26. Giugno 1821.
[1213,1] Da qualche tempo tutte le lingue colte di europa hanno
un buon numero di voci comuni, massime in politica e in filosofia, ed intendo
anche quella filosofia che entra tuttogiorno nella conversazone, fino nella
conversazione o nel discorso meno colto, meno studiato, meno artifiziato. Non
parlo poi delle voci pertinenti alle scienze, dove quasi tutta l'europa
conviene. Ma una grandissima parte di quelle parole che esprimono cose più
sottili, e dirò così, più spirituali di quelle che potevano arrivare ad
esprimere le lingue antiche e le nostre medesime ne' passati secoli; ovvero
esprimono le stesse cose espresse in dette lingue, ma più sottilmente e
finamente, secondo il progresso e la raffinatezza delle cognizioni e della
metafisica e della scienza dell'uomo in questi ultimi tempi; {+e in somma tutte o quasi tutte quelle
parole ch'esprimono precisamente un'idea al tempo stesso sottile, e chiara o
almeno perfetta ed intera;} grandissima parte, dico, di queste voci,
sono le stesse in tutte le lingue colte d'europa, eccetto piccole
modificazioni particolari, per lo più nella desinenza. Così che vengono a
formare una specie di piccola lingua, o un vocabolario, strettamente universale.
E dico strettamente universale, cioè non come è universale la lingua francese,
ch'è lingua secondaria
1214 di tutto il mondo civile.
Ma questo vocabolario ch'io dico, è parte della lingua primaria e propria di
tutte le nazioni, e serve all'uso quotidiano di tutte le lingue, e degli
scrittori e parlatori di tutta l'europa colta. Ora la
massima parte di questo vocabolario {universale} manca
affatto alla lingua italiana accettata e riconosciuta per classica e pura; e
quello ch'è puro in tutta l'europa, è impuro in italia. Questo
è voler veramente e consigliatamente {metter} l'italia fuori
di questo mondo e fuori di questo secolo. Tutto il mondo civile facendo oggi
quasi una sola nazione, è naturale che le voci più importanti, ed esprimenti le
cose che appartengono all'intima natura universale, sieno comuni, ed uniformi da
per tutto, come è comune ed uniforme una lingua che tutta l'europa adopera oggi più
universalmente e frequentemente che mai in altro tempo, appunto per la detta
ragione, cioè la lingua francese. E siccome le scienze sono state sempre uguali
dappertutto (a differenza della letteratura), perciò la repubblica scientifica
diffusa per tutta l'europa ha sempre avuto una nomenclatura universale ed uniforme nelle
lingue le più difformi, ed intesa da per tutto egualmente. Così sono oggi uguali
(per necessità e per natura del tempo) le cognizioni metafisiche, filosofiche,
politiche ec. la cui massa e il cui sistema semplicizzato e uniformato, è comune
oggi
1215 più o meno a tutto il mondo civile; naturale
conseguenza dell'andamento del secolo. Quindi è ben congruente, e conforme alla
natura delle cose, che almeno la massima parte del vocabolario che serve a
trattarle ed esprimerle, sia uniforme generalmente, tendendo oggi tutto il mondo
a uniformarsi. E le lingue sono sempre il termometro de' costumi, delle opinioni
ec. delle nazioni e de' tempi, e seguono per natura l'andamento di questi.
