Amore dei propri simili.
Love for one's fellows.
133,1 536,1.2 540,1 542,1 591,1 1688,1 1823,1 1847,1 2043,1 2429,2 3928,5[133,1] Dice Luciano
nelle Lodi della
Patria (t. 2. p. 479.), καὶ τοὺς κατὰ τὸν
τῆς ἀποδημίας χρόνον λαμπροὺς γενομένους ἢ διὰ χρημάτων κτῆσιν, ἢ διὰ
τιμῆς δόξαν
*
(vel ob honoris gloriam), ἢ διὰ παιδείας μαρτυρίαν, ἢ δι᾽
ἀνδρίας[ἀνδρείας] ἔπαινον, ἔστιν
ἰδεῖν ἐς τὴν πατρίδα {πάντας}
ἐπειγομένους
*
(properantes) ὡς οὐκ ἂν ἐν ἄλλοις βελτίοσιν
ἐπιδειξομένους τὰ αὐῶν καλά. καὶ τοσούτῳ γε μᾶλλον ἕκαστος σπεύδει
λαβέσθαι τῆς πατρίδος ὅσῳπερ ἂν ϕαίνηται μειζόνων παρ᾽ ἄλλοις
ἠξιωμένος
*
. Questo è vero, e quando anche tu viva in una
città molto maggiore della tua patria, non ostante il gran cambiamento delle
opinioni antiche a questo riguardo, desidererai anche adesso, se non altro che
la gloria o qualunque altro bene che tu hai acquistato sia ben noto, e faccia
romore particolare nella tua patria. Ma la cagione non è mica l'amor della
patria, come stima Luciano, e come
pare a prima vista. E infatti stando nella tua stessa patria, tu provi lo stesso
effetto
134 riguardo alla {tua}
famiglia, e a' tuoi più intimi conoscenti. La ragione è che noi desideriamo che
i nostri onori o pregi siano massimamente noti a coloro che ci conoscono più
intieramente, e che ne sieno testimoni quelli che sanno più per minuto le nostre
qualità, i nostri mezzi, la nostra natura, i nostri costumi ec. E come non ti
contenteresti di una fama anonima, cioè di esser celebrato senza che si sapesse
il tuo nome, perchè quella fama, ti parrebbe piuttosto generica che tua propria,
così proporzionatamente desideri ch'ella sia sulle bocche di quelli presso i
quali, conoscendoti più intimamente e particolarmente, la tua stima viene ad
essere più individuale e propria tua, perchè si applica a tutto te, che sei loro
noto minutamente. E viene anche ciò dalla inclinazione che tutti abbiamo per li
nostri simili, onde non saremmo soddisfatti di una fama acquistata appresso una
specie di animali diversa dall'umana, e così venendo per gradi, poco ci
cureremmo di esser famosi fra i Lapponi o gl'irocchesi, essendo ignoti ai popoli
colti, e non saremmo contenti di una celebrità francese o inglese, essendo
sconosciuti ai nostri italiani, e così finalmente arriveremo ai nostri propri
cittadini, e anche alla nostra famiglia. Aggiungete le tante relazioni che si
hanno o si sono avute colle persone più attenenti alla nostra, le emulazioni, le
gare, le invidie, le contrarietà avute, le amicizie fatte ec. ec. alle quali
cose tutte applichiamo il sentimento che ci cagiona la nostra gloria, o
qualunque vantaggio acquistato. In somma
135 la cagione
è l'amore {immediato} di noi stessi, e {non} della nostra patria. {{V. p. 536,
capoverso 2.}}
[540,1]
Sic enim mihi perspicere
videor, ita natos esse nos,
541 ut inter omnes
esset societas quaedam
*
; (ecco l'amore universale, notato
anche da Cicerone, e naturale, perchè la
natura, e tutti gli animali tendono più che ad altro al loro simile;
preferiscono nella inclinazione, nell'amore, nella società, il loro simile, allo
straniero e diverso. Questo è il vero confine dell'amore universale secondo
natura, non quelli che gli assegnano i nostri filosofi. Ma seguitiamo) maior autem, ut quisque
proxime accederet. Itaque cives, potiores, quam peregrini; et propinqui
quam alieni.
