo. Questo è ben altro che
ammirare la felicità della francia dove tutti
appresso a poco scrivono bene quanto alla lingua. Considerate quello che ho
detto altrove [p. 324]
[pp.
685-90] del sommo divario fra la nostra lingua e la francese, e non vi
parrà poca meraviglia che una lingua così difficile, varia, ricca, immensa,
{pieghevole e} subordinata allo scrittore, come
l'italiana, trovasse un secolo, dove tutti o la massima parte la scrivessero
bene, e questo in ogni sorta di soggetti e di stili, in ogni qualità di
scrittori, e anche in quelle cose che si scrivevano e si scrivono correntemente
e senza studio, come lettere e cose tali, dove il cinquecento è sempre quasi
692 perfetto modello della buona lingua italiana a tutti
i secoli. Diranno che anche nel trecento accadeva lo stesso. Voglio lasciar
passare questa proposizione, che ben considerata parrà forse falsissima. Ma
supponendo che sia verissima, che maraviglia che scriva bene, chi in questo
medesimo, che egli scrive, porta inseparabilmente la ragione dello scriver bene?
Giacchè noi diciamo che i trecentisti scrivevano bene, perciò appunto ch'erano
trecentisti; e indistintamente tutto quello ch'è del trecento, o imita e
somiglia la scrittura di quel secolo, si approva e si dice bene scritto, perchè
appartiene al trecento. E si dà a quel secolo autorità di regolare il nostro
giudizio intorno alla bella lingua italiana, non a noi di giudicare se quel
secolo usasse una bella lingua. Io so e dico che la usava bellissima, e do
ragione e lodo quelli che colle debite restrizioni e condizioni fanno degli
scrittori del trecento i modelli
693
{o il fondamento e la sorgente} della buona lingua
italiana di tutti i secoli. Quest'autorità l'hanno avuta tutti i padri di tutte
le buone e belle lingue (come della latina ec.): e l'hanno avuta non già per
capriccio o pregiudicata opinione de' successori, ma per la forza della natura
che operava in quei padri effettivamente, e perchè la natura è la massima fonte
del bello. Ma non perciò le dette qualità derivavano in quei padri da merito
loro, nè essi ponevano (eccetto pochissimi) veruno studio alla bellezza e
all'ordine della lingua. Nel modo che Omero certamente non sudava per seguire e praticare le regole del
poema epico, le quali non esistevano, anzi sono derivate dal suo poema, e quella
maniera ch'egli ha tenuto è poi divenuta regola. Ma Omero come ingegno sovrano ch'egli era, studiava la
natura {e gli uomini e il bello} per creare le regole
che ancora non esistevano: laddove i trecentisti erano quasi tutti uomini da
poco e ignorantissimi, e scrivevano quello che veniva loro nella
694 penna. E quanto è venuto loro nella
peña[penna], tanto si è giudicato che
fosse il più bel fiore della nostra lingua, non dico ingiustamente, ma certo
senza merito loro. {V. p. 705.}
Aggiungete che fuori de' Toscani, pochissimi in quel secolo scrivevano la lingua
nostra in modo che si potesse sopportare, all'opposto del cinquecento dove tutta
l'italia
scriveva correttamente e leggiadramente, così che il trecento, quando anche non
valessero le suddette ragioni, non si potrebbe riputare il migliore della nostra
lingua, nè paragonare al cinquecento se non quanto alla Toscana.
[694,1]
Quanta[Quanto] alla letteratura nessuno
disconviene da quello ch'io dico, perchè il trecento ebbe tre o quattro
letterati famosi, ma nel resto ebbe non letteratura ma ignoranza. Quello però
ch'io dico, sarebbe molto più riconosciuto in italia e fuori, e si
giudicherebbe meglio, e con maggiore convincimento, quanto sia vero che il
cinquecento
695 sia l'ottimo ed aureo secolo della
letteratura italiana, anzi in questo pregio superi non solo tutti gli altri
secoli italiani, ma anche tutti i migliori secoli delle letterature straniere;
se si ponesse mente a questo ch'io son per dire.
[695,1] Primieramente la stessa universalità che ho notata in
quel secolo rispetto alla buona lingua, si deve anche notare rispetto al buono
stile: e ciò in tutti i generi e di soggetti, e di scrittori, nelle scritture
più familiari e usuali ec. insomma con tutte quelle particolarità che ho notate
quanto alla lingua p. 691. Collo
studio, e la giusta applicazione delle norme greche e latine, lo stile del
cinquecento generalmente aveva acquistato tal nobiltà e dignità, e tant'altra
copia di pregi, che quasi era venuto alla perfezione, eccetto principalmente una
certa oscurità ed intralciamento, derivante in gran parte dalla troppa lunghezza
de' periodi, e dalla troppa copia
696 delle figure di
dizione, e dall'eccessivo ed eccessivamente continuato concatenamento delle
sentenze; vizio tutto proprio di quel secolo, il quale voleva forse con ciò dare
al discorso quella gravità che ammirava ne' latini, ma che si doveva conseguire
con altri mezzi (quali sono quegli altri molti che lo stesso secolo ha
ottimamente adoperati): vizio ignoto si può dire al trecento, e a tutti gli
altri secoli ancorchè viziosissimi: vizio provenuto anche dal soverchio studio
dei latini, la cui imitazione è pericolosa per questa parte ancora, come per le
trasposizioni; vizio che avrebbe potuto molto correggersi con un maggiore studio
de' greci, ma principalmente degli ottimi e primi, perchè i più moderni
declinarono anch'essi (sebbene valenti) a questo difetto, e ad un'indole di
scrittura più latina che greca: vizio che non saprei se appartenga più allo
stile ovvero alla lingua: vizio finalmente che se non togliere, certo si può
moltissimo
697 alleggerire con una diversa
punteggiatura, come si è fatto da molti presso i latini, i quali pure ne avevano
gran bisogno, tanto per la lunghezza de' periodi talvolta, i quali si sono
divisi col mezzo de' punti, quanto massimamente e sempre per la qualità della
loro costruzione. La detta perfezione prima o dopo quel secolo non si è mai
veduta in nessunissimo stile nè italiano nè forestiero, dai latini in poi (dico
quanto allo stile non ai pensieri): nessun'altra nazione ci è pervenuta in
veruno de' suoi migliori secoli; e forse quello stesso maggior grado di
perfezione che lo stile forestiero ha conseguito ne' suoi secoli d'oro, non si
troverà che fosse così universale negli scrittori nazionali di quel tempo,
com'era la detta perfezione in italia nel cinquecento.
