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Precisione e Chiarezza e Proprietà nelle parole.

Precision and Clarity and Appropriateness of words.

950,3 1226,1 1234,1 1237,1 1245,2 1488-9 1701,1 1918 2012,2 2468

[950,3]  Lo Spettatore di Milano 15. Febbraio 1816. Quaderno 46. p. 244. Parte Straniera, in un articolo estratto dal Leipziger Litter. Zeitung, rendendo brevissimo conto di un opuscolo  951 tedesco di Pietro Enrico Holthaus, intitolato Anche nella nostra lingua possiamo e dobbiamo essere Tedeschi, pubblicato a Schwelm, presso Scherz, 1814. in 8o. grande, dice che, fra le altre cose, l'autore intende provare Che il miscuglio di parole straniere reca nocumento alla chiarezza delle idee. * (L'opuscolo è diretto principalmente contro il francesismo introdotto e trionfante nella lingua tedesca, come nell'italiana) Questo sentimento combina con quello che ho svolto in altri pensieri pp. 110-11 p. 808, dove ho detto che le parole greche nelle nostre lingue sono sempre termini, e così si deve dire delle altre parole straniere affatto alla nostra lingua; e spiegato che cosa sieno termini, e come si distinguano dalle parole. E infatti i termini, e le parole prese da una lingua straniera del tutto, potranno essere precise, ma non chiare, e così l'idea che risvegliano sarà precisa ed esatta, senza esser chiara, perchè quelle parole non esprimono la natura della cosa per noi, non sono cavate dalle qualità della cosa, come le parole originali di qualunque lingua, così che l'oggetto che esprimono, sebbene ci si possa per mezzo loro affacciare alla mente con precisione e determinazione, non lo potranno però con chiarezza: perchè le parole non derivanti immediatamente dalle qualità della cosa, o che almeno per l'assuefazione non ci paiano tali, non hanno forza di suscitare nella nostra mente un'idea sensibile della cosa, non hanno  952 forza di farci sentire la cosa in qualunque modo, ma solamente di darcela precisamente ad intendere, come si fa di quelle cose che non si possono formalmente esprimere. Che tale appunto è il caso degli oggetti significatici con parole del tutto straniere. Dal che è manifesto quanto danno riceva sì la chiarezza delle idee, come la bellezza e la forza del discorso, che consistono massimamente nella sua vita, e questa vita del discorso, consiste nella efficacia, vivacità, e sensibilità con cui esso ci fa concepire le cose di cui tratta. (17. Aprile 1821.).

