Comunicare altrui i piaceri e i dispiaceri propri (inclinazione dell'uomo a).
Communicating one's pleasures and displeasures to others (human inclination).
230,1 339,2 486,1 532,1 592,1 1535,1 1583,2 2471,1 3804 4014,1[230,1]
230 Dice il Casa (Galateo c. 3.) che non è dicevol costume, quando ad alcuno vien veduto per via, come
occorre alle volte, cosa stomachevole, il rivolgersi a' compagni, e
mostrarla loro. E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa
puzzolente, come alcuni soglion fare, con grandissima istanza pure
accostandocela al naso, e dicendo: Deh sentite di grazia come questo
pute.
*
Non solo dunque il piacere che si prova, ma
anche alcuni incomodi {+(oltre i dolori delle sventure ec.)} si vogliono quasi
per naturale inclinazione partecipare agli altri, e questa partecipazione ci
diletta, e ci dà pena il non conseguirla. Ne inferirai che dunque l'uomo è fatto
per vivere in società. Ma io dico anzi che questa inclinazione o desiderio,
benchè paia naturale, è un effetto della società, bensì effetto prontissimo e
facile, perchè si dimostra anche ne' fanciulli, e forse più spesso che negli
adulti. V. p. 208.
e 85. fine.
(4. Settembre 1820.).
[339,2] Alla inclinazione degli uomini di partecipare altrui
il piacere e il dolore, notata in altri pensieri, p. 85-86
p.
230
pp. 266-68 si dee riferire in gran parte la smania (attribuita
principalmente alle donne, e propria soprattutto de' fanciulli, insomma degli
uomini più leggeri e naturali) di rivelare il segreto
340 o la cosa che si dovrebbe, e spesso anche d'altronde si vorrebbe tener
nascosta, di raccontar subito una nuova, una cosa scoperta, un piacere un timore
un dolore una noia provata ec. e tutta la loquacità che appartiene al riferire,
(20. Nov. 1820.)
{{o al dir quello che si pensa nel momento, o si è pensato
ec. come i fanciulli non si possono tenere di ciarlare su qualunque
soggetto.}}
[486,1]
486 Il {desiderio di} mettere
gli altri a parte delle proprie sensazioni (o piacevoli o dispiacevoli come ho
detto in altri pensieri pp. 85-86
p. 230
pp. 266-68
p. 339
p.
393) si può notare massimamente, ed ha tanto maggior forza quanto
ciascun individuo è più vicino alla natura. I fanciulli non lo possono frenare
in nessun modo, tanto che per amore, per preghiere, o per forza d'importunità,
487 non communichino ai circostanti, o a quelli
ch'essi vanno a cercare a posta, quei piaceri, quei dispiaceri, in somma quelle
sensazioni notabili, e per loro alquanto straordinarie, che hanno sperimentato o
sperimentano; come udendo una buona o cattiva musica, o suono o canto di
qualunque sorta, che li colpisca: vedendo qualunque oggetto che faccia loro
impressione ec. e tanto in bene quanto in male. Gli uomini poi più rozzi e
ignoranti e incolti, e generalmente il volgo, non si può tenere che in simili
circostanze, non gridi al vicino, vedi vedi, senti
senti. E questa esclamazione è così naturale che anche in una
gran moltitudine presente allo stesso spettacolo ec. tutti o moltissimi
esclameranno lo stesso, senza o essere ascoltati da nessuno in particolare, o
anche curarsi precisamente di farsi udire da questo o da quello. Ma nessuno si
può tenere dall'esclamare in quel modo, dando evidente indizio della
inclinazione naturale che li porta al desiderio e voglia di partecipare. E
osservate che questa esclamazione si pronunzia bene spesso anche
488 nella solitudine e senza nessuno uditore, quando
l'uomo provi simili sensazioni in tal circostanza: e noi diciamo vedi e senti
quando anche non c'è chi possa vedere o sentire, e cerchiamo così in tutti i
modi di soddisfare illusoriamente una voglia che non può essere soddisfatta
realmente. E sebben questo accade tanto più, quanto l'individuo tiene del
primitivo, e tanto più frequentemente, quanto più spesso egli è suscettibile di
maravigliarsi, o di provar sensazioni forti e vive; contuttociò è
frequentissimo anche negli uomini più colti ec. e basterebbe fare attenzione per
vedere quanto spesso ci avvenga nella giornata senza che noi ce ne accorgiamo.