[697,1] Secondariamente il pregio letterario del cinquecento è
meno
698 conosciuto, e stimato assai meno del vero,
perchè non si conosce la somma e singolare ricchezza di quel secolo. Eccetto gli
scrittori toscani registrati in buona parte dalla Crusca fra' testi di lingua, e perciò ricercati per farne serie, e
per lusso, e simili motivi, e ristampati per uso di lingua, gli altri toscani,
non adoperati dall'antica Crusca, e la massima
parte de' cinquecentisti non toscani, non sono letti quasi da nessuno,
conosciuti di pregio da pochissimi dotti, di nome solo da pochissimi altri, e
ignorati di nome e di tutto dalla moltitudine dei letterati, da tutto il resto
degli odierni italiani, e da tutti quanti gli stranieri. E tuttavia è somma la
copia di quegli scrittori che essendo così ignorati, sono tuttavia o più degli
altri, o quanto gli altri che si conoscono, pregevolissimi e degnissimi di
considerazione, di studio, e d'immortalità. E giacciono in quelle vecchie
stampe, in preda ai tarli, e alla polvere
699 (se però
sono stati mai stampati, come p. e. la storia del Baldi, di cui parla il Perticari, è ms.), in fondo alle librerie,
scorrettissimamente, e sordidamente stampati, senza veruno che si curi di
guardarli. Da quelle poche operette insigni del cinquecento ristampate in questi
ultimi anni, e da quelle che si è proposto di ristampare, e che si è veduto come
non cedano forse a veruna delle già note e famose, si può conoscere quanta
ricchezza di quel secolo, quanta gloria nostra, sia oscurata e sepolta dalla
dimenticanza, dall'ignoranza, dalla pigrizia, dalla noncuranza di questo secolo.
Che se porrete mente quanto minore sia il numero de' buoni cinquecentisti noti
alla universalità degl'italiani, rispetto a quelli conosciuti dai letterati, i
quali pur tanti ne ignorano; e quanto pochi fra quei medesimi conosciuti
universalmente fra noi, si conoscano fuori d'italia; non vi farete più
maraviglia se la fama del
700 cinquecento letterato è
oramai nell'europa, piuttosto nome che fatto; piuttosto un avanzo di antica
tradizione, che opinione presente; potendosi contar sulle dita i cinquecentisti
noti fuori d'italia. E così dico proporzionatamente di tutta l'altra nostra
letteratura. Ma gli stranieri hanno ben ragione, se non ne sanno più, di quello
che ne sappiamo noi stessi, i quali {generalmente} ci
troviamo appresso a poco nel medesimo caso.
[700,1] Del resto quello ch'io dico della perfezione di stile
nei cinquecentisti si deve intendere dei prosatori, non dei poeti. Anzi io mi
maraviglio come quella tanta gravità e dignità che risplende ne' prosatori, si
cerchi invano in quasi tutti i poeti di quel secolo, e bene spesso anche negli
ottimi. I difetti dello stile poetico di quel secolo, anche negli ottimi, sono
infiniti, massime la ridondanza, gli epiteti, i sinonimi accumulati (al
contrario delle prose) ec. lasciando i più essenziali difetti di arguzie,
insipidezze ec. anche nell'Ariosto e
nel Tasso. E non è dubbio che Dante e Petrarca (sebbene non senza gran difetti di stile) furono nello stile
più vicini alla
701 perfezione che i cinquecentisti, e
così lo stile poetico del trecento (riguardo a questi due poeti) è superiore al
cinquecento: (tanto è vero che la poesia migliore è la più antica, all'opposto
della prosa, dove l'arte può aver più luogo). E dal trecento in poi lo stil
poetico {italiano} non è stato richiamato agli antichi
esemplari, massime latini, nè ridotto a una forma perfetta e finita, prima del
Parini e del Monti. V. gli altri miei pensieri in questo proposito
[p.
10]
[pp.
59-60]. Parlo però del stile poetico, perchè nel resto se si eccettuano
quanto agli affetti il Metastasio e
l'Alfieri (il quale però fu
piuttosto filosofo che poeta), quanto ad alcune (e di rado nuove) immagini il
Parini e il Monti (i quali sono piuttosto letterati di finissimo
giudizio, che poeti); l'italia dal cinquecento in
poi non solo non ha guadagnato in poesia, ma ha avuto solamente
702 versi senza poesia. Anzi la vera {poetica} facoltà creatrice, {sia quella del cuore
o quella della immaginativa,} si può dire che dal cinquecento in qua
non si sia più veduta in italia; e che un uomo degno
del nome di poeta (se non forse il Metastasio) non sia nato in italia dopo il Tasso. (27. Feb.
1821.).