Ragione. Sua impotenza rispetto alle nostre azioni.
Reason. Its powerlessness regarding our actions.
1651,1 1727,2 1816,2 3518,1 3613,1Ragione. È facoltà acquisita, non innata.
Reason. Is an acquired, not innnate, faculty.
1680,1Ragione. Non è impotente in se; ma fa l'uomo impotente, piccolo ec.
Reason. Is not powerless in itself, but makes man powerless, small, etc.
2941,1Ragione. Nocevole e contraria allo stato sociale.
Reason. Harmful and contrary to the social state.
3896,4[1651,1] Qual cosa è più potente nell'uomo, la natura o la
ragione? Il filosofo non vive mai nè pensa giornalmente, e intorno a ciò che lo
riguarda, {nè vive con se stesso (se anche vivesse cogli altri)} da
vero filosofo; nè il religioso da vero e perfetto religioso. Non v'è uomo così
certo della malizia delle donne ec. che non senta un'impressione dilettevole, e
una vana speranza all'aspetto di una beltà che gli usi qualche piacevolezza.
(Meno impressione, e forse anche niuna, potrà provarne chi vi sia troppo
avvezzo, e questo sarà principalmente il caso dell'uomo di mondo, la cui anima
allora si porterà più filosoficamente assai di quella del maggior filosofo, non
già per forza di ragione, ma di natura che ha dato all'assuefazione la proprietà
d'illanguidire e anche distruggere le sensazioni. Massime se il filosofo non vi
sarà assuefatto. Tanto più egli sarà soggetto a peccare o coll'opera o col
pensiero contro i principii suoi.) Egli è sempre {più o
meno} soggetto a ricadere in tutte le stravagantissime illusioni dell'amore, ch'egli ha
conosciuto {e sperimentato} impossibile, immaginario,
vano. Non v'è uomo così profondamente persuaso della nullità delle
1652 cose, della certa e inevitabile miseria umana, il
cui cuore non si apra all'allegrezza anche la più viva, (e tanto più viva quanto
più vana) alle speranze le più dolci, ai sogni ancora i più frivoli, se la
fortuna gli sorride un momento, o anche al solo aspetto di una festa, di una
gioia della quale altri si degni di metterlo a parte. Anzi basta un vero nulla
per far credere {immediatamente} al più profondo e
sperimentato filosofo, che il mondo sia qualche cosa. Basta una parola, uno
sguardo, un gesto di buona grazia o di complimento che una persona anche di poca
importanza faccia all'uomo il più immerso nella disperazione della felicità, e
nella considerazione di essa, per riconciliarlo colle speranze, e cogli errori.
Non parlo del vigore del corpo, non parlo del vino, al cui potere cede e
sparisce la più radicata e invecchiata filosofia. {+Lascio ancora le passioni, che se non altro, ne' loro accessi si ridono
del più lungo e profondo abito filosofico.} Un menomo bene
inaspettato, un nuovo male ancora che sopraggiunga, ancorchè piccolissimo, basta
a persuadere il filosofo che la vita umana non è un niente. V. Corinne t. 2. liv.
14. ch. 1. pag. ult. cioè 341. {+Ciò che dico del filosofo, dico pure del religioso, non
ostante che la religione, tenendo dell'illusione e quindi della natura,
abbia tanta più forza effettiva
nell'uomo.}
(8. Sett. dì della natività di Maria SS. 1821.)
[1727,2] L'uomo il più certo della malizia degli uomini, si
riconcilia col genere umano, e ne pensa alquanto meglio, se anche
momentaneamente ne riceve qualche buon trattamento, sia pur di pochissimo
rilievo. L'individuo da te più conosciuto per malvagio, se ti usa distinzioni e
cortesie che lusinghino il tuo amor proprio, divien subito qualche cosa di meno
male nella tua fantasia. Molto più la donna coll'uomo, o l'uomo (anche il più
brutto, anche quello di cui s'ha peggiore idea, anzi pure avversione
particolare) colla donna: e però è massima, specialmente degli uomini, che
1728 per qualunque ripulsa, idea, opinione, ostacolo,
costume, non si dee mai disperare di venire a capo di una donna. Si potrebbe
parimente dire in genere, che l'uomo non dee mai disperare di venire a capo di
qualunque persona. Ecco quanta è la gran forza della ragione nell'uomo!
