[189,1] L'affettazione ordinariamente è madre dell'uniformità.
Da ciò viene che sazia ben presto. In tutti gli scritti di un gusto falso e
affettato, come in tante poesie straniere, come nelle poesie orientali,
osservate che voi sentirete sempre un senso di monotonia, come guardando quelle
figure gotiche che dice Montesquieu, l. c. des
Contrastes p. 383. E questo quando anche il poeta o lo
scrittore abbia cercato la varietà a più potere. Ragioni. 1. L'arte non può mai
uguagliare la ricchezza della natura, anzi vediamo quante varietà svaniscano
quando l'arte se ne impaccia, come nei caratteri e costumi e opinioni dell'uomo
e in tutto il gran sistema della natura umana già pieno di varietà, sia nelle
idee {e nell'immaginazione} sia nel materiale, ed ora
dall'arte reso tanto uniforme. Così dunque l'affettazione. 2. L'affettazione
continua è una uniformità da se sola, cioè in quanto è una qualità continua
dell'opera d'arte. Non dite che in questo caso anche la naturalezza continua
dovrebbe riuscire uniforme. 1. la naturalezza non risalta nè stanca
190 nè dà negli occhi come l'affettazione {(ch'è una qualità estranea alla cosa),} eccetto s'ella
pure fosse ricercata e affettata, nel qual caso non è più naturalezza ma
affettazione, come spessissimo nelle dette poesie. 2. la naturalezza appena si
può chiamar qualità o maniera, non essendo qualità o maniera estranea alle cose,
ma la maniera di trattar le cose naturalmente, e com'elle sono, vale a dire in
{mille} diversissime maniere, laonde le cose sono
varie nella poesia, nello scrivere, in qualunque imitazion vera, come nella
realtà. Applicate queste osservazioni anche alle arti, p. e. ai paesaggi
fiamminghi paragonati a quelli del Canaletto veneziano (v. la
Dionigi
Pittura de' paesi), alle stampe
di Alberto Duro, dove
lo stento e l'accuratezza manifesta del taglio dà un colore uguale e monotono
alla più gran varietà di oggetti imitati nel resto eccellentemente e
variatissimamente. Così {accade che} la negligenza
apparente, e l'abbandono, lasciando cader tutte le cose nella scrittura come
cadono naturalmente (o in pittura ec.) sia certa origine di varietà, e quindi
non istanchi come le altre qualità della scrittura ec. p. e. anche l'eleganza:
giacchè nessuna stancherà meno della disinvoltura.
[203,2] L'affettazione nuoce anche alla maraviglia, capital
cagione del diletto nelle arti. Primieramente il conoscere il proposito toglie
204 la sorpresa. Poi, e questo è il principale, non
vedi {somma} difficoltà in una figura somigliantissima
al vero, ma stentata. Oltre che lo stento detrae al vero, perchè non appartiene
al vero se non la naturalezza, non è maraviglia, che con fatica ti sia riuscito,
quello che volevi. E non è maraviglia che tu facci una cosa volendo, come che tu
la facci, senza che gli altri si accorgono che tu l'abbi voluto. E non è
difficile il fare una cosa difficile, difficilmente, ma in modo che paia facile.
Così c'è il contrasto fra la nota difficoltà della cosa, e l'apparente
difficoltà del modo. L'affettazione toglie il contrasto ec. ec. V. se vuoi Montesquieu, Essai sur le
goût. Amsterdam 1781. du je ne sais quoi. p.
396.-397. (9. Agosto 1820.).
[236,1] Tutto quello che ho detto in parecchi luoghi p.
208 dell'affettazione dei francesi, della loro impossibilità di esser
graziosi ec. bisogna intenderlo relativamente alle idee che le altre nazioni o
tutte o in parte, o riguardo al genere, o solamente ad alcune particolarità,
hanno dell'affettazione grazia ec. perchè riflette molto bene Morgan
France l. 3. t. 1. p. 257. Il faut pourtant accorder beaucoup à
la différence des manières nationales; et celles de la femme
françoise la plus amie du naturel doivent porter avec elle ce qu'un
Anglois, dans le premier moment, jugera une teinte d'affectation,
jusqu'à ce que l'expérience en fasse mieux juger.
