Gennaio 1-7, 1819.
[32,4] È osservabile che Celso nel quale è singolarmente notata (e lodata) la semplicità e
facilità dello stile per le quali si sarà discostato meno degli altri dal latino
volgare, sono frequentissime e moltissime frasi {costruzioni, usi di parole, locuzioni ec. ed anche
parole assolutamente} o prette italiane o che si accostano alle
italiane io dico di quelle che comunemente non s'hanno per derivate dal latino
nè per comuni alle due lingue ma proprie della nostra, e ove trovandole non
presso Celso ma
presso qualche scrittore latino moderno, le stimeressimo poco meno che
barbarismi, anche presentemente, cioè non ostante che in effetto si trovino
appresso Celso
{eccetto se non ci ricordassimo espressamente, o ci fosse
citata l'autorità di lui.} Per es. dice nel libro 1. Capo 3. dopo il mezzo: Q1180144interdum valetudinis causa recte fieri,
experimentis credo; cum eo tamen ne quis
qui valere et senescere volet, hoc quotidianum
habeat.
(Con questo però che ec. cioè, purchè locuzione pretta
italiana.) E nel Lib. 2. c. 8. circa il fine:
Q1180144Quos lienis male habet, si tormina prehenderunt, deinde versa sunt vel in aquam
inter cutem, vel in intestinorum lęvitatem[laevitatem], vix ulla medicina periculo
subtrahit. Si trova però frase simile cioè prehendo in
significato di cogliere, ma presso i Comici latini. E
parimente l. 2. c. 11. nel fine: Q1180144huc potius confugiendum est, cum eo
tamen ut sciamus, hic ut nullum periculum, ita levius auxilium
esse. E c. 17. alquanto
sopra il mezzo: Q1180144recte medicina ista tentatur, cum eo tamen ne
pręcordia[praecordia] dura sint,
neve, etc. e lib. 3. C.
5. sul fine: Q1180144scire licet... satius esse consistente jam
incremento febris aliquid offerre, quam increscente..., cum eo tamen ut nullo tempore is qui deficit
non sit sustinendus. {Così c. 22. mezzo
e c. 24. fine e l. 4. c. 6.} E c. 6. dopo il mezzo: Q1180144In vicem ejus dari potest vel intrita ex aqua
ec. (in vece di questa.) e così altrove usa questa stessa
frase, e nota che qui non vuol dire alternativamente, ma
33 assolutamente in vece, {cioè} escluso l'altro cibo
ec. L'altro luogo dove l'usa è lib. 4. c.
6. nello stesso modo assoluto. E Lib. 4. c. 2. fine: Q1180144Post quę[quae] vix fieri potest ut idem incommodum maneat.
(semplicemente come noi diciamo incomodo per piccola malattia.) E c. 22: Q1180144quod fere post
longos morbos vis pestifera huc se inclinat, quę[quae] ut alias partes liberat, sic hanc ipsam
(nimirum coxas) quoque affectam prehendit. E. c.
28. del Lib. 5. sect. 17. Q1180144nam et rubet (impetiginis
{genus I.um}) et durior est, et exulcerata
est, et rodit. (come diciamo noi
{volgarmente talvolta neutro e spesso anche
impersonale,} per prurire) E così ivi poco dopo: Q1180144xml:lang="la">squamulę[squamulae] ex summa cute discedunt, rosio major est. E poco dopo di un altro genere d'impetigine dice: Q1180144in summa cute finditur, et vehementius rodit. Dove s'ingannerebbe chi
credesse che Celso volesse per rodere intendere lo stesso che erodere, poichè 1. egli usa sempre questo secondo quando si tratta di
significare corrosione, 2. negli esempi che addurrò dove si vede il passivo di
rodere, l'accompagnamento delle altre parole,
mostra che non si tratta di corrosione ma di prurito; e dice dunque ib. sect. seguente di un altro male
simigliante: Q1180144in quo per minimas pustulas cutis
exasperatur et rubet leviterque roditur: e poco
sotto: di un altro genere del sopraddetto male: Q1180144in quo
similiter quidem, sed magis cutis exasperaturque exulceraturque ac
vehementius et roditur et rubet et interdum
etiam pilos remittit, 3. nella sezione precedente la 17. dice della scabbia {o} rogna per tutta definizione queste parole: Q1180144Scabies vero est durior cutis,
rubicunda; ex qua pustulę[pustulae] oriuntur, quędam[quaedam] humidiores, quędam[quaedam] sicciores. Exit ex quibusdam sanies,
fitque ex his continuata exulceratio
pruriens, serpitque in quibusdam cito. Atque
in aliis quidem ex toto desinit, in aliis vero certo tempore anni
revertitur. Quo asperior est, quoque prurit
magis, eo difficilius tollitur. Itaque eam quę[quae] talis est, ἀγρίαν id est feram
Gręci[Graeci]
appellant. Poi passa ai rimedi che sbriga in poche righe senza
far altro motto della natura del male. Ora nella sezione seguente dice del primo genere d'impetigine, che Q1180144similitudine scabiem repręsentat[repraesentat], nam et
rubet etc. come sopra; dove egli ha la mira a quello che
ha detto di sopra della scabbia com'è evidente: ma ch'ella sia rossa, dura,
esulcerata l'ha detto come io ho notato con lineette, che corroda non l'ha detto
punto: ora come sarà simile alla scabbia la impetigine nam rodit, perchè rode? Bensì ha detto che la scabbia prurit, e questo
segno sostanziale mancherebbe alla impetigine se il rodit non si prendesse in
questo senso, che d'altronde non si può prendere per corrodere. V. se il Forcellini o l'Appendice ha nulla di rodere in significato di prurire. {+Non ha niente, e però questo significato è
nuovo e da aggiungersi ai vocabolari latini, cioè rodere per prurire. (non è neutro però giacchè n'abbiamo veduto il
passivo, quantunque si potrebbe disputare pro e contra. Nota ancora che
rodere per erodere è bensì raro, appo Celso, pur si trova l. 7. c.