*
(Così che nel conflitto degl'interessi di
coloro che nobis proxime accedunt,
*
cogl'interessi
degli stranieri, alieni, lontani, quelli vincono nell'animo, nella inclinazione,
e nella natura nostra: e non già nella sola parità di circostanze, ma quando
anche o il bene, o la salute e incolumità de' vicini, porti agli strani un danno
sproporzionato; quando anche si tratti di un solo o pochi vicini, e di molti
lontani; quando si tratti della sola sua patria in comparazione di tutto il
mondo. E tali sono realmente gli effetti e la misura dell'amore dei bruti verso
i loro
542 figli ec. rispetto agli altri loro simili:
delle api di un alveare, rispetto alle altre ec. E v. il pensiero seguente.) Cum his enim
amicitiam natura
ipsa peperit.
*
Cic., Lael.
sive de Amicitia c. 5. sulla fine.
(22. Gen. 1821.).
[542,1]
Quapropter a natura mihi
videtur potius, quam ab indigentia, orta amicitia, et applicatione magis
animi cum quodam sensu amandi, quam cogitatione, quantum illa res
utilitatis esset habitura. Quod quidem quale sit, etiam in bestiis
quibusdam animadverti potest; quae ex se natos ita amant ad quoddam
tempus, et ab eis ita amantur, ut facile earum sensus appareat. Quod in
homine multo est evidentius.
*
Cic., Lael.
sive de Amicitia c. 8.
(22. Gen. 1821.).
[591,1]
Quod si hoc apparet in
bestiis, volucribus, nantibus, agrestibus, cicuribus, feris, primum ut
se ipsae diligant; (id enim pariter cum omni animante
nascitur)
*
(dunque Cicerone riconosceva le bestie per dotate di libertà) deinde, ut requirant,
atque appetant, ad quas se applicent, eiusdem generis animantes; idque
faciunt cum desiderio, et cum quadam similitudine amoris humani: quanto
id magis in homine fit natura, qui et se ipse diligit, et alterum
anquirit, cuius animum
592 ita cum suo misceat,
ut efficiat paene unum ex duobus?
*
Cic.
Lael. sive de
Amicit. c. 21. fine.
[1688,1] Le immaginazioni calde (come son quelle de'
fanciulli più o meno) in forza della somma tendenza dell'animale a' suoi simili,
trovano da per tutto delle forme simili alle umane. Ma notate che sebbene si
troverebbe facilmente maggiore analogia fra le altre parti dell'uomo e i diversi
oggetti materiali, che fra questi e la fisonomia umana, nondimeno
l'immaginazione trova sempre in essi oggetti, maggiore analogia col volto
dell'uomo che colle altre parti, anzi a queste neppur pensa. V. il mio discorso sui romantici. Tanto è vero che
la principal parte dell'uomo riguardo all'uomo è il volto. (13. Sett.
1821.).
[1823,1] L'uomo tende sempre a' suoi simili (così ogni
animale), e non può interessarsi che per essi, per la stessa ragione per cui
tende a se stesso, ed ama se stesso più che qualunque de' suoi simili. Non vi
vuole che un intero snaturamento prodotto dalla filosofia, per far che l'uomo
inclini agli animali, alle piante ec. e perchè i poeti (massime stranieri) de'
nostri giorni pretendano d'interessarci per una bestia, un fiore, un sasso, un
ente ideale, un'allegoria. È ben curioso che la filosofia, rendendoci
indifferenti verso noi medesimi e i nostri simili, che la natura ci ha posto a
cuore, voglia interessarci per quello a cui l'irresistibile natura ci ha fatti
indifferenti. Ma questo è un effetto conseguentissimo del sistema generale
d'indifferenza derivante dalla ragione, il quale non mette diversità fra' simili
e dissimili; e noi non ci figuriamo di poter provare interesse per questi, se
non perchè l'abbiamo
1824 perduto o illanguidito per
noi e per gli uomini, e siamo in somma indifferenti a tutto. Così gli altri
esseri vengono a partecipare non del nostro interesse ma della nostra
indifferenza. Lo stesso accade {riguardo a'} nostri
simili, nella sostituzione dell'amore universale all'amor di patria. ec.