[1215,1] Diranno che buona parte del detto vocabolario deriva
dalla lingua francese, e ciò stante la somma influenza di quella lingua e
letteratura nelle lingue e letterature moderne, cagionata da quello che ho detto
altrove [pp. 1029-30]. Ma venisse ancora dalla lingua
tartara, siccome l'uso decide della purità e bontà delle parole e dei modi, io
credo che quello ch'è buono e conveniente per tutte le lingue d'europa, debba
esserlo (massime in un secolo della qualità che ho detto) anche per l'italia, che
sta pure nel mezzo d'europa, e non è già la Nuova
Olanda, nè la Terra di Jesso. E se
hanno accettate, ed usano continuamente le dette voci, quelle lingue Europee che
non hanno punto che fare colla francese, quanto più dovrà farlo, e più
facilmente, e con più naturalezza e vantaggio la nostra lingua, ch'è sorella
carnale della francese? Le origini di dette parole, a noi
1216 riescono familiari e domestiche, perchè in gran parte derivano
dal latino, benchè applicate ad altre significazioni che non avevano, nè
potevano aver nel latino, mancando i latini di quelle idee. Spessissimo vengono
dal greco, {+che a noi non è più, anzi
meno alieno, di quello che sia alle altre lingue colte moderne.}
Spesso sono interamente italiane cioè stanno già materialmente nel nostro
linguaggio, benchè in significato diverso, e meno sottile, o meno preciso,
perchè i nostri antichi non poterono aver quelle idee, che oggi abbiamo noi, non
perciò meno italiani di loro, nè quelle idee sono meno italiane perchè i nostri
antichi non le arrivarono a concepire, o solo confusamente, secondo la natura
de' tempi, e lo stato dello spirito umano. {+Si condannino (come e quanto ragion vuole) e si chiamino
barbari i gallicismi, ma non (se così posso dire) gli europeismi, che non fu
mai barbaro quello che fu proprio di tutto il mondo civile, e proprio per
ragione appunto della civiltà, come l'uso di queste voci che deriva dalla
stessa civiltà e dalla stessa scienza d'europa.}
[1216,1] Osservate p. e. le parole genio, sentimentale, dispotismo, {analisi, analizzare, demagogo,
fanatismo, originalità ec.} e tante simili che tutto il mondo intende,
tutto il mondo adopera in una stessa e precisa significazione, e il solo
italiano non può adoperare (o non può in quel significato), perchè? perchè i
puristi le scartano, e perchè i nostri antichi, non potendo aver quelle idee,
non poterono pronunziare nè scrivere quelle parole in quei sensi. Ma così accade
in ordine alle stesse parole, a tutte le lingue del mondo che pur non hanno
scrupolo di adoperarle. Piuttosto avrebbero scrupolo e vergogna di non saper
esprimere un'idea chiara {per loro,} e chiara per tutto
1217 il mondo civile, {mentre} per la espressione delle idee chiare son fatte e inventate e
perfezionate le lingue. Come infatti noi, non volendo usar queste parole, non
possiamo esprimere le idee chiare che rappresentano, o dobbiamo esprimere delle
idee chiare e precise {(e ciò nella stessa mente
nostra),} confusamente e indeterminatamente: e poi diciamo che
l'italiano è copiosissimo, e basta a tutto, ed avanza. Sicchè bisogna tacere, o
scriver cose da bisavoli, e poi lagnarsi che l'italiana {letteratura e filosofia} resta un secolo {e
mezzo} addietro a tutte le altre. E come no, senza la lingua?
[1217,1] Aggiungo che quando anche potessimo ritrovare nel
nostro Vocabolario o nella nostra lingua, o
formare da essa lingua altre parole che esprimessero le stesse idee, bene spesso
faremmo male ad usarle perchè non saremmo intesi nè dagli stranieri, nè dagli
stessi italiani, e quell'idea che desteremmo non sarebbe nè potrebbe mai esser
precisa; {e non otterremmo l'effetto dovuto e preciso di tali
parole, che è quanto dire, le useremmo invano, o quasi come puri
suoni.}
[1217,2] 1. Fu tempo dove agli uomini ed agli scrittori
bastava di giovare, di farsi intendere, di rendersi famosi dentro i limiti della
propria nazione. Ma oggi, nello stato d'europa che ho detto di
sopra, non acquista fama nè grande nè durevole quello scrittore il cui nome e i
cui scritti non passano i termini del
1218 proprio
paese. Nè in questa presente condizione di cose può molto e immortalmente
giovare alla sua patria chi non viene almeno indirettamente a giovare più o meno
anche al resto del mondo civile. Nel rimanente quella gloria o quel nome che fu
ristretto a una sola nazione fu sempre, ed anche anticamente poco durevole,
{nella stessa nazione ancora.} Fra mille esempi,
basti nominare i Bardi; {molti de'} quali si sa
confusamente e genericamente che furono famosissimi nelle loro nazioni, ed oggi
{p. e.} nella Scozia appena resta il nome
e la memoria oscura di pochissimi degli stessi antichi Bardi Scozzesi. Quello
che dico degli scrittori, dico anche degli altri generi di persone famose ec. ma
degli scrittori in maggior grado, perchè i fatti degli uomini poco durano, e
poco si possono stendere ma le voci e i pensieri loro consegnati agli scritti,
sopravvivono lunghissimo tempo, e possono giovare a tutta l'umanità; nè lo
scrittore, massimamente in questo presente stato del mondo, si deve contentare
della utilità della sua sola patria, potendo con quel medesimo che impiega per
lei, proccurare il vantaggio di tutte le altre nazioni.
