17. Nov. 1820.
[334,3] Ripetono spesso gli apologisti della Religione che il
mondo era in uno stato di morte all'epoca della prima comparsa del
Cristianesimo; che questo lo ravvivò, cosa, dicon essi che pareva impossibile.
Quindi
335 conchiudono che questo non poteva essere
effetto se non dell'onnipotenza divina, che prova chiaramente la sua verità, che
l'errore perdeva il mondo, la verità lo salvò. Solito controsenso. Quello che
uccideva il mondo, era la mancanza delle illusioni; il Cristianesimo lo salvò
non come verità, ma come una nuova illusione. E gli effetti ch'egli produsse,
entusiasmo, fanatismo, sagrifizi magnanimi, eroismo, sono i soliti effetti di
una grande illusione. Non consideriamo adesso s'egli sia vero o falso, ma
solamente che questo non prova nulla in suo favore. Ma come si stabilì con tanti
ostacoli, ripugnando a tutte le passioni, contraddicendo ai governi ec.? Quasi
che quella fosse la prima volta che il fanatismo di una grande illusione trionfa
di tutto. Non ha considerato menomamente il cuore umano, chi non sa di quante
illusioni egli sia capace, quando anche contrastino ai suoi interessi, e come
egli ami spessissimo quello stesso che gli pregiudica visibilmente. Quante pene
corporali non soffrono per false opinioni i sacerdoti
dell'India ec. ec.! E la setta dei flagellanti nata
sui principii del Cristianesimo, che illusione era? {E i
sacrifizi infiniti che facevano gli antichi filosofi p. e. i Cinici alla
professione della loro setta, spogliandosi di tutto il loro nella ricchezza
ec.? E il sacrifizio de' 300. alle Termopili?}
Ma come
336 trionfò il Cristianesimo della filosofia,
dell'apatia che aveva spento tutti gli errori passati? I lumi di quel tempo non
erano 1. nè stabili, definiti e fissi, 2. nè estesi e divulgati, 3. nè profondi
come ora; conseguenza naturale della maggiore esperienza, della stampa, del
commercio universale, delle scoperte geografiche che non lasciano più luogo a
nessun errore d'immaginazione, dei progressi delle scienze i quali si danno la
mano in modo, che si può dire che ogni nuova verità scoperta in qualunque genere
influisca sopra lo spirito umano. Quei lumi erano bastati a spegnere l'error
grossolano delle antiche religioni, ma non solamente permettevano, anzi si
prestavano ad un error sottile. E quel tempo appunto per li suoi lumi inclinava
al metafisico, all'astratto, al mistico, e quindi Platone trionfava in quei tempi. V. Plotino, Porfirio, Giamblico, e i
seguaci di Pitagora, anch'esso astratto
e metafisico. L'oriente poi, non solo allora, ma
antichissimamente, aveva inclinato alla sottigliezza, ed anche alla profondità e
verità, nella morale e nel resto. Egiziani, Cinesi, Vecchio Testamento ec. ec. A
distrugger l'error più
337 sottile vi volevano lumi
molto più profondi, sottili e universali di quelli d'allora. Tali sono quelli
d'oggidì, così perfetti che sono interamente sterili d'errore, e da essi non può
derivare error più sottile, come dai lumi antichi, il quale pur dia qualche vita
al mondo. Ai mali della filosofia presente, non c'è altro rimedio che la
dimenticanza, e un pascolo materiale alle illusioni.
[337,1] Del resto è vero che il Cristianesimo ravvivò il mondo
illanguidito dal sapere, ma siccome, anche considerandolo com'errore, era
appunto un errore nato dai lumi, e non dall'ignoranza e dalla natura, perciò la
vita e la forza ch'ei diede al mondo, fu come la forza che un corpo debole e
malato riceve da' liquori spiritosi, forza non solamente effimera, ma nociva, e
produttrice di maggior debolezza. Applicate quest'osservazione: 1. alla poca
durata della vera e primitiva forza del Cristianesmo sotto ogni rapporto, in
paragone dell'infinita durata della forza degl'istituti e religioni antiche, p.
e. presso i romani. 2. alla qualità di questa forza, tutta tetra, malinconica
ec. in paragone della freschezza, della bellezza, allegria varietà ec. della
vita antica: conseguenza naturale della
338 differenza
dei dogmi. 3. all'aspetto lugubre che presero tanto i vizi quanto le virtù dopo
la propagazione intera del Cristianesimo, cioè dopo estinto quel primo fuoco
febbrile della nuova dottrina (cosa da me osservata altrove p.
132): in maniera che si può dire che il mondo (quanto alla vita, e al
bello) deteriorasse infinitamente se non a cagione del Cristianesimo, almeno a
cagione della tendenza che lo produsse e doveva produrlo, e dopo la sua
introduzione: giacchè prima restavano ancora molti errori più naturali, e quindi
più vitali e nutritivi, non ostante la filosofia. (17. Nov.
1820.).