(1. Ott. 1821.). {{V. p. 1830. e
1846.}}
[1847,1] Come l'uomo non s'interessa che per l'uomo
(perch'egli s'interessa più per se che per gli altri uomini); com'è vuota
d'effetto quella pittura che non rappresenta niente di animato, e più quella che
rappresenta pietre ec. che quella che rappresenta piante ec.; come il principale
effetto della pittura è prodotto dall'imitazione dell'uomo più che degli
animali, e molto più che degli altri oggetti; come la poesia non diletta nè
molto nè durevolmente se verte 1. sopra cose inorganizzate, 2. sopra cose
organizzate ma non vive, 3. sopra enti vivi ma non uomini, 4. sopra uomini ma
non sopra ciò che meglio spetta all'uomo ed a ciascun lettore, cioè le passioni,
i sentimenti, insomma l'animo umano; {+(notate queste gradazioni che sono applicabili ad ogni genere di cose e
idee piacevoli, ed alla mia teoria del
piacere)} così
1848 la poesia,
{i drammi} i romanzi, le storie, le pitture ec. ec.
non possono durevolmente nè molto dilettare se versano sopra uomini di costumi,
opinioni, indole ec. ec. e quasi natura affatto diversa dalla nostra, come i
personaggi favoriti delle care poesie ec. del Nord, sia per differenza
nazionale, sia per eccessiva differenza e stranezza di carattere, come i
protagonisti di Lord Byron, ed anche per
eccessivo eroismo, onde Aristotele non
voleva che il protagonista della tragedia fosse troppo eroe. {+(Quindi è che se forse da principio
interessano per la novità, a poco andare annoiano le storie ec. de' popoli
lontani, de' viaggi ec. e interessano sempre più proporzionatamente quelle
de' più vicini, e fra gli antichi de' latini Greci, ed Ebrei, a causa che
questi sono in relazione con tutto il mondo colto per la rimembranza ec.
della nostra gioventù, studi, religione letteratura ec. Anche questo però
secondo le circostanze degli individui.)} Da per tutto l'uomo cerca il
suo simile, perchè non cerca e non ha mai altro scopo che se stesso; e il
sistema del bello, come tutto il sistema della vita, si aggira sopra il perno,
ed è posto in movimento dalla gran molla dell'egoismo, e quindi della
similitudine e relazione a se stesso, cioè a colui che deve godere del bello di
qualunque genere. (5. Ott. 1821.).
[2043,1] L'inclinazione dell'uomo al suo simile, è tanto
maggiore quanto l'uomo (e così ogni vivente) è vicino allo stato naturale, e
tanto più vivi e più numerosi sono gli svariatissimi effetti (da me in diversi
luoghi osservati p. 1688
pp. 1823-24
pp. 1847-48) di questa essenzialissima inclinazione, figlia immediata
dell'amor proprio, anch'esso tanto più vivo ed energico, almeno ne' suoi
effetti, e nell'aspetto che piglia, quanto il
2044
vivente è più naturale. Tutti p. e. amano l'imitazione dell'uomo e delle cose
umane nelle arti, nella poesia, ec. più che quella di qualunque altro oggetto.
Ma questa preferenza è più notabile nel fanciullo, il quale tra' suoi pupazzi si
compiace soprattutto di quelli che rappresentano uomini, e nelle favole o
novelle che legge, di quelle che trattano d'uomini. - ec. ec. ec. Quando anche
abbia p. es. delle figure d'animali assai più ben fatte, che quelle d'uomini ec.
ec.
[2429,2] Che società, che amicizia, che commercio potresti tu
avere con un cieco e sordo, o egli con te?
2430 Al
quale nè coi gesti nè colle parole potresti communicare alcuno de' tuoi
sentimenti, nè egli a te i suoi? e per conseguenza qual comunione di spirito,
cioè di vita e di sentimento potresti aver seco lui? qual sentimento di te
penseresti d'aver destato, o di poter mai destare nell'animo suo? E nondimeno tu
sai pur ch'egli vive, ed oltracciò di vita umana e d'un genere medesimo colla
tua; ed egli potrebbe forse in qualche modo darti ad intendere i suoi bisogni, e
beneficato esteriormente da te, o in altro modo influito, potrebbe aver qualche
senso della tua esistenza, e formarsi di te qualche idea; anzi è certo che ti
considererebbe come suo simile, non ch'egli n'avesse alcuna prova certa, ma
appunto per la scarsezza delle sue idee; come fanno i fanciulli, che sempre
inclinano a creder tutto animato, e simile in qualche modo a loro, non
conoscendo, nè sapendo neppure insufficientemente concepire altra forma d'esistenza che la propria, non ostante
ch'essi pur vedano la differenza della figura, e delle qualità esteriori.
