20. Nov. 1820.
[340,1] In somma considerate gli antichi e i moderni: vedrete
evidentemente una gradazione incontrastabile e notabilissima di grandezza,
sempre in ragion diretta dell'antichità. Cominciando dagli uomini di Omero, un palmo più alti dei moderni,
come dicea quel francese, e dalle piramidi di Egitto ec.
discendete alle imprese nobilissime e grandiosissime, ai lavori immensi, alle
fabbriche, {alla solidità delle loro costruzioni fatte per
l'eternità (cosa propria anche de' tempi bassi, e fino al cinque o
secento),} alla profondissima impronta delle monete, all'eroismo, e a
tutti gli altri generi di grandezza che distinguono i greci, i romani ec. E poi
venendo ai tempi bassi e gradatamente ai moderni, vedete come l'uomo si vada
sensibilmente impiccolendo, finchè giunge a quest'ultimo grado di piccolezza
{generale e individuale,} e d'impotenza in cui lo
vediamo oggidì. In maniera che l'eterna fonte del grande (come del bello) sono
gli scrittori, le opere d'ogni sorta, gli esempi, i costumi, i sentimenti degli
antichi; e degli antichi si pasce ogni anima straordinaria de' nostri tempi.
(V. p. 338. capoverso 1.) Che
segno è questo? La ragione ingrandisce o
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impiccolisce? La natura era grande o piccola? (20. Nov. 1820.).