[1226,1]  Con ciò non vengo mica a dire ch'ella debba, anzi {pur} possa adoperare, e molto meno profondere siffatte voci nella bella letteratura e massime nella poesia. Non v'è bontà dove non è convenienza. Alle scienze son buone e convengono le voci precise, alla bella letteratura le proprie. Ho già distinto in altro luogo pp. 109-11 p. 808 pp. 951-52 le parole dai termini, e mostrata la differenza che è dalla proprietà delle voci alla nudità e precisione. {+È proprio ufficio de' poeti e degli scrittori ameni il coprire quanto si possa le nudità delle cose, come è ufficio degli scienziati e de' filosofi il rivelarla. Quindi le parole precise convengono a questi, e sconvengono per lo più a quelli; a dirittura l'uno a l'altro. Allo scienziato le parole più convenienti sono le più precise, ed esprimenti un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più vaghe, ed esprimenti idee più incerte, o un maggior numero d'idee ec. Queste almeno gli denno esser le più care, e quelle altre che sono l'estremo opposto, le più odiose. V. p. 1234. capoverso 1. e p. 1312. capoverso 2.} Ho detto p. 110 e ripeto che i termini in letteratura e massime in poesia faranno sempre pessimo e bruttissimo effetto. Qui peccano {assai} gli stranieri, e non dobbiamo imitarli. Ho detto che la lingua francese (e intendo quella della letteratura e della poesia) si corrompe per la profusione de' termini, ossia delle voci di nudo e secco significato, perch'ella si compone oramai tutta quanta di termini, abbandonando e dimenticando le parole: che noi non dobbiamo mai nè  1227 dimenticare nè perdere {nè dismettere,} perchè perderemmo la letteratura e la poesia, riducendo tutti i generi di scrivere al genere matematico. Le dette voci ch'io raccomando alla lingua italiana, sono ottime e necessarie, non sono ignobili, ma non sono eleganti. La bella letteratura {+alla quale è debito quello che si chiama eleganza,} non le deve adoperare, se non come voci aliene, e come si adoprano talvolta le voci forestiere, notando ch'elle son tali, e come gli ottimi latini scrivevano alcune voci in greco, così per incidenza. I diversi stili domandano diverse parole, e come quello ch'è nobile per la prosa, è ignobile bene spesso per la poesia, così quello ch'è nobile ed ottimo per un genere di prosa, è ignobilissimo per un altro. I latini ai quali in prosa non era punto ignobile il dire p. e. tribunus militum o plebis, o centurio, o triumvir ec. non l'avrebbero mai detto in poesia, perchè queste parole d'un significato troppo nudo e preciso, non convengono al verso, benchè gli convengano le parole proprie, e benchè l'idea rappresentata sia non solo non ignobile, ma anche nobilissima. I termini della filosofia scolastica, riconosciuti dalla nostra lingua per purissimi, sarebbero stati barbari nell'antica {nostra} poesia, come nella moderna, ed anche nella prosa elegante, s'ella gli avesse adoperati come parole sue proprie.  1228 E se Dante le profuse nel suo poema, e così pur fecero altri poeti, e parecchi scrittori di prosa letteraria in quei tempi, ciò si condona alla mezza barbarie, o vogliamo dire alla civiltà bambina di quella letteratura e di que' secoli, ch'erano però purissimi quanto alla lingua. Ma altro è la purità, altro l'eleganza di una voce, e la sua convenienza, bellezza, e nobiltà, rispettiva alle diverse materie, o anche solo ai diversi stili: giacchè anche volendo trattar materie filosofiche in uno stile elegante, e in una bella prosa, ci converrebbe fuggir tali termini, perchè allora la natura dello stile domanda più l'eleganza e bellezza che la precisione, e questa va posposta. {+(Del resto in tal caso, la filosofia è l'uno de' principali pregi della letteratura e poesia, sì antica che moderna, atteso però quello che ho detto p. 1313. la quale vedi.)} Io dico che l'italia dee riconoscere i detti termini ec. per puri, cioè propri della sua lingua, come delle altre, ma non già per eleganti. La bella letteratura, e massime la poesia, non hanno che fare colla filosofia sottile, severa ed accurata; avendo per oggetto in bello, ch'è quanto dire il falso, perchè il vero (così volendo il tristo fato dell'uomo) non fu mai bello. Ora oggetto della filosofia qualunque, come di tutte le scienze, è il vero: e perciò dove regna la filosofia, quivi non è vera poesia. La qual cosa  1229 molti famosi stranieri o non la vedono, o adoprano (o si conducono) in modo come non la vedessero o non volessero vederla. E forse anche così porta la loro natura fatta piuttosto alle scienze che alle arti ec. Ma la poesia quanto è più filosofica, tanto meno è poesia. (26. Giugno 1821.). {{V. p. 1231.}}