[1218,1] 2. Ho detto che difficilmente ci faremmo intendere,
e susciteremmo precisamente l'idea che vorremmo significare, e che è
precisamente espressa dalle parole
1219 corrispondenti
già usitate in europa. La filosofia (con tutti quanti i diversissimi suoi rami) è
scienza. Tutte le scienze giunte ad un certo grado di formazione e di stabilità
hanno sempre avuto i loro termini, ossia la loro propria nomenclatura, e così
propria, che volendola cambiare, si sarebbe cambiato faccia a quella tale
scienza. Com'è avvenuto che la rinnovazione della Chimica, ha portato la
rinnovazione della sua nomenclatura, e di tutta quella parte di nomenclatura
fisica o d'altre scienze, che apparteneva, o era influita dalle cognizioni
Chimiche vecchie o nuove. {+E la
nomenclatura di qualunque scienza è stata sempre così legata con lei, che
dovunque ell'è entrata, v'è anche entrata quella stessa nomenclatura,
comunque e dovunque formata, e comunque pur fosse inesatta nell'etimologie
ec. purchè fosse esatta nell'intendimento e nel senso che le si attribuiva.
La Chimica ha nuova nomenclatura, perch'è scienza nuova e diversa
dall'antica. E così accade alle altre scienze quando si rinnuovano {o in tutto o in parte.} Perdono l'antica
nomenclatura, e ne acquistano altra, che diviene però universale come la
prima. E quando fra diverse e lontane nazioni poco note o strette fra loro,
trovate differenza di nomenclatura in una medesima scienza, certo è che
quella scienza è diversa notabilmente nelle rispettive nazioni e lingue.
V. p. 1229.} Quindi i
termini di tutte le scienze, esatte o no, ma alquanto stabilite sono stati
sempre universali, nè sarebbe mai possibile nel trattarle, l'adoperare altri
termini da quelli universalmente conosciuti, intesi e adoperati, senza nuocere
sommamente alla chiarezza, e toglier via la precisione. La qual precisione non
deriva propriamente e principalmente da altro se non dalla convenzione che
applica a quella parola quel preciso significato, bene spesso metaforico, ma
passato in proprissimo. Mutando la parola, è tolta via la forza della
convenzione, e quindi, benchè la nuova parola equivalga quanto alla sua origine,
alla sua proprietà intrinseca ec. non equivale quanto all'effetto, perchè il
1220 lettore o uditore non concepisce più quell'idea
precisa e netta che concepiva mediante la parola usitata, la qual era aiutata
dalla convenzione, o sia dall'assuefazione di attribuirgli e d'intenderla in
quel preciso significato. Converrebbe rinnovare appoco appoco l'assuefazione,
applicandola a queste nuove parole, il che porterebbe necessariamente un lungo
intervallo di oscurità e confusione nella intelligenza degli scrittori, finchè
la nuova nomenclatura non arrivasse a prendere nella mente nostra in tutto e per
tutto il posto dell'usitata, e a farvi, per così dire, quel letto che questa vi
aveva già fatto. Nè questo sarebbe il solo danno, {o
difficoltà;} ma converrebbe che questa nuova nomenclatura diventasse
universale, altrimenti restringendosi a una sola nazione o lingua, ne
seguirebbero i danni che ho specificati all'articolo 1. e le nazioni non
s'intenderebbero fra loro nelle idee che denno essere da per tutto egualmente
precise, e precisamente intese. E se una sola fosse la nazione che in qualunque
scienza avesse una nomenclatura diversa dalle altre nazioni, quella nazione in
ordine a quella scienza sarebbe come fuori del mondo e del secolo, tanto per
l'effetto de' suoi scrittori sugli stranieri, quanto (ch'è peggio) per l'effetto
degli scrittori stranieri su di lei.