(18. Sett. 1821.).
[1816,2] Forza della natura, e debolezza della ragione. Ho
detto altrove pp. 293-94
pp.
329-30 che l'opinione per influire vivamente sull'uomo, deve aver
l'aspetto di passione. Finchè l'uomo conserva qualcosa di naturale, egli {è} più appassionato dell'opinione che delle passioni
sue. Infiniti esempi e considerazioni se ne potrebbero addurre in prova. Ma
siccome tutte quelle opinioni che non sono o non hanno l'aspetto di pregiudizi,
non sono sostenute che dalla pura ragione, perciò elle sono ordinariamente
impotentissime nell'uomo. I religiosi (anche oggi, e forse oggi più che mai, a causa della contrarietà che
incontrano) sono più appassionati della loro religione che delle altre
passioni loro (di cui la religione è nemica), odiano sinceramente
gl'irreligiosi, (benchè se lo nascondano) e per veder trionfare il loro sistema
farebbero qualunque
1817 sacrifizio (come ne fanno
realmente sacrificando le inclinazioni naturali e contrarie), mentre provano
verissima rabbia nel vederlo depresso e contrastato. Ma gl'irreligiosi, quando
l'irreligione deriva in essi da sola fredda persuasione o dubbio, non odiano i
religiosi, non farebbero nessun sacrifizio per l'irreligione ec. ec. Quindi è
che gli odi per motivo d'opinione non sono mai reciprochi, se non quando in
ambedue le parti l'opinione è un pregiudizio, o ne ha l'aspetto. Non v'è dunque
guerra tra il pregiudizio e la ragione, ma solo tra pregiudizi e pregiudizi,
ovvero il pregiudizio solo è capace di combattere, non già la ragione. Le
guerre, le nemicizie, gli odi di opinione sì frequenti negli antichi tempi, anzi
fino agli ultimi giorni, guerre sì pubbliche che private, fra partiti, sette,
scuole, ordini, nazioni, individui; guerre per le quali l'antico era
naturalmente deciso nemico di colui che aveva opinione diversa; non avevan luogo
se non
1818 perchè in quelle opinioni non entrava mai
la pura ragione, ma tutte erano pregiudizi, o ne avevano la forma, e quindi
erano passioni. Povera dunque la filosofia, della quale si fa tanto romore, e in
cui tanto si spera oggidì. Ella può esser certa che nessuno combatterà per lei,
benchè i suoi nemici la combatteranno sempre più vivamente; e tanto meno ella
influirà nel mondo, e nel fatto, quanto maggiori saranno i suoi progressi, cioè
quanto più si depurerà, ed allontanerà dalla natura del pregiudizio e della
passione. Non isperate dunque mai nulla dalla filosofia nè dalla ragionevolezza
di questo secolo. (1. Ott. 1821.).