2. verso il fine. Nel lib. 7 c.
23. c'è il vocabolo rosio che non ha significato chiaro e si può
spiegare in un modo e nell'altro, sebbene appena si può prendere anzi
non si può per l'azione del corrodere, ma per il senso di ciò, vale a
dire di un prurito veemente: Q1180144fereque a {die} tertio spumans bilis alvo cum rosione
redditur. E questo mi pare anzi il significato suo
certo in questo luogo, come apparisce dal contesto, dove nè prima nè dopo
non si parla punto nè d'effetti nè di rimedi o altro analogo a corrosione.
Rodere si trova anche in significato dubbio 3.
volte nel l. 7. c. 26. sect. 4. circa il
fine e c. 27. dopo il
mezzo.} E lib. 6. c. 1.
fine: Q1180144Si parum per hęc[haec] proficitur, vehementioribus uti licet, cum eo ut sciamus, (senza il tamen) utique in recenti vitio id inutile
esse. E ib. c. 18.
sect. 7.
34
Q1180144Si quidquid lęsum[laesum] est, extra est, neque intus reconditum, eodem
medicamento tinctum linamentum superdandum est, et quidquid ante
adhibuimus cerato contegendum. In hoc autem
casu neque acribus cibis utendum neque
asperis nec alvum comprimentibus. Così altrove spesso, in
primo casu, in eo casu ec. come noi diciamo: in questo caso, nel primo caso ec.
E lib. 7. c. 2. dopo il mezzo: Q1180144Semper autem ubi scalpellus admovetur, id agendum est ut
et quam minimę[minimae] et quam
paucissimae plagae sint, cum
eo tamen ut necessitati succurramus et in modo
et in numero. E c. 7.
sect. 7. Q1180144At quibus id in angulo est, potest adhiberi
curatio, cum eo ne (senza il tamen) ignotum
sit esse difficilem. E c. 16. Q1180144quia et rumpi facilius motu ventris potest, et
non aeque magnis inflammationibus pars ea
(venter), exposita est. E c. 22. Q1180144adurendus est
tenuibus et acutis ferramentis quę[quae] ipsis venis infigantur, cum eo
ne amplius quam has urant (senza il tamen) E c. 27.
circa il mezzo: Q1180144Sub quibus perveniri ad sanitatem
potest, cum eo tamen quod non
(nota il quod non in vece del ne ch'è anche più conforme alla frase italiana) Q1180144ignoremus, orto cancro
sępe[saepe] affici
stomachum. (l'edizione di cui mi servo non ha la virgola
dopo orto cancro quantunque abbondantissima nell'interpunzione) E lib. 8. c. 10. sect. 7. ab init. Q1180144Quibus periculis etiam magis id expositum quod juxta ipsos articulos ictum est.
