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22. Nov. 1820.

[347,1]  Le buone poesie sono ugualmente intelligibili agli uomini d'immaginazione e di sentimento, e a quelli che ne son privi. E contuttociò quelli le gustano, e questi no, anzi non comprendono come si possano gustare, primieramente perchè non sono capaci nè disposti ad esser commossi, sublimati ec. dal poeta; e oltracciò perchè sebbene intendano le parole, non intendono la verità, l'evidenza di quei sentimenti: il cuore non dimostra loro che quelle passioni, quegli effetti, quei fenomeni morali ec. che il poeta descrive, vanno veramente così: e per tal modo le parole del poeta, benchè chiare, e da loro bene intese non rappresentano loro quelle cose e quelle verità che rappresentano altrui, ed intendendo le parole, non intendono il poeta. Bisogna bene osservare che questo accade anche negli scritti filosofici, profondi, metafisici, psicologici ec. affine di non maravigliarsi dei diversissimi, e spesso contrarissimi effetti che producono in diversi individui, e classi, e quindi del diverso concetto in cui son tenuti. Perchè, ponete uno scritto di questo genere, pienissimo di verità, e composto con  348 tutta quella chiarezza d'espressioni, della quale possa mai esser suscettibile. Le parole dicono lo stesso all'uomo profondo, e al superficiale: tutti comprendono ugualmente il senso materiale dello scritto, e in somma tutti intendono perfettamente quello che l'autore vuol dire. E non perciò quello scritto è compreso da tutti, come si crede comunemente. Perchè l'uomo superficiale; l'uomo che non sa mettere la sua mente nello stato in cui era quella dell'autore; insomma l'uomo che appresso a poco non è capace di pensare colla stessa profondità {dell'autore,} intende materialmente quello che legge, ma non vede i rapporti che hanno quei detti col vero, non sente che la cosa sta così, non iscuoprendo il campo che l'autore scopriva, non conosce i rapporti e legami delle cose ch'egli vedeva, e dai quali deduceva quelle conseguenze ec. che per lui, e per chiunque gli somigli sono incontrastabili, per questi altri non sono neppur verità: vedranno le stesse cose, ma non conosceranno {nè sentiranno} che abbiano relazione insieme, e con quelle conseguenze che l'autore ne cava; {non vedranno la relazione scambievole delle parti del sillogismo (giacchè ogni umana cognizione è un sillogismo)}: brevemente, intenderanno appuntino lo scritto, e non capiranno la verità di quello che dice, verità che esisterà realmente, e sarà compresa da altri. {Così pure non avranno tanta forza di mente da poter dubitare, e sentire la ragionevolezza e la verità del dubbio intorno alle cose che la natura o l'abito danno per certe.} {+Non basta intendere una proposizion vera, bisogna sentirne la verità. C'è un senso della verità, come delle passioni, de' sentimenti, bellezze, ec.: del vero, come del bello. Chi la intende, ma non la sente, intende ciò che significa quella verità, ma non intende che sia verità, perchè non ne prova il senso, cioè la persuasione.} In questo numero di persone va posta la maggior parte dei moderni apologisti della religione, uomini senza cuore, senza sentimento, senza tatto fino e profondo nelle cose della natura, {insomma senza esperienza della verità, come quei lettori de' poeti che sono senza esperienza di passioni, entusiasmo, sentimenti ec.;} i quali,  349 posto che intendano anche perfettamente il senso dei filosofi profondissimi che combattono, non intendono la verità che quivi si contiene, e vi danno nettamente, precisamente e consideratamente per falso, quello che voi saprete e sentirete ch'è vero, o viceversa. Del resto per intendere i filosofi, e quasi ogni scrittore, è necessario, come per intendere i poeti, aver tanta forza d'immaginazione, e di sentimento, e tanta capacità di riflettere, da potersi porre nei panni dello scrittore, e in quel punto preciso di vista e di situazione, in cui egli si trovava nel considerare le cose di cui scrive; altrimenti non troverete mai ch'egli sia chiaro abbastanza, per quanto lo sia in effetto. E ciò, tanto quando in voi ne debba risultare la persuasione e l'assenso allo scrittore, quanto nel caso contrario. Io so che con questo metodo non ho trovato mai oscuri, o almeno inintelligibili, gli scritti della Staël, che tutti danno per oscurissimi. (22. Nov. 1820.).