[3518,1] Superiorità della natura sulla ragione,
dell'assuefazione (ch'è seconda natura) sulla riflessione. - Mio timor panico
d'ogni sorta di scoppi, non solo pericolosi, (come tuoni ec.), ma senz'ombra di
pericolo (come spari festivi ec.); timore che stranamente e invincibilmente
3519 mi possedette non pur nella puerizia, ma
nell'adolescenza, quando io era bene in grado di riflettere e di ragionare, e
così faceva io infatti, ma indarno per liberarmi da quel timore, benchè ogni
ragione mi dimostrasse ch'egli era tutto irragionevole. {Io non credeva che vi fosse pericolo, e sapeva che non
v'era pericolo nè che temere; ma io temeva niente manco che se io avessi
saputo e creduto e riflettuto il contrario. (puoi vedere la p. 3529.).} Non potè nè la
ragione nè la riflessione liberarmi di quel timore irragionevolissimo,
perch'esso m'era cagionato dalla natura. Nè io certo era de' più stupidi e
irriflessivi, nè di quelli che men vivono secondo ragione, e meno ne sentono la
forza, e son meno usi di ragionare, e seguono più ciecamente l'istinto o le
disposizioni naturali. Or quello che non potè per niun modo la ragione nè la
riflessione contro la natura, lo potè in me la natura stessa e l'assuefazione; e
il potè contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocchè coll'andar
del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo io stato forzato in certa
occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei
quell'ostinatissimo e innato timore in modo, che non solo trovava piacere in
quello
3520 che per l'addietro m'era stato sempre di
grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi
anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser
temuto; nè la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor
naturale, poterono poscia, nè possono tuttavia, farmi temere o solamente non
amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non
temo. {#1. Nè io son pur, come ho detto,
de' più irriflessivi, nè manco di riflettere ancora in questo proposito
all'occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più
naturale.} Questo ch'io dico di me, so certo essere accaduto e
accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all'una delle due parti solamente,
o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può {{e fa}} l'irriflessione. (25. Sett. 1823.).
{{V. p. 3908.}}
[3613,1] Da tutte queste considerazioni risulta che
l'iliade oltre all'essere il più perfetto poema epico quanto
al disegno, in contrario di quel che generalmente si stima, lo è ancora quanto
ai caratteri principali, perchè questi sono più interessanti che negli altri
poemi. E ciò perchè sono più amabili. E sono più amabili perchè più conformi a
natura, più umani, e meno perfetti che negli altri poemi. Gli autori de' quali,
secondo la misera spiritualizzazione delle idee che da Omero in poi {hanno} prodotta
e sempre vanno accrescendo i progressi della civiltà e dell'intelletto umano,
hanno stimato che i loro Eroi dovessero eccedere il comune non nelle qualità che
natura {+mediocremente dirozzata e
indirizzata} produce {e promuove} (le quali
dalle nostre opinioni sono in gran parte e ben sovente considerate per vizi e
difetti), ma in quelle che nascono e sono nutrite dalla civiltà e dalla coltura
e dalle cognizioni e dall'esperienza
3614 e dall'uso
degli affari e della vita sociale, e dalla sapienza e saviezza, {+e dalla prudenza} e dalle massime
morali e insomma dalla ragione. Or quelle qualità sono amabili, queste
stimabili, e sovente inamabili ed anche odiose. Gli Eroi
dell'iliade sono grandi uomini secondo natura, gli eroi degli
altri poeti epici sono grandi secondo ragione; le qualità di quelli sono più
materiali, esteriori, appartenenti al corpo, sensibili; le qualità di questi
sono tutte spirituali, interiori, morali, proprie dell'animo, e che dall'animo
solo hanno ad esser concepite, {e valutate.} Dico
tutte, e voglio intender le principali, e quelle che formano propriamente e
secondo l'intenzion de' poeti, il carattere di tali Eroi; perocchè se i poeti
v'aggiunsero anche i pregi più esteriori e corporali, gli aggiunsero come
secondarii e di minor conto, e vollero e ottennero che nell'idea de' lettori
essi fossero offuscati dai pregi morali, e poco considerati a rispetto di
questi; e in verità essi son quasi dimenticati, e, come ho detto in proposito di
Enea, paion quasi fuor di luogo, e
poco convenienti con gli altri pregi, o pare fuor di luogo
3615 il farne menzione e il fermarcisi, come cose degne da esser
notate ed espresse. {Queste
considerazioni hanno tanto maggior forza in favore di Omero, e in favore della nostra opinione che vuol
che si segua il suo esempio, quanto che è natura della poesia il seguir la
natura, e vizio grandissimo e dannosissimo anzi distruttivo d'ogni buono
effetto, e contraddittorio in lei, si è il preferire alla natura la ragione.