[1234,1]  Alla p. 1226. marg. fine. L'analisi delle cose è la morte della bellezza o della grandezza loro, e la morte della poesia. Così l'analisi delle idee, il risolverle nelle loro parti ed elementi, e il presentare nude e isolate {e senza veruno accompagnamento d'idee concomitanti,} le dette parti o elementi d'idee. Questo appunto è ciò che fanno i termini, e qui consiste la differenza ch'è tra la precisione, e la proprietà delle voci. La massima parte delle voci filosofiche divenute comuni oggidì, e mancanti a tutti o quasi tutti gli antichi linguaggi, non esprimono veramente idee che mancassero assolutamente ai nostri antichi. Ma come è già stabilito dagl'ideologi  1235 che il progresso delle cognizioni umane consiste nel conoscere che un'idea ne contiene un'altra (così Locke, Tracy ec.), e questa un'altra ec.; {+nell'avvicinarsi sempre più agli elementi delle cose, e decomporre sempre più le nostre idee, per iscoprire e determinare le sostanze (dirò così) semplici e universali che le compongono (giacchè in qualsivoglia genere di cognizioni, {di operazioni meccaniche ancora ec.} gli elementi conosciuti, in tanto non sono universali, in quanto non sono perfettamente semplici e primi); (v. in questo proposito la p. 1287. fine.} così la massima parte di dette voci, non fa altro che esprimere idee già contenute nelle idee antiche, ma ora separate dalle altre parti delle idee {madri,} mediante l'analisi che il progresso dello spirito umano ha fatto naturalmente di queste idee madri, risolvendole nelle loro parti, elementari o no (che il giungere agli elementi delle idee è l'ultimo confine delle cognizioni); e distinguendo l'una parte dall'altra, con dare a ciascuna parte distinta il suo nome, e formarne un'idea separata, laddove gli antichi confondevano le dette parti, o idee suddivise (che per noi sono {oggi} altrettante distinte idee) in un'idea sola. Quindi la secchezza che risulta dall'uso de' termini, i quali ci destano un'idea quanto più si possa scompagnata, solitaria e circoscritta; laddove la bellezza del discorso e della poesia consiste nel destarci gruppi d'idee, e nel fare errare la nostra mente nella moltitudine delle concezioni, e nel loro vago, confuso, indeterminato, incircoscritto. Il che si ottiene colle parole proprie, ch'esprimono un'idea composta di molte parti, e legata  1236 con molte idee concomitanti; ma non si ottiene colle parole precise o co' termini (sieno filosofici, politici, diplomatici, spettanti alle scienze, manifatture, arti ec. ec.) i quali esprimono un'idea più semplice e nuda che si possa. Nudità e secchezza distruttrice e incompatibile colla poesia, e proporzionatamente, colla bella letteratura.

[1237,1]   1237 Nè solamente col progresso dello spirito umano si sono distinte e denominate le diverse parti componenti un'idea che gli antichi linguaggi denominavano con una voce complessiva di tutte esse parti, o idee contenute; ma anche si sono distinte e denominate con diverse voci non poche idee che per essere in qualche modo somiglianti, o analoghe ad altre idee, non si sapevano per l'addietro distinguer da queste, e si denotavano con una stessa voce, benchè fossero essenzialmente diverse e d'altra specie o genere. V. p. e. quello che ho detto p. 1199-200. circa il bello, e quello ch'essendo piacevole alla vista, non è però bello, nè appartiene alla sfera della bellezza, benchè ne' linguaggi comuni, si chiami bello, e l'intelletto volgare non lo distingua dal vero bello.

[1245,2]  3. Il moltissimo che la nostra lingua scritta, (giacchè della ricchezza e varietà di questa intendiamo parlare, e questa intendiamo paragonare colle straniere) ha preso dalla lingua parlata e popolare. Or come ciò, se io dico, che la principale, anzi necessaria fonte della ricchezza e perfezione di una lingua, sono gli scrittori, e questi, letterati? Ecco il come.