Ci avvenga, dico, o in solitudine {e fra noi stessi,} o
in compagnia. Ed io non credo che vi sia uomo sì taciturno, e nemico del
parlare, del conversare, e del communicarsi
altrui, che provando una sensazione straordinariamente forte e viva,
non sia costretto {quasi} suo malgrado, o senza
riflessione, e senza avvedersene, a prorompere in simili esclamazioni, dinotanti
il desiderio e l'intenzione di communicare e far parte altrui di ciò ch'egli
prova. (10. Gen. 1821.).
[532,1]
Quid dulcius, quam
habere, quicum omnia audeas sic loqui, ut tecum? Quis esset tantus
fructus in prosperis rebus, nisi haberes, qui illis aeque, ac tu ipse,
gauderet?
*
Cic.
{Lael. sive} de
Amicitia. Cap. 6. (20. Gen. 1821.).
[592,1] Della nostra naturale inclinazione di partecipare agli
altri le nostre alquanto straordinarie sensazioni o piacevoli o dispiacevoli, v.
un luogo insigne di Cic. (Lael. sive de
Amicit.
{tutto il} c. 23.) il qual passo, io credo
che sia stata la prima fonte di questa osservazione, tanto familiare e nota ai
moderni. (31 Gen. 1821.)
[1535,1] A quello che ho in molti luoghi detto e spiegato
pp. 85-86
p. 230
pp. 266-68
pp. 339-40
pp. 486-88 della inclinazione irresistibile che l'uomo sociale
contrae al partecipare altrui
1536 le proprie
sensazioni ec. gradevoli o no, massime se straordinarie, bisogna riferire la
gran difficoltà che giornalmente si prova a conservare il segreto, massime
quanto meno l'uomo è lontano dallo stato naturale, o quanto meno è assuefatto a
comprimere i suoi desiderii. Onde le donne e i fanciulli sono le persone meno
capaci del segreto. Ma anche l'uomo fatto, e d'animo colto e formato ec. prova
spessissimo gran difficoltà ad esser perfettamente segreto, sicchè nessun
indizio gli scappi dalla bocca di ciò che sa, e massime se la cosa è curiosa ec.
quantunque mai possa importare la segretezza. E se ciascheduno esaminerà bene la
sua vita, vedrà quante volte la lingua gli abbia nociuto, o nelle piccole o
nelle grandi cose, e bene spesso, malgrado ch'egli prevedesse il danno. Uomo
perfettamente segreto, non penso che si trovi, non solo per le minime
circostanze che non si avvertono, e che tradiscono il segreto; ma per la
inclinazione ch'egli ha a manifestarlo, inclinazione a cui egli, se non sempre,
certo assai spesso fa qualche maggiore o minor sacrifizio. E {forse} la maggior parte delle circostanze che ho detto, derivano in
1537 ultima analisi da questa inclinazione.
(21. Agosto 1821.).
[1583,2] Moltissimi piaceri non son {quasi
piaceri,} se non a causa della speranza e intenzione che si ha di
raccontarli. Tolta questa vi troveremmo un gran vuoto. Questa rende piacevoli le
cose che non lo sono, anche le dispiacevoli ec. ec. {+Questi effetti però ponno riferirsi all'ambizione, al
desiderio di parere interessante, ec. non a quello di comunicare e dividere
le proprie sensazioni.}
1584
(29. Agos. 1821.).
[2471,1] Alla inclinazione da me più volte notata e spiegata
pp. 85-86
p. 230
pp. 339-40
pp. 486-88
pp. 1535-37, che gli uomini hanno a partecipare con altri i loro
godimenti o dispiaceri, e qualunque sensazione alquanto straordinaria, si dee
riferire in parte la difficoltà di conservare il secreto che s'attribuisce
ragionevolmente alle donne e a' fanciulli, e ch'è propria altresì di qualunque
altro è meno capace o per natura o per assuefazione di contrastare e vincere e
reprimere le sue inclinazioni. Ed è anche proprio pur troppe volte degli uomini
prudenti ed esercitati a stare sopra se stessi, i quali ancora provano, se non
altro, qualche difficoltà a tenere il segreto, e qualche voglia interna di
manifestarlo (anche con danno loro), quando sono sull'andare del confidarsi con
altrui, o semplicemente del conversare, o discorrere,
2472 o chiaccherare. {+Dico lo
stesso anche di quando il segreto non è d'altrui ma nostro proprio, e quando
noi vediamo che il rivelarlo fa danno solamente o principalmente a noi, e
come tale, ci eravamo proposto di tacerlo, e poi lo confidiamo per
isboccataggine.}
[3804,1]
3804 - Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti
che si adducono a provare la sociabilità naturale dell'uomo, non hanno valore
alcuno, benchè sieno molto persuasivi; perciocch'essi veramente non sono tirati
dalla considerazione dell'uomo in natura, che noi pochissimo conosciamo, ma
dell'uomo quale noi lo conosciamo e siamo soliti di osservarlo, cioè dell'uomo
in società ed infinitamente alterato dalle assuefazioni. Le quali essendo una
seconda natura, fanno che tuttodì si pigli per naturale, quello che non è se non
loro effetto, e bene spesso contrario onninamente a natura, o da lei
diversissimo. Onde gli effetti della società, quello che sola la società ha reso
necessario, quello che non è vero se non posta la società, che senza questa non
avrebbe avuto luogo ec., si fanno tuttogiorno servire nelle argomentazioni de'
filosofi a dimostrare la naturale sociabilità dell'uomo, la necessità della
società assolutamente e secondo la nostra natura ec. Di questo genere è quella
inclinazione che tutti abbiamo a far parte ad altrui delle nostre sensazioni
vive e non ordinarie, piacevoli o dispiacevoli ec., inclinazione della quale ho
parlato altrove più volte ed osservato, pp. 85-86
p. 230
pp. 266-68
pp. 339-40
pp.