La mutata qualità dell'idea dell'Eroe perfetto ne' poemi posteriori
all'iliade, proviene da quello stesso principio che poi
crescendo, ha resa la poesia allegorica, metafisica ec. e corrottala del
tutto, e resala non poesia, perchè divenuta seguace onninamente della
ragione, il che non può stare colla sua vera essenza, ma solo col discorso
misurato e rimato ec. Puoi vedere la p. 2944.sgg.} E sembra, ed è vero, che i poeti l'han fatto
più tosto per usanza e per conformarsi alle regole ed agli esempi, che perchè
convenisse al loro proposito e al loro intento, e perchè la natura e lo spirito
de' loro poemi e de' loro personaggi lo richiedesse, anzi lo comportasse. Or,
siccome l'uomo in ogni tempo, malgrado qualsivoglia spiritualizzazione e
qualunque alterazione della natura, sono sempre mossi {e
dominati} dalla materia assai più che dallo spirito, ne segue che i
pregi materiali e gli Eroi, dirò così, materiali dell'iliade,
riescano e sieno per sempre riuscire più amabili e quindi più interessanti degli
Eroi spirituali e de' pregi morali divisati negli altri poemi epici. E che Omero, ch'è il cantore e il
personificatore della natura, sia per vincer sempre gli altri epici, che hanno
voluto essere (qual più qual meno) i cantori e i personificatori della ragione.
(Perocchè veramente gli Eroi dell'iliade sono il tipo del
perfetto grand'uomo naturale, e quelli degli altri poemi epici
3616 del perfetto grand'uomo ragionevole, il quale in
natura e secondo natura, è forse ben sovente il più piccolo uomo).
[1680,1] La stessa nostra ragione è una facoltà acquisita. Il
bambino che nasce non è ragionevole: il selvaggio lo è meno dell'incivilito,
l'ignorante meno dell'istruito: cioè ha effettivamente minor facoltà di
ragionare, tira più difficilmente la conseguenza, e più difficilmente e
oscuramente vede il rapporto fra le parti del sillogismo il più chiaro. Vale a
1681 dire che non solo un'ignoranza particolare
gl'impedisce di vedere o capire questo o quello, ma egli ha una minor forza
generale di raziocinio, meno abitudine e quindi meno facilità e capacità di
ragionare, e quindi meno ragione. {+Giacchè non solo egli non comprende questa o quella parte di un sillogismo,
ma anche comprendendole a perfezione tutte tre, (o le due premesse)
separatamente, non ne vede il rapporto, e non conosce come la conseguenza ne
dipenda, ancorchè il sillogismo gli venga formalmente fatto. La qual cosa
non si può insegnare. Or questa è reale inferiorità ed incapacità di
ragione. V. p. 1752.
principio.} Di questo genere sono quelle teste che si chiamano
dure e storte, e da queste cause viene la rarità di quel senso che si chiama
comune. Notate ch'io dico facoltà e non disposizione. Distinsi altrove p.
1453
pp. 1661-63 l'una dall'altra. La mente umana ha una disposizione (ma
per se stessa infruttuosa) a ragionare: essa per se non è ragione, come ho
spiegato in altro proposito con esempi; e questa disposizione originariamente e
riguardo al puro intelletto è tale che {anche quanto
ad} essa l'uomo {primitivo} affatto inesperto è poco o nulla superiore
all'animale. Gli organi suoi esteriori ec. che gli producono in pochi momenti un
numero di esperienze decuplo di quello che gli altri animali si possano
proccurare, lo mettono ben presto al di sopra degli altri viventi. L'esperienze
1682 riunite di tutta una vita, poi quelle di molti
uomini, {e poi di molti tempi} unite insieme, onde
nasce la favella, e quindi gl'insegnamenti ec. ec. hanno messo il genere umano
in lunghissimo tempo, e mettono giornalmente il fanciullo in brevissimo tempo
assai di sopra a tutti gli animali, e gli
danno la facoltà della ragione. L'uomo primitivo in età di sett'anni
non era già ragionevole, come oggi il fanciullo. Ne sa più il bambino che
balbetta; ragiona meglio, è più ragionevole, di quello che fosse l'uomo
primitivo in età di vent'anni ec. ec. ec. Questo si può confermare coll'esempio
de' selvaggi, i quali hanno pur tuttavia molta e già vecchia società. (12.