[3928,5]
Alla p. 3784.
La guerra e qualsivoglia volontario omicidio è contrario e ripugna
essenzialmente alla natura non men particolare degli uomini, che generale degli
animali, e universale delle cose e della esistenza, per gli stessi principii per
cui le ripugna essenzialmente il suicidio. Perocchè, come ciascun individuo,
così ciascuna specie presa insieme è incaricata dalla natura
3929 di proccurare in tutti i modi possibili la sua conservazione, e
tende naturalmente sopra ogni cosa alla sua conservazione e felicità: quanto più
di non proccurare ed operare essa stessa per quanto, si può dire, è in lei, la
sua distruzione! {+E questa legge è
necessaria e consentanea per se stessa, e implicherebbe contraddizione
ch'ella non fosse, ec. come altrove circa l'amor proprio ec. degl'individui
pp. 181-82
p. 2499
pp. 3783-84.} L'individuo, p. e.
l'uomo, in quanto individuo, odia gli altri membri della sua specie; in quanto
uomo, gli ama, ed ama la specie umana. Quindi quella tendenza verso i suoi
simili più che verso alcun'altra creatura sotto certi rispetti, e nel tempo
stesso quell'odio verso i suoi simili, maggiore sotto certi rispetti che verso
alcun'altra creatura, i quali {+non men
l'uno che l'altra, e ambedue insieme} in tanti modi, con sì vari
effetti, e in sì diverse sembianze si manifestano ne' viventi, e massime
nell'uomo, che di tutti è il più vivente (p. 3921-7.). E come il secondo, ch'è non men necessario e naturale
della prima, nuoce per sua natura e alla conservazione e alla felicità della
specie, e d'altra parte questo è direttamente contrario alla natura particolare
e universale, e la specie presa insieme dee tendere e servir sempre
(regolarmente) alla sua conservazione e felicità, non restava alla natura altro
modo che il porre i viventi verso i loro simili in tale stato che la
inclinazione degli uni verso gli altri operasse e fosse, l'odio verso i medesimi
non operasse, non si sviluppasse, non avesse effetto, non venisse a nascere, e
propriamente, quanto all'atto non fosse, ma solo in potenza, come tanti altri
mali, che essendo sempre, o secondo natura, solamente in potenza, la natura non
ne ha colpa nessuna. Questo stato non poteva esser altro che quello o di niuna
società, o di società non
3930 stretta. E meno stretta
in quelle specie in cui l'odio degl'individui, come individui, verso i lor
simili, era per natura della specie, maggiore in potenza, e riducendosi in atto,
ed avendo effetto, avrebbe più nociuto alla conservazione e felicità della
specie: nel che fra tutti i viventi l'odio degl'individui umani verso i lor
simili occupa, per natura loro e dell'altre specie, il supremo grado. In questa
forma adunque la natura regolò infatti proporzionatamente le relazioni
scambievoli e la società degl'individui delle varie specie, e tra queste
dell'umana; e dispose che così dovessero stare, e lo proccurò, e mise ostacoli
perchè non succedesse altrimenti. Sicchè la società stretta, massime fra
gl'individui umani, si trova, anche per questa via d'argomentazione, essere per
sua essenza e per essenza e ragion delle cose, direttamente contraria alla
natura e ragione, non pur particolare, ma universale ed eterna, secondo cui le
specie tutte debbono tendere {{e servire}} quanto è in
loro alla propria conservazione e felicità, dovechè la specie umana in istato di
società stretta necessariamente (e il prova sì la ragione sì 'l fatto di tutti i
secoli sociali) non pur non serve ma nuoce alla propria conservazione e
felicità, e serve quasi quanto è in lei alla propria distruzione e infelicità
essa medesima: cosa di cui non vi può essere la più contraddittoria in se
stessa, e la più ripugnante alla ragione, ordine, principii, natura, non men
particolare {della specie umana e} di ciascuna specie
di esseri, che universale e complessiva di tutte le cose, e della esistenza
medesima, non che della vita. (27. Nov. 1823.).
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