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19. Nov. 1823.

[3894,2]  Alla p. 3883. La superstizione sia speculativa sia pratica è figlia della società, ed inseparabile da essa società quanto si voglia civile come dimostrano tutte le istorie. Anzi par ch'ella, a differenza di tanti altri incomodi e barbarie della società primitiva, cresca a proporzione della civiltà; e certo si son trovati e trovano alcuni popoli selvaggi senza superstizione alcuna, almeno efficace e che influisca sulla vita in niun modo, e che sia causa di veruna infelicità esteriore nè interiore; ma niun popolo civile si trovò mai nè si trova nè troverassi in cui la superstizione più o manco, e in uno o altro modo, non regni, per civilissimo ch'ei si fosse, o si sia, o che sia p. essere. {Puoi vedere le Lettere di Federico II. e d'Alembert, Lett. 49. p. 125. seg. paragonandola colla lett. 45. p. 117. e lett. 47. p. 120 fine- 121. e lett. 53. p. 135. fin. e lett. 70. p. 185. fine.} Or di quanti {+e quanto gran} mali sia stata e sia causa la superstizione per sua natura sì a' popoli sì agl'individui, sì verso gli altri sì verso se stessi, travagliandoli sì esternamente sì internamente, per rispetto ai costumi, agl'istituti, alle azioni, alle opinioni ec.; quanti beni e quanto grandi abbia impedito e impedisca per sua natura ec. non accade dilungarsi a mostrarlo, {anzi neppure a} ricordarlo, {essendo già e provato e notissimo.} (19. Nov. 1823.). {+Certo la superstizione non ha luogo negli animali anche i più socievoli. Dunque l'uomo per natura è men sociale che alcun'altra specie ec. V. la p. 3896.}