[1701,1]  Le idee concomitanti che ho detto pp. 109-111 esser destate dalle parole {anche} le più proprie, a differenza dei termini, sono 1. le infinite idee {ricordanze ec.} annesse a dette parole, derivanti dal loro uso giornaliero, e indipendenti affatto dalla loro particolare natura, ma legate all'assuefazione, e alle diversissime circostanze in cui quella parola si è udita o usata. S'io nomino una pianta o un animale col nome Linneano, invece del nome usuale, io non desto nessuna di queste idee, benchè dia chiaramente a conoscer la cosa. Queste idee sono spessissimo legate alla parola (che nella mente umana è inseparabile dalla cosa, è la sua immagine, il suo corpo, ancorchè la cosa sia materiale, anzi è un tutto con lei, e si può dir che la lingua riguardo alla mente di chi l'adopra, contenga non solo i segni delle cose, ma quasi le cose stesse)  1702 sono dico legate alla parola più che alla cosa, o legate a tutte due in modo che divisa la cosa dalla parola (giacchè la parola non si può staccar dalla cosa), la cosa non produce più le stesse idee. {+Divisa dalla parola, o dalle parole usuali ec. essa divien quasi straniera alla nostra vita. Una cosa espressa con un vocabolo tecnico non ha alcuna domestichezza con noi, {+non ci destano[desta] alcuna delle infinite ricordanze della vita, ec. ec.} nel modo che le cose ci riescono quasi nuove, {e nude} quando le vediamo espresse in una lingua straniera e nuova per noi: nè si arriva a gustare perfettamente una tal lingua, finchè non si penetra in tutte le minuzie e le piccole parti e idee contenute nelle parole del senso il più semplice.} 2. Le idee contenute nelle metafore. La massima parte di qualunque linguaggio umano è composto di metafore, perchè le radici sono pochissime, e il linguaggio si dilatò massimamente a forza di similitudini e di rapporti. Ma la massima parte di queste metafore, perduto il primitivo senso, son divenute così proprie, che la cosa ch'esprimono non può esprimersi, o meglio esprimersi diversamente. Infinite ancora di queste metafore non ebbero mai altro senso che il presente, eppur sono metafore, cioè con una piccola modificazione, si fece che una parola significante una cosa, modificata così ne significasse un'altra di qualche rapporto colla prima. Questo è il principal modo in cui son cresciute tutte le lingue. Ora sin tanto che l'etimologie di queste originariamente metafore, ma oggi, o anche da principio, parole effettivamente proprie, si ravvisano e sentono, il  1703 accade almeno nella maggior parte delle parole proprie di una lingua, l'idea ch'elle destano, è quasi doppia, benchè la parola sia proprissima, e di più esse producono nella mente, non la sola concezione ma l'immagine della cosa, ancorchè la più astratta, essendo anche queste in qualsivoglia lingua, sempre in ultima analisi espresse con metafore prese dal materiale e sensibile (più o men vivo, ed esprimente e adattato, secondo i caratteri delle lingue e delle nazioni ec.). Per esempio il nostro costringere che significa sforzare, serba ancora ben chiara la sua etimologia, e quindi l'immagine materiale da cui questa che in origine è metafora, derivò. ec. ec. Il complesso di tali immagini nella scrittura o nel parlare, massime nella poesia, dove più si attende all'intero valore di ciascuna parola, e con maggior disposizione a concepire {e notare} le immagini ch'elle contengono, ec. questo complesso, dico, forma la bellezza di una lingua, e la differente forza ec. sì delle lingue rispettivamente a loro, sì dei diversi stili ec. in una stessa lingua. Ma se p. e. la cosa espressa da costringere, l'esprimessimo  1704 con una parola presa da lingua straniera, e la cui origine ed etimologia non si sapesse generalmente, o certo non si sentisse, ella, quando fosse ben intesa, desterebbe bensì l'idea della cosa, ma nessuna immagine, neppur {quasi} della stessa cosa, benchè materiale. Così accade in tutte le parole derivate dal greco, delle quali abbondano le nostre lingue, e massime le nostre nomenclature. Esse, quando siano usuali, e quotidiane, come filosofo ec. possono appartenere alla classe che ho notate[notata] nel primo luogo, ma non mai a questa seconda. Esse e le altre simili prese da qualsivoglia lingua, e non proprie della nostra rispettiva, saranno sempre, come altrove ho detto pp. 109-111 pp. 951-52, parole tecniche, e di significato nudo ec. Similmente le parole moderne, che o si derivano da parole già stanziate nella nostra lingua, ma d'etimologia pellegrina, o si derivano da parole anche proprie della lingua; essendo per lo più, stante la natura del tempo, assai più lontane dal materiale e sensibile che non sono le antiche, e di un carattere più spirituale, sono quindi ordinariamente termini e non parole, non destando verun'  1705 immagine concomitante, nè avendo nulla di vivo. ec. Tali sono i termini de' quali altrove ho detto pp. 109-110 p. 1226,1 che abbonda la lingua francese, massime la moderna, e ciò non solo per natura del tempo, ma anche per la natura di essa lingua, e del suo carattere e forma.

[1917,2]  Moltissime volte o l'eleganza o la nobiltà (quanto alla lingua) deriva  1918 dall'uso metaforico delle parole o frasi, quando anche, come spessissimo e necessariamente accade, il metaforico appena o punto si ravvisi. Moltissime volte per lo contrario deriva dalla proprietà delle stesse parole o frasi, quando elle non sono usitate nel senso proprio, o quando non sono comunemente usitate in nessun modo, o essendo usitate nella prosa non lo sono nella poesia, o viceversa, o in un genere di scrittura sì, in altra no, ec. (La precisione sola non può mai produrre nè eleganza nè nobiltà, nè altro che precisione e angolosità di stile.). {{V. p. 1925. fine.}}

