8. Marzo 1821.
[724,3] I poeti, oratori, storici, scrittori in somma di bella
letteratura, oggidì in italia, non manifestano
mai, si può dire, la menoma forza d'animo (vires
animi, e non intendo dire la magnanimità), ancorchè il soggetto, o
l'occasione {ec.} contenga
725
grandissima forza, sia per stesso fortissimo, abbia gran vita, grande sprone. Ma
tutte le opere letterarie italiane d'oggidì sono inanimate, esangui, senza moto,
senza calore, senza vita (se non altrui). Il più che si possa trovar di vita in
qualcuno, come in qualche poeta, è un poco d'immaginazione. Tale è il pregio del
Monti, e dopo il Monti, ma in assai minor grado,
dell'Arici. Ma oltre che questo
pregio è rarissimo nei nostri odierni o poeti o scrittori, oltre che in questi
rarissimi è anche scarso (perchè il più de' loro pregi appartengono allo stile),
osservo inoltre che non è veramente spontaneo nè di vena, e soggiungo che non
solamente non è, ma non può essere, se non in qualche singolarissima indole.
[725,1] La forza {creatrice}
dell'animo appartenente alla immaginazione, è esclusivamente propria degli
antichi. Dopo che l'uomo è divenuto stabilmente infelice, e, che peggio è, l'ha
conosciuto,
726 e così ha realizzata e confermata la sua
infelicità; inoltre dopo ch'egli ha conosciuto se stesso e le cose, tanto più
addentro che non doveva, e dopo che il mondo è divenuto filosofo,
l'immaginazione veramente forte, verde, feconda, creatrice, fruttuosa, non è più
propria se non de' fanciulli, o al più de' poco esperti e poco istruiti, che son
fuori del nostro caso. L'animo del poeta o scrittore ancorchè nato pieno di
entusiasmo di genio e di fantasia, non si piega più alla creazione delle
immagini, se non di mala voglia, e contro la sottentrata o vogliamo dire la
rinnuovata natura sua. Quando vi si pieghi, vi si piega ex
instituto, ἐπιτηδές, per forza di volontà, non d'inclinazione, per
forza estrinseca alla facoltà immaginativa, e non intima sua. La forza di un tal
animo ogni volta che si abbandona all'entusiasmo (il che non è più così
frequente) si rivolge all'affetto,
727 al sentimento,
alla malinconia, al dolore. Un Omero, un
Ariosto non sono per li nostri
tempi, nè, credo, per gli avvenire. Quindi molto e giudiziosamente e
naturalmente le altre nazioni hanno rivolto il nervo e il forte e il principale
della poesia dalla immaginazione all'affetto, cangiamento necessario, e
derivante per se stesso dal cangiamento dell'uomo. Così accadde
proporzionatamente anche {ai} latini, eccetto Ovidio. E anche l'italia ne' principii della
sua poesia, cioè quando ebbe veri poeti, Dante, il Petrarca, il Tasso, (eccetto l'Ariosto) sentì e seguì questo cangiamento, anzi ne
diede l'esempio alle altre nazioni. Perchè dunque ora torna indietro? Vorrei che
anche i tempi ritornassero indietro. Ma la nostra infelicità, e la cognizione
che abbiamo, e non dovremmo aver, delle cose, in vece di scemare, si accresce.
Che smania è questa dunque di voler fare quello stesso che facevano i nostri
avoli, quando noi siamo così mutati? di ripugnare alla natura delle cose? di
voler fingere una
728 facoltà che non abbiamo, o abbiamo
perduta, cioè l'andamento delle cose ce l'ha renduta infruttuosa e sterile, e
inabile a creare? di voler essere Omeri,
in tanta diversità di tempi? Facciamo dunque quello che si faceva ai tempi di
Omero, viviamo in quello stesso
modo, ignoriamo quello che allora s'ignorava, proviamoci a quelle fatiche a
quegli esercizi corporali che si usavano in quei tempi. E se tutto questo ci è
impossibile, impariamo che insieme colla vita e col corpo, è cambiato anche
l'animo, e che la mutazione di questo è un effetto necessario, perpetuo, e
immancabile della mutazione di quelli. Diranno che gl'italiani sono per clima e
natura più immaginosi delle altre nazioni, e che perciò la facoltà creatrice
della immaginativa, ancorchè quasi spenta negli altri, vive in loro. Vorrei che
così fosse, come sento in me dalla fanciullezza e dalla prima giovanezza in poi,
e vedo negli
729 altri, anche ne' poeti più riputati,
che questo non è vero. Se anche gli stranieri l'affermano, o s'ingannano, come
in cose lontane, e come il lontano suol parere bellissimo o notabilissimo;
ovvero intendono solamente di parlare in proporzione degli altri popoli, non mai
nè assolutamente, nè in comparazione degli antichi, perchè anche l'immaginativa
italiana, in vigore dell'andamento universale delle cose umane, è illanguidita e
spossata in maniera, che per quel che spetta al creare, non ha quasi più se non
quella disposizione che gli deriva dalla volontà e dal comando dell'uomo, non da
sua propria ed intrinseca virtù, ed inclinazione.