1221 Posto poi il
caso ch'ella arrivasse a rendere quella nomenclatura universale, ognun vede che
siamo da capo colla quistione, {+e che la
universalità resterebbe, e solo avrebbe fatto passaggio inutilmente (e con
danno temporaneo) da una ad altra nomenclatura:} ed allora io dico che
sarebbe pazzo quello scrittore o quel paese che non vi si volesse
uniformare.
[1221,1] La filosofia dunque ha i suoi termini come tutte le
altre scienze. E siccome l'odierna filosofia è così 1. raffinata, 2. dilatata
nelle sue parti e influenza, così che si può dire che tutta la vita umana oggi è
filosofica, o almeno è tutta soggetta alle speculazioni della filosofia; perciò
accade che i termini filosofici sieno moltissimi, e cadano spessissimo nel
discorso familiare, e regnino in grandissima parte delle cognizioni, delle
discipline, degli scritti presenti. E perchè questi termini, come ho detto, sono
in gran parte uniformi per tutta europa, perciò oggi il
linguaggio di tutta europa nelle espressione[espressioni]
delle idee sottili o sottilmente considerate, è presso a poco uniforme, anche
nella conversazione.
[1221,2] Ed è ben ragionevole che la filosofia divenuta
scienza così profonda, sottile, accurata, {+ed appresso a poco uniforme e concorde da per tutto (a
differenza delle antiche filosofie), e, quel ch'è notabilissimo nel nostro
proposito, sempre più chiara e certa nelle sue nozioni, e
determinata,} abbia
1222 i suoi termini
stabili e universalmente uniformi, massime in tanta uniformità, e stretto
commercio d'europa: quando anche le vecchie, informi
{{ed oscure,
incerte, mal determinate,}} e sciocche filosofie che s'insegnavano
nelle scuole, ebbero la loro nomenclatura stabile e universale, fuor di cui non
sarebbero state intese in nessuna parte d'europa, {benchè tanto meno uniforme ed unita fra se.} Di questi termini
dell'antica filosofia, di questi termini scolastici universalmente adoperati ne'
bassi tempi e fino agli ultimi secoli, abbonda la lingua italiana. E perchè
ebbero la fortuna d'essere usati da' nostri vecchi, perciò questi termini,
quantunque derivati da barbare origini, e appartenenti a scienze che non erano
scienze, si chiamano purissimi in italia; e i termini
dell'odierna filosofia, derivati dalla massima civiltà d'europa, appartenenti alla
prima delle scienze, e questa condotta a sì alto grado, si chiamano impurissimi,
perchè ignoti agli antichi; quasi che a noi toccasse il venerare e il
conservare, e non lo scusare per l'una parte, per l'altra discacciare
l'ignoranza antica. E che l'ignoranza de' passati dovesse esser la misura e la
norma del sapere dei presenti.
[1223,1]
1223 Se dunque l'odierna filosofia, quella filosofia
che abbraccia per così dire tutto questo secolo, tutte le cose e tutte le
cognizioni presenti, ha e deve avere i suoi termini costanti, ed uniformi in
qualunque luogo ella è trattata, noi dobbiamo adottarli ed usarli, e conformarci
a quelli che tutto il mondo usa. E non è più tempo di cambiarli, e formarci una
nomenclatura filosofica italiana, cioè cavata tutta dalle fonti della nostra
lingua. Questo avrebbe potuto essere, se la massima parte dell'odierna filosofia
fosse derivata dall'italia. Ed allora le altre nazioni, senza veruna ripugnanza
avrebbe[avrebbero] usata nella filosofia, la
nomenclatura fabbricata in italia. Ma avendo lasciato
far tutto agli stranieri, ed arrivar questa scienza a sì alto grado senza quasi
nessuna opera nostra, o dobbiamo seguitare a noncurarla, ignorarla, e non
trattarla; o volendo trattarla ci conviene adottare quella nomenclatura che
troviamo già stabilita e generalmente intesa, fuor della quale non saremmo bene
intesi nè dagli stranieri nè da' nostri medesimi, come apparisce dalle
sopraddette ragioni. Alle quali aggiungo come corollario, dimostrato dal fatto,
che tutte quelle parole che
1224 hanno espressa
precisamente e sottilmente un'idea sottile e precisa, di qualunque genere, e in
qualunque ramo delle cognizioni, sono state o sempre o quasi sempre universali,
ed usate in qualsivoglia lingua da tutti quelli che hanno concepita e voluta
significare quella stessa idea strettamente. {+E quella tale idea è passata dal primo individuo che la
concepì chiaramente, agli altri individui, e alle altre nazioni, non
altrimenti che in compagnia di quella tal parola.} Appunto perchè
questa fina precisione di significato, non deriva nè può derivare se non da una
stretta {e appositissima} convenzione, difficilissima a
rinnovare, e a moltiplicare secondo le lingue.