In somma tutta la struttura della prosa di Celso è tale che accostandosi
infinitamente per la maniera il giro la costruzione la frase i modi e le
parole alla italiana, dà a conoscere più che forse qualunque altra prosa
latina dei buoni secoli, anche a chi non lo sapesse per altra parte, che la
lingua italiana deriva dalla latina. Onde non dubito che questa prosa non si
accostasse ancora e non fosse presa in grandissima parte quanto al modo, e
anche in qualche parte rispetto alle parole, dal volgare di
Roma, o latino
[34,1]
Il
libellus de Arte dicendi pubblicato sotto il nome di Celso da Sisto {a} Popma in
Colonia nel 1569. e ristampato come rarissimo dal
Fabricio in fondo alla
Bibl. Lat. lo giudico un compendio o uno spoglio o
un pezzo compendiato dell'opera di Celso
sull'Eloquenza ch'era parte della grand'opera sulle arti
di cui c'è rimasta la medicina. E raccolgo che sia di Celso dalla facile eleganza o piuttosto facilità
elegante tutta propria di Celso che si
trova in vari luoghetti sparsi per tutto il brevissimo libricciuolo misti a un
rimanente confuso, o inelegante, e anche barbaro e inintelligibile, il che
dimostra l'altra parte del mio giudizio, cioè che questa non sia l'opera intera
di Celso come pare ch'abbia creduto il
Fabricio l. 4. c. 8. fine p. 506. fine, oltrechè come vedo
nel Tiraboschi qui non si trova
35 tutto quello che Quintiliano cita dell'opera di Celso. Anche Curio Fortunaziano
Retore nei Rettorici
latini del Pithou p. 69.
cita Celso. Trovo poi anche parecchi
modi e parole che mi persuadono che il libretto sia cavato veramente da Celso, perchè sono frequenti e
familiari sue nei libri della Medicina, p. e. §. 3. viaf180774635Oratoris artibus nemo instrui potest, nisi cui ingenium et
frequens studium est. Primum animi sit
(assoluto) oportet qędam[quaedam]
{naturalis} ad videndas ediscendasque res potentia. Tum vox, (nota l'omissione del sit
oportet, e la dipendenza di questo periodo dal
precedente familiarissimo a Celso) latus, decor, valetudo, frugalitas, laboris
patientia. E tutto il §. {è di}
maniera {affatto Celsiana.} E §. 4.
Super hoc, per oltre a ciò,
{usitato da Celso,} e la particella ubi per
quando, allorchè
{se} familiariss. a Celso, e usata spesso qui pure, cioè §. 9. e 10. tre volte, 11. due volte, e 17. due
volte. E §. 10. viaf180774635Neque alienum est, ubi longior
fuerit expositio vel narratio, extrema ita finire, ut admoneas quęcunque[quaecunque] dixeris. E ivi poco dopo: viaf180774635Nec semper debet
orator veterum se pręceptis[praeceptis] addicere, sed scire debet
incidere novam materiam quę[quae] novi aliquid postulet. {+E quanto all'incidere, si trova anche in simile maniera §. 11. viaf180774635Evenit ut ante sit
respondendum quam sit ponenda narratio, ut pro Milone: incidit
caussę[caussae] genus quod
summam habet quęstionis[quaestionis]. E ib. ec.} E ib. più sopra: viaf180774635Alterum genus est
in quo utique (modo familiarissimo a Celso) ęque[aeque] supervacua narratio est e
così §. 12. viaf180774635hęc[haec] enim verisimilia sunt,
non utique vera. E §. 13. viaf180774635Cum autem diu
dicere volet, omne argumentum ornatius exequetur. E ivi: viaf180774635Si unum argumentum validum est et unum
frivolum, a valido incipies, frivolum persequeris, rursum validum
repetes. E ivi
viaf180774635Cum aliquibus partibus causa laborat, utilius
ordinem quęstionum[quaestionum]
confundimus, quas ex toto tractare non
expedit. Modo totalmente Celsiano al quale è
familiarissimo quando appo gli altri è se, non altro, raro, a mio parere; e che
quasi solo basterebbe appresso me per farmi credere che il libretto sia cavato
veramente da Celso. Modo del resto
levato di peso dal greco ἐξ ἅπαντος, alla qual lingua s'accosta anche moltissimo
e la maniera {di Celso} in generale, e molti modi frasi locuzioni ec. in
particolare {(e la semplicità}
{e la forma della costruzione tanto del tutto, quanto dei
periodi, del collegamento loro ec.),} come a lingua madre, nel modo
che alla italiana s'accosta come a lingua figlia. Si trova anche nel §. 3. l'avverbio in totum per totalmente,
che, se ben mi ricorda,
36 si trova anche frequentemente
appresso Celso.
[36,1] Sento dal mio letto suonare (battere) l'orologio della
torre. Rimembranze di quelle notti estive nelle quali essendo fanciullo e
lasciato in letto in camera oscura, chiuse le sole persiane, tra la paura e il
coraggio sentiva battere un tale orologio. Oppure situazione trasportata alla
profondità della notte, o al mattino ancora silenzioso, e all'età
consistente.