[729,1] Ma la vera causa per cui gl'italiani, a differenza di
tutti gli altri, non conoscono oggidì altra poesia che la immaginativa, e della
sentimentale sono affatto digiuni, ve la dirò io. In quest'ozio, in
730 questa noia, in questa frivolezza di occupazioni, o
piuttosto dissipazioni, senza scopo, senza vita, in somma senza nè patria {nè guerre nè carriere civili o letterarie} nè altro
oggetto di azioni o di pensieri costanti, l'italiano non è capace di sentir
nulla profondamente, nè difatto egli sente nulla. Tutto il mondo essendo
filosofo, anche l'italiano ha tanto di filosofia che basta e per farlo sempre
più infelice, e per ispegnergli o vero intorpidirgli l'immaginazione, di cui la
natura l'avrebbe dotato; ma non quanta si richiede a conoscere intimamente le
passioni, gli affetti, il cuore umano, e dipingerlo al vivo; oltre che quando
anche potesse conoscergli, non saprebbe dipingergli, giacchè bisogna convenire
che all'italiano d'oggidì manca la massima parte di quello studio ch'è duopo per
iscriver cose, come son queste, difficilissime. Sicchè l'italiano, ancorchè si
metta a scrivere col cuore profondamente commosso, o sullo stesso incominciare
non trova più nulla, e non sapendo che si dire, ricorre ai generali;
731 ovvero volendo esprimere proprio quello ch'ei sente,
non sa farlo, e scrive come un fanciullo.
[731,1] Per tutte queste ragioni dunque l'italiano non essendo
oggidì capace di poesia affettuosa, ricorre e si dedica interamente alla
immaginosa, non per natura o per vocazione, ma per volontà ed elezione. E
appunto perciò o non vi riesce punto, o solamente coll'imitare, e tener dietro
agli antichi, come un fanciullo alla mamma; nel modo che (sia detto fra noi) ha
fatto il Monti: il quale non è poeta,
ma uno squisitissimo traduttore, se ruba ai latini o greci; se agl'italiani,
come a Dante, uno avvedutissimo e
finissimo rimodernatore del vecchio stile e della vecchia lingua.
[731,2] Ma gl'italiani contuttociò, e contro la natura de'
tempi e della poesia, si gittano ad un genere che oggi non può essere se non o
forzato o imitativo, e lo fanno perchè questo riesce loro molto più facile del
sentimentale.
732 1. nessuno dubita che l'imitare a
certi ingegni massimamente, che hanno pochissima o forza, o abitudine ed
esercizio di forza, e d'impazienza e di calore ec. non sia molto più facile che
il creare. E gl'italiani d'oggidì, poetando, appresso a poco, sempre imitano,
anche {quando} non trascrivono, come spesso fanno, e
come fa l'Arici, che quello si chiama
copiare. 2. Come è più facile un racconto che un dramma, perchè nel dramma ogni
errore d'imitazione è palese, e si richiede una molto più esatta corrispondenza
alla natura ed al vero; così agl'italiani d'oggidì, persone, come ho detto, che
non sentono, e non hanno bastante cognizione del cuore umano, è molto più facile
il genere immaginativo, che alla fine è cosa arbitraria, e dove si può anche
abbagliare, come ha fatto l'Ariosto, di
quello che il sentimentale dove bisogna seguire esattamente e passo passo la
natura ed il vero, e dove il cuor di ciascuno, è prontissimo
733 e acutissimo e rigoroso giudice della verità o falsità, della
proprietà o improprietà, della naturalezza, o forzatura, della efficacia o
languidezza ec. delle invenzioni, delle situazioni de' sentimenti, delle
sentenze, delle espressioni ec. E la facoltà immaginativa si può in qualche modo
fingere, o forzare, o almeno comandare: la sensitiva non mai. E perciò {non è maraviglia se} quei moderni italiani i quali,
nelle circostanze che ho esposte di sopra, hanno pur voluto pubblicare opere
sentimentali, sono stati fischiati, o degni di esserlo. Tanto più che la
imitazione, (e questi tali si son dati tutti e totalmente alla imitazione degli
stranieri) se disdice all'immaginativo, molto più al sentimentale, per la stessa
ragione per cui il sentimento non si può nè fingere nè proccurare, almeno
forzatamente. E così tutti i sensati italiani e forestieri, si accordano in dire
che l'italia
manca del genere sentimentale.
734 Ma non osservano che
con ciò vengono a dire e confessare che l'odierna italia manca di
letteratura, certo di poesia. Quasi che il detto genere fosse proprio di questa
o quella nazione, e non del tempo. Quasi che oggidì la condizione generale degli
uomini ammettesse altro genere di poesia, e che il mancare di questo genere non
fosse lo stesso che mancar di poesia.
[734,1] La poesia sentimentale è unicamente ed esclusivamente
propria di questo secolo, come la vera e semplice (voglio dire non mista) poesia
immaginativa fu unicamente ed esclusivamente propria de' secoli Omerici, o
simili a quelli in altre nazioni. Dal che si può ben concludere che la poesia
non è quasi propria de' nostri tempi, e non farsi maraviglia, s'ella ora langue
come vediamo, e se è così raro non dico un vero poeta, ma una vera poesia.
Giacchè il sentimentale è fondato e sgorga dalla filosofia, dall'esperienza,
dalla cognizione
735 dell'uomo e delle cose, in somma
dal vero, laddove era della primitiva essenza della poesia l'essere ispirata dal
falso. E considerando la poesia in quel senso nel quale da prima si usurpava,
appena si può dire che la sentimentale sia poesia, ma piuttosto una filosofia,
un[un'] eloquenza, se non quanto è più
splendida, più ornata della filosofia ed eloquenza della prosa. Può anche esser
più sublime e più bella, ma non per altro mezzo che d'illusioni, alle quali non
è dubbio che anche in questo genere di poesia si potrebbe molto concedere, e più
di quello che facciano gli stranieri. (8. Marzo 1821.).