[1224,1] Per tutte queste ragioni, sarebbe opera degna di
questo secolo, ed utilissima alle lingue non meno che alla filosofia, un
Vocabolario universale Europeo che comprendesse quelle parole significanti
precisamente un'idea chiara, sottile, e precisa, che sono comuni a tutte o alla
maggior parte delle moderne lingue colte. E massimamente quelle parole che
appartengono a {tutto} quello che oggi s'intende sotto
il nome di filosofia, ed a tutte le cognizioni ch'ella abbraccia. Giacchè le
scienze materiali, o le scienze esatte non hanno tanto bisogno di questo
servigio, essendo bastantemente riconosciute {e fisse}
le loro nomenclature, e le idee che queste significano non essendo così facili
1225 o a sfuggire, o ad oscurarsi e confondersi e
divenire incerte e indeterminate, come quelle della filosofia. Dovrebbe chi
prendesse questo assunto definire e circoscrivere colla possibile diligenza il
significato preciso di tali parole o termini, e recarne dalle diverse lingue
dov'elle sono in uso, esempi giudiziosamente scelti di scrittori veramente
accurati e filosofi, e massime quegli esempi dov'è contenuta una definizione
filosofica dell'idea significata dalla parola; esempi che non sarebbero
difficili a trovarsi in tanta copia di scrittori profondissimi e sottilissimi e
acutissimi di questo e del passato secolo, e anche del precedente. In maniera
simile si contenne Samuele Johnson nel
Dizionario della lingua inglese, lingua
{{che sa}} veramente {esser} filosofica, ed abbonda di scrittori di tal genere. {+Se il compilatore di tal Dizionario fosse
italiano, ci renderebbe anche gran servigio, ponendovi gli esempi de'
migliori italiani che hanno trattato simili materie; e in caso che si
trovassero voci italiane perfettamente corrispondenti, sia nel Vocabolario nostro sia ne' nostri buoni
scrittori qualunque, sia nell'uso, farebbe utilissima cosa, ponendole a
fronte ec. con che verrebbe a fare un Vocabolario italiano filosofico; cosa
veramente da sospirarsi, e per conoscere e per mostrare e per usare le
nostre ricchezze, se ne abbiamo.}
[1225,1] Questo Vocabolario che sarebbe utilissimo a tutta
l'europa,
lo sarebbe massimamente all'italia, la quale dovrebbe
vedere quanta copia di parole che tutta l'europa pronunzia e scrive,
e riconosce per necessarie, ella disprezzi e proscriva, senz'averne alcuna da
surrogar loro. E la {lingua} italiana dovrebbe adottare
le dette voci senza timore di corrompersi più di quello che si sieno corrotte
coll'adottarle,
1226 tutte le altre lingue Europee. E
{non} dovrebbe volere, anzi vergognarsi, che un tal
vocabolario essendo Europeo, non fosse italiano quasi che l'italiano non fosse
Europeo, nè di questo secolo ec. E dovrebbe riconoscerle per voci nobilissime,
perchè inseparabilmente spettanti e legate alla più nobile delle scienze {umane} ch'è la filosofia. {{V. p. 1231.
fine.}}
[1226,1] Con ciò non vengo mica a dire ch'ella debba, anzi
{pur} possa adoperare, e molto meno profondere
siffatte voci nella bella letteratura e massime nella poesia. Non v'è bontà dove
non è convenienza. Alle scienze son buone e convengono le voci precise, alla
bella letteratura le proprie. Ho già distinto in altro luogo [pp. 109-11]
[p. 808]
[pp. 951-52] le parole dai termini, e mostrata la differenza che è
dalla proprietà delle voci alla nudità e precisione. {+È proprio ufficio de' poeti e degli scrittori ameni il
coprire quanto si possa le nudità delle cose, come è ufficio degli
scienziati e de' filosofi il rivelarla. Quindi le parole precise convengono
a questi, e sconvengono per lo più a quelli; a dirittura l'uno a l'altro.