Sett. 1821.).
[2941,1] Il principal difetto della ragione non è, come si
dice, di essere impotente. In verità ella può moltissimo, e basta per
accertarsene il paragonare l'animo e l'intelletto di un gran filosofo con quello
di un selvaggio o di un fanciullo, o di questo medesimo filosofo avanti il suo
primo uso della ragione: e così il paragonare il mondo civile presente sì
materiale che morale, col mondo selvaggio presente, e più col primitivo. Che
cosa non può la ragione umana nella speculazione? Non penetra ella fino
all'essenza delle cose che esistono, ed anche di se medesima? non ascende fino
al trono di Dio, e non
2942 giunge ad analizzare fino
ad un certo segno la natura del sommo Essere? (vedi quello che ho detto altrove
in questo proposito pp. 1627-28) La ragione dunque per se, e come ragione,
non è impotente nè debole, anzi per facoltà di un ente finito, è potentissima;
ma ella è dannosa, ella rende impotente colui che l'usa, e tanto più quanto
maggiore uso ei ne fa, e a proporzione che cresce il suo potere, scema quello di
chi l'esercita e la possiede, e più ella si perfeziona, più l'essere ragionante
diviene imperfetto: ella rende piccoli e vili e da nulla tutti gli oggetti sopra
i quali ella si esercita, annulla il grande, il bello, e per così dir la stessa
esistenza, è vera madre e cagione del nulla, e le cose tanto più impiccoliscono
quanto ella cresce; e quanto è maggiore la sua esistenza in intensità e in
estensione, tanto {l'esser delle cose} si scema e
restringe ed accosta verso il nulla. Non diciamo che la ragione vede poco. In
effetto la sua vista si stende quasi in infinito, {+ed è acutissima sopra ciascuno oggetto,} ma essa
vista ha questa proprietà che lo spazio e gli oggetti le appariscono tanto più
piccoli quanto ella più si stende
2943 e quanto meglio
e più finamente vede. Così ch'ella vede sempre poco, e in ultimo nulla, non
perch'ella sia grossa e corta, ma perchè gli oggetti e lo spazio tanto più le
mancano quanto ella più n'abbraccia, e più minutamente gli scorge. Così che il
poco e il nulla è negli oggetti e non nella ragione, {+1. (benchè gli oggetti sieno, e sieno grandi a
qualunqu'altra cosa, eccetto solamente ch'alla ragione).}
Perciocch'ella per se può vedere assaissimo, ma in atto ella tanto meno vede
quanto più vede. Vede però tutto il visibile, e in tanto in quanto esso è e può
mai esser visibile a qualsivoglia vista. (11. Luglio 1823.).
[3896,4]
Alla p. 3894.
marg. La ragione di cui l'uomo solo è provveduto (ossia quel grado di
facoltà intellettuale che si chiama ragione, ed a cui il solo intelletto
dell'uomo arriva e può arrivare), come per mille parti è utile, per mille
necessaria alla società, ed origine e cagione effettiva di essa, così per mille
altri[altre] parti (come p. e. per la
superstizione la qual {non sarebbe senza il} grado di
facoltà mentale che noi abbiamo, e che le bestie non hanno, e per cento mila
altri effetti) è di sua natura nocevole e anche direttamente contraria alla
società degli uomini, e al lor ben essere e lor perfezione nello stato sociale
ec. ec. Parlo qui di quella facoltà di ragione che l'uomo ha per natura, anche
nello stato primitivo, e dico che questa medesima dimostra che l'uomo per natura
è men disposto a società che gli altri animali, benchè per altra parte ella
sembri invitta e principalissima prova del contrario ec. ec. (21. Nov.
1823.)
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