[2012,2]  Non bisogna confondere la purità {della lingua} la quale è di debito in tutte le scritture di qualunque nazione, coll'eleganza, la quale non è di debito se non in alcune  2013 scritture, ed in altre non solo non necessaria ma impossibile; nè perchè la lingua italiana è capacissima di eleganza, e perchè ne sentiamo un grandissimo sapore nella più parte de' nostri buoni scrittori, credere che gli scritti didascalici ec. se e dove non ci riescono eleganti, non sieno italiani. Torno a dire che la precisione moderna ch'è estrema, e che in tali scritti e generi è di prima necessità, e che oggi si ricerca sopra tutte le qualità ec. è assolutamente di sua natura incompatibile colla eleganza: ed infatti il nostro secolo che è quello della precisione, non è certo quello della eleganza in nessun genere. Bensì ell'è compatibilissima colla purità, come si può vedere in Galileo, che dovunque è preciso e matematico quivi non è mai elegante, ma sempre purissimo italiano. Perocchè la nostra lingua, come qualunque altra è incapace di uno stile  2014 che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente, ma è capacissima dello stile preciso, non meno che dell'elegante, a somiglianza della greca, e al contrario della francese, ch'essendo capacissima di precisione è incapace di eleganza (quella che noi, i latini i greci intendevano per eleganza), e della latina, capacissima di eleganza e incapace di precisione, e però corrotta appena fu applicata alle sottigliezze teologiche, scolastiche ec. (fra le quali fu allevata per lo contrario la nostra, e crebbe la greca) ed anche a quelle della filosofia greca, dopo Cicerone; e quindi affatto inadattabile alle cose moderne, ed alle traduzioni di cose moderne. (30. Ott. 1821.)

[2468,1]  Nelle annotazioni alle mie Canzoni (Canzone 6. stanza 3. verso 1) ho detto e mostrato che la metafora raddoppia o moltiplica l'idea rappresentata dal vocabolo. Questa è una delle principali cagioni per cui la metafora è una figura così bella, così poetica, e annoverata da tutti i maestri fra le parti e gl'istrumenti principalissimi dello stile poetico, o anche prosaico ornato e sublime ec. Voglio dire ch'ella è così piacevole perchè rappresenta più idee in un tempo stesso (al contrario dei termini). E però ancora si raccomanda al poeta (ed è effetto e segno notabilissimo della sua vena ed entusiasmo e natura poetica, e facoltà inventrice e creatrice) la novità delle metafore. Perchè grandissima, anzi infinita parte del nostro discorso è metaforica, e non perciò quelle metafore di cui ordinariamente si compone risvegliano più d'una semplice idea.  2469 Giacchè l'idea primitiva significata propriamente da quei vocaboli traslati è mangiata a lungo andare dal significato metaforico il quale solo rimane, come ho pur detto l. c. E ciò quando anche la stessa parola non abbia perduto affatto, anzi punto, il suo suo significato proprio, ma lo conservi e lo porti a suo tempo. P. e. accendere ha tuttavia la forza sua propria. Ma s'io dico accender l'animo, l'ira ec. che sono metafore, l'idea che risvegliano è una, cioè la metaforica, perchè il lungo uso ha fatto che in queste tali metafore non si senta più il significato proprio di accendere, ma solo il traslato. E così queste tali voci vengono ad aver più significazioni quasi al tutto separate l'una dall'altra, quasi affatto semplici, e che tutte si possono {omai} chiamare ugualmente proprie. Il che non può accadere nelle metafore nuove, nelle quali la moltiplicità delle idee resta, e si sente tutto il diletto della metafora: massime s'ell'è ardita, cioè se non è presa sì da vicino che le idee, benchè diverse,  2470 pur quasi si confondano insieme, e la mente del lettore o uditore non sia obbligata a nessun'azione ed energia più che ordinaria per trovare e vedere in un tratto la relazione il legame l'affinità la corrispondenza d'esse idee, e per correr velocemente e come in un punto solo dall'una all'altra; in che consiste il piacere della loro moltiplicità. Siccome per lo contrario le metafore troppo lontane stancano, o il lettore non arriva ad abbracciare lo spazio che è tra l'una e l'altra idea rappresentata dalla metafora; o non ci arriva in un punto, ma dopo un certo tempo; e così la moltiplicità simultanea delle idee, nel che consiste il piacere, non ha più luogo. (10. Giugno 1822.). {{V. p. 2663.}}