Allo scienziato le parole più convenienti sono le più precise, ed esprimenti
un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più
vaghe, ed esprimenti idee più incerte, o un maggior numero d'idee ec. Queste
almeno gli denno esser le più care, e quelle altre che sono l'estremo
opposto, le più odiose. V. p. 1234.
capoverso 1. e p. 1312.
capoverso 2.} Ho detto [p. 110] e ripeto che
i termini in letteratura e massime in poesia faranno sempre pessimo e
bruttissimo effetto. Qui peccano {assai} gli stranieri,
e non dobbiamo imitarli. Ho detto che la lingua francese (e intendo quella della
letteratura e della poesia) si corrompe per la profusione de' termini, ossia
delle voci di nudo e secco significato, perch'ella si compone oramai tutta
quanta di termini, abbandonando e dimenticando le parole: che noi non dobbiamo
mai nè
1227 dimenticare nè perdere {nè dismettere,} perchè perderemmo la letteratura e la poesia,
riducendo tutti i generi di scrivere al genere matematico. Le dette voci ch'io
raccomando alla lingua italiana, sono ottime e necessarie, non sono ignobili, ma
non sono eleganti. La bella letteratura {+alla quale è debito quello che si chiama eleganza,} non le deve
adoperare, se non come voci aliene, e come si adoprano talvolta le voci
forestiere, notando ch'elle son tali, e come gli ottimi latini scrivevano alcune
voci in greco, così per incidenza. I diversi stili domandano diverse parole, e
come quello ch'è nobile per la prosa, è ignobile bene spesso per la poesia, così
quello ch'è nobile ed ottimo per un genere di prosa, è ignobilissimo per un
altro. I latini ai quali in prosa non era punto ignobile il dire p. e. tribunus militum o plebis, o
centurio, o triumvir ec.
non l'avrebbero mai detto in poesia, perchè queste parole d'un significato
troppo nudo e preciso, non convengono al verso, benchè gli convengano le parole
proprie, e benchè l'idea rappresentata sia non solo non ignobile, ma anche
nobilissima. I termini della filosofia scolastica, riconosciuti dalla nostra
lingua per purissimi, sarebbero stati barbari nell'antica {nostra} poesia, come nella moderna, ed anche nella prosa elegante,
s'ella gli avesse adoperati come parole sue proprie.
1228 E se Dante le profuse nel suo poema,
e così pur fecero altri poeti, e parecchi scrittori di prosa letteraria in quei
tempi, ciò si condona alla mezza barbarie, o vogliamo dire alla civiltà bambina
di quella letteratura e di que' secoli, ch'erano però purissimi quanto alla
lingua. Ma altro è la purità, altro l'eleganza di una voce, e la sua
convenienza, bellezza, e nobiltà, rispettiva alle diverse materie, o anche solo
ai diversi stili: giacchè anche volendo trattar materie filosofiche in uno stile
elegante, e in una bella prosa, ci converrebbe fuggir tali termini, perchè
allora la natura dello stile domanda più l'eleganza e bellezza che la
precisione, e questa va posposta. {+(Del
resto in tal caso, la filosofia è l'uno de' principali pregi della
letteratura e poesia, sì antica che moderna, atteso però quello che ho detto
p. 1313. la quale
vedi.)} Io dico che l'italia dee riconoscere i
detti termini ec. per puri, cioè propri della sua lingua, come delle altre, ma
non già per eleganti. La bella letteratura, e massime la poesia, non hanno che
fare colla filosofia sottile, severa ed accurata; avendo per oggetto in bello,
ch'è quanto dire il falso, perchè il vero (così volendo il tristo fato
dell'uomo) non fu mai bello. Ora oggetto della filosofia qualunque, come di
tutte le scienze, è il vero: e perciò dove regna la filosofia, quivi non è vera
poesia. La qual cosa
1229 molti famosi stranieri o non
la vedono, o adoprano (o si conducono) in modo come non la vedessero o non
volessero vederla. E forse anche così porta la loro natura fatta piuttosto alle
scienze che alle arti ec. Ma la poesia quanto è più filosofica, tanto meno è
poesia. (26. Giugno 1821.). {{V. p. 1231.}}