20. Nov. 1820.
[339,1] Il Laerzio
Vit.
Platon. l. 3. seg. 79-80. dice di Platone. viaf217031118᾽Εν δὲ τοῖς διαλόγοις
καὶ τὴν δικαιοσύνην ϑεοῦ νόμον ὑπελάμβανεν, (arbitratus est. Interpr.) viaf217031118ὡς
ἰσχυροτέραν προτρέψαι τὰ δίκαια πράττειν, ἵνα μὴ καὶ μετὰ ϑάνατον δίκας
ὑπόσχοιεν οἱ κακοῦργοι. ὅϑεν καὶ μυϑικώτερος ἐνίοις ὑπελήϕϑη, τοῖς
συγγράμμασιν ἐγκαταμίξας τὰς τοιαύτας διηγήσεις, (narrationes. Interpr.) viaf217031118ὅπως
διὰ τοῦ ἀδήλου τρόπου τοῦ ἔχειν τὰ μετὰ τὸν
ϑάνατον, (ut, quod incertum sit ista post mortem sic se
habere, admoniti mortales etc. Interpr. ma non bene) viaf217031118οὕτως ἀπέχωνται τῶν ἀδικημάτων.
[339,2] Alla inclinazione degli uomini di partecipare altrui
il piacere e il dolore, notata in altri pensieri, p. 85-86
p.
230
pp. 266-68 si dee riferire in gran parte la smania (attribuita
principalmente alle donne, e propria soprattutto de' fanciulli, insomma degli
uomini più leggeri e naturali) di rivelare il segreto
340 o la cosa che si dovrebbe, e spesso anche d'altronde si vorrebbe tener
nascosta, di raccontar subito una nuova, una cosa scoperta, un piacere un timore
un dolore una noia provata ec. e tutta la loquacità che appartiene al riferire,
(20. Nov. 1820.)
{{o al dir quello che si pensa nel momento, o si è pensato
ec. come i fanciulli non si possono tenere di ciarlare su qualunque
soggetto.}}