[36,2] Nel Monti è pregiabilissima e si può dire originale e sua propria la
volubilità armonia mollezza cedevolezza eleganza dignità graziosa, o dignitosa
grazia del verso, e tutte queste proprietà parimente nelle immagini, alle quali
aggiungete scelta felice, evidenza, scolpitezza ec. E dico tutte giacchè anche
le sue immagini hanno un certo che di volubile molle pieghevole facile ec. Ma
tutto quello che spetta all'anima al fuoco all'affetto all'impeto vero e
profondo sia sublime, sia massimamente tenero gli manca affatto. Egli è un poeta
veramente dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo, e ogni
volta che o per iscelta come nel Bardo, o per necessità ed incidenza
come nella Basvilliana è portato ad esprimer cose affettuose, è così
manifesta la freddezza del suo cuore che non vale punto a celarla l'elaboratezza
del suo stile e della sua composizione anche nei luoghi ch'io dico, nei quali
pure egli va bene spesso anzi per l'ordinario con ributtante freddezza e aridità
in traccia di luoghi di classici {greci e latini} di
espressioni di concetti di movimenti classici per esprimerli elegantemente
lasciando con ciò freddissimo l'uditore, che non trova ancor quivi se non quella
coltura (la quale in questi casi più quasi nuoce di quello giovi) che trova per
tutto il resto della composizione sparso anch'esso di traduzioni di pezzi de'
Classici. Giacchè questo è il costume del Monti e nella Basvilliana e per tutto di tradurre
(ottimamente bensì, ma quasi formalmente tradurre) frequenti luoghi, modi frasi
pensieri immagini similitudini metafore
37 ec. ec.
d'autori classici: e la Musogonia segnatamente si può dire
che sia un vero centone di pezzi (nota bene) di Omero
Esiodo
Callimaco
Virgilio
Orazio
Ovidio, i cui nomi {(con forse quello di qualcun altro antico o italiano
classico)} se se le scrivessero in margine a modo delle Catene patrum,
non credo che ci sarebbe non dico pagina ma appena stanza che non fosse compresa
sotto quei nomi, di maniera ch'io non mi fiderei di trovare in tutto il canto
una diecina di ottave intieramente originali. Lascio poi che il poemetto non ha
nessun fine soddisfacente, non è se non stiracchiatamente adattato alle
circostanze d'allora, e un centone di pezzi antichi per cantare quello che
cantarono quegli stessi antichi è una cosa ben miserabile.
[37,1] La natura, come ho detto è grande, la ragione è piccola
e nemica di quelle grandi azioni che la natura ispira. Questa nimicizia di
queste due gran madri delle cose non è stata accordata se non dalla Religione la
qual sola proponendo l'amore delle cose invisibili di Dio ec. e la speranza di
premio nella vita futura ha conciliato con mirabile armonia la grandezza
generosità sublimità, apparente pazzia delle azioni (come son quelle dei
martiri, il distacco dai beni terreni da' parenti dalla patria ec. il disprezzo
della morte, il sacrifizio de' piaceri e di tutto all'amor di Dio al dovere ec.)
colla ragione: armonia che fuor della religione non si può trovare se non a
parole, perchè tolta la speranza della vita futura, l'immortalità dell'anima,
l'esistenza della virtù della sapienza della verità {della
beltà} personificata in Dio, la cura di questo essere intorno ai
portamenti nostri ec. l'amor di lui ec. non ci sarà mai si può dire, azione
eroica e generosa e sublime, e concetti e sentimenti alti, che non sieno vere e
prette illusioni e che non debbano scadere di prezzo quanto cresce l'impero
della ragione, come già vediamo e che sono illusioni quelle grandezze {anche presenti} nelle quali la religione non ha parte, e
che collo indebolirsi la forza della fede negli animi, scemano presentemente
quelle azioni sublimi delle quali erano molto più fecondi i secoli passati
ignoranti che il nostro illuminato. Similmente si può dire della dolcezza e
amabilità di tante idee ed opinioni che senza la religione sono chimere, e colla
religione sono verità, e alle quali la ragione per se ripugnerebbe, la quale
com'è nemica della grandezza così è nemica della profonda e vera bellezza, e con
lei, come tutto è piccolo così tutto è brutto e arido in questo mondo.
[37,2] Uno dei casi nei quali il seguir la ragione è barbaro, e
il seguir la natura è irragionevole, ma religioso però, è di un padre {p. e.} che veda il figlio così affetto da dover essere
assolutamente infelice vivendo, da dover penare sempre e senza riparo, tra
dolori acuti, tra la mancanza di tutti i piaceri, tra una noia perenne, tra una
vergogna cocente per le imperfezioni fisiche ec. Desiderar la morte a questo
figlio, poniamo caso anche malato, anche disperato da' medici, anche moribondo,
o vero non solo desiderarla ma non dolersene consolarsene non piangerne
amaramente, e[è] ragionevole e barbaro, e come
barbaro e snaturato, così anche contrario ai principi della religione.