Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

28. Feb. 1821.

[704,1]   704 L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch'essendo esperto ed avvezzo al commercio civile, si diporta francamente e scioltamente nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza. La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli scrittori. Perchè quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi della lingua, non si portano liberamente, anzi da schiavi. Perchè non possedendola {intieramente e} fortemente, e sempre sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E quelli che si portano liberamente, hanno quella libertà de' plebei, che deriva dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e dal non curarsene. E questi in comparazione  705 degli altri sopraddetti, si lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse presunzione lo scriver bene (e quindi anche l'operar bene, e tutto quello che si vuol fare convenientemente, fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene chi {ne} dimostra presunzione. Quando anzi il dimostrarla, non solamente in ordine alla {buona} lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale scrivendo si possa incorrere. Perchè in somma è la stessa cosa che l'affettazione; e l'affettazione è la peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza. (28. Feb. 1821.).