486-88
pp. 2471-72 , che
bench'ella sembri affatto spontanea ed innata, non è che l'effetto
dell'assuefazione e del nostro vivere in società, e nell'uomo posto fuori di
essa per qualunque circostanza, e massime nell'uomo primitivo e veramente
incorrotta[incorrotto], non ha luogo e gli è
ignota. Ed infiniti altri sono gli effetti di questo genere che paiono
naturalissimi, e dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e che per
tali
3805 si recano tuttogiorno, ma che per vero non
sono naturali, se non in quanto naturalmente hanno luogo, posta la società, e le
rispettive circostanze ed assuefazioni non naturali; e naturalmente nascono da
tali cagioni; nè possono non nascere, supposte queste. È cosa onninamente e
naturalmente difficilissima il discernere tra l'assoluto naturale, e gli effetti
dell'assuefazione, massime dell'assuefazione universale, e contratta o
cominciata a contrarre fin dalla nascita o da' primi momenti del vivere, com'è
l'assuefazione della società, e infinite assuefazioni subalterne da questa
dipendenti e cagionate ec. o parti di lei, o da lei supposte ec.; e massime
ancora nell'uomo, ch'essendo {di gran lunga} più
conformabile e modificabile d'ogni altro animale, facilissimamente e presto si
adatta alle assuefazioni, per innaturali ch'elle sieno, e se le converte in
natura, e le abbraccia ed arripit, e seco loro
s'immedesima in modo che appena l'occhio del più acuto filosofo è bastante a
distinguerle dalle disposizioni naturali, e gli effetti loro dalle naturali
qualità ed operazioni ec. Quindi non è maraviglia se tanti argomenti ci paiono
dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e se di questa quasi tutti
sono persuasi intimamente, e credono assurdo e impossibile il contrario, e
stimano questa persuasione naturalissima, e fondata sopra il più certo ed intimo
{e spontaneo} senso, ed autenticata dalla più
chiara e sincera e manifesta voce della natura; e mai non deporranno questa
credenza. Perocchè
3806 tutti gli uomini che di queste
cose possono discorrere o pensare in qualsivoglia modo, filosofi o non filosofi
o plebei, sono nati, allevati, formati e vissuti sempre nella società e nelle
assuefazioni ad essa appartenenti. Onde, non veramente per prima natura, ma per
seconda natura, essi sono tutti in verità esseri sociali, ed a cui la società è
propria e necessaria. E s'alcuno è nato e cresciuto fuori della società esso non
discorre nè pensa di queste cose, o non prima che la società e le sue
assuefazioni, coll'abitudine, gli si sieno convertite in natura. Sicchè nel
creder l'uomo naturalmente sociale, e fatto per la società, e di lei bisognoso
assolutamente, e la società natural cosa e indispensabile all'uomo, i saggi e
gl'idioti, i civili e i barbari, gli antichi e i moderni, e tutte le {diversissime} nazioni e tutte le classi dissimilissime
di persone, consentono insieme e consentirono e consentiranno forse più
interamente, fortemente, costantemente e per più lungo tempo, che non fecero non
fanno e non sono per fare intorno ad alcun'altra quistione speculativa. Ma
questo consenso quanto vaglia a dimostrar la proposizione da lui favorita, le
cose sopraddette il deggiono fare {giustamente e
adeguatamente} estimare.
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