*
(9 7bre. 1820.).
[237,1]
237 Anche l'affettazione è relativa, e la tal cosa parrà
affettazione in un paese e in un altro no, in una lingua e in un[un'] altra no, o maggiore in questa e minore in quella,
dipendendo dalle abitudini, opinioni ec. L'espressione del sentimentale
conveniente in francia sarà affettata per noi, quella
conveniente per noi, sarebbe parsa affettazione agli antichi. La grazia francese
affettata per noi, non lo sarà per loro. Tuttavia è certo che la naturalezza ha
un non so che di determinato e di comune, e che si fa conoscere e gustare da
chicchessia, ma com'ella si conosce quando si trova, così le assuefazioni ec.
impediscono spessissimo di essere choqués della sua
mancanza, e di avvedercene. V. p. 201.
fine.
[704,1]
704 L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la
sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle
piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch'essendo
esperto ed avvezzo al commercio civile, si diporta francamente e scioltamente
nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde
la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza.
La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli
scrittori. Perchè quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi
della lingua, non si portano liberamente, anzi da schiavi. Perchè non
possedendola {intieramente e} fortemente, e sempre
sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E
quelli che si portano liberamente, hanno quella libertà de' plebei, che deriva
dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e dal non curarsene. E
questi in comparazione
705 degli altri sopraddetti, si
lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse
presunzione lo scriver bene (e quindi anche l'operar bene, e tutto quello che si
vuol fare convenientemente, fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene
chi {ne} dimostra presunzione. Quando anzi il
dimostrarla, non solamente in ordine alla {buona}
lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale
scrivendo si possa incorrere. Perchè in somma è la stessa cosa che
l'affettazione; e l'affettazione è la peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà,
perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di
tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza. (28. Feb.
1821.).
[1329,3] Non è mai sgraziato un fanciullino che si vergogna,
e parlando arrossisce, e non sa stare nè operare nè discorrere in presenza
altrui. Bensì un giovane poco pratico del buon tratto, e desideroso di esserlo,
o di comparirlo. Non è mai sgraziata una pastorella che non sa levar gli occhi,
trovandosi fra persone nuove, nè ha la maniera di contenersi,
1330 di portarsi ec. Bensì una donna, egualmente o anche meno timida,
e più istruita, ma che volendo figurare, o essere come le altre in una
conversazione, non sappia esserlo o non abbia ancora imparato. Così lo sgraziato
non deriva mai dalla natura (anzi le dette qualità naturali, sono graziose
sempre ec. ec.), ma bensì frequentemente dall'arte, e questa non è mai fonte di
grazia nè di convenienza, se non quando ha ricondotto l'uomo alla natura, o
all'imitazione di essa, cio è[cioè] alla
disinvoltura, all'inaffettato, alla naturalezza ec. E l'andamento necessario
dell'arte, è quasi sempre questo. Farci disimparare quello che già sapevamo
senza fatica, e toglierci quelle qualità che possedevamo naturalmente. Poi con
grande stento, esercizio, tempo, tornarci a insegnare le stesse cose, e
restituirci le stesse qualità, o poco differenti. Giacchè quella modestia,
quella timidezza, quella vergogna naturale ec. si trova bene spesso in molti,
non più naturale, chè l'hanno perduta, ma artifiziale, chè mediante l'arte
appoco appoco e stentatamente l'hanno ricuperata. (15. Luglio
1821.).
[2682,1]
2682 Grazia dal contrasto. {Conte}
Baldessar Castiglione, Il Libro del Cortegiano. lib. 1.
Milano, dalla Società tipogr. de' Classici
italiani, 1803. vol. 1. p. 43-4. Ma avendo io già più
volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle
stelle l'hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer
circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che
alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e
pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola,
usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e
dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza
pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perchè delle cose rare, e ben fatte ognun
sa
*
{+(p. 44. dell'edizione)}
la
difficultà, onde in
esse
la facilità
genera grandissima maraviglia; e per lo
contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma
disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si
sia.
*
(Roma 14. Marzo. 1823. secondo Venerdì di
Marzo.).
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