Idee, quanto legate colle parole.
Ideas, how closely they are linked to words.
2487,1 2584,1 2591,1 2658,2 2948,1 4214,4 4233,1 4181,1[2487,1] Quel che si dice, ed è verissimo, che gli uomini per
lo più si lasciano governare dai nomi, da che altro viene se non da questo che
le idee e i nomi sono così strettamente legati nell'animo nostro, che fanno un
tutt'uno, e mutato il nome si muta decisamente l'idea, benchè il nuovo nome
significhi la stessa cosa? Splendido esempio ne furono i romani, esecratori del
nome regio, i quali non avrebbero tollerato un re chiamato re, e lo tollerarono
chiamato imperatore, dittatore, ec. e dichiarato inviolabile (cosa nuova) col
nome vecchio della potestà tribunizia. E che non avrebbero tollerato un re così
detto, si vede. Perocchè Cesare il
quale, bench'avesse il supremo comando, pur sospirava quel nome, non parendoli
essere re, se non fosse così chiamato, (e ciò pure per la sopraddetta qualità
dell'animo nostro, bench'egli fosse spregiudicatissimo), fattosi
2488 offerire la corona da Antonio ne' Lupercali, fu costretto rigettarla esso
stesso da' tumulti ed esecrazioni di quel popolo già vinto e schiavo, e che poi
chiamato di nuovo alla libertà, non ci venne. E gl'imperatori che furono dopo, e
che da principio (cioè finchè il nome d'imperatore non fu divenuto anche nella
immaginazion loro {e} del popolo, lo stesso e più che
re) ebbero lo stesso desiderio di Cesare, non crederono che quel popolo domo si potesse impunemente ridurre
a sostenere il nome di re, benchè non dubitarono di fargli avere {un re,} e di fargli tollerare ed anche amare la cosa
significata da questo nome. (22. Giugno. 1822.).
[2584,1] Nelle parole si chiudono e quasi si legano le idee,
come negli anelli le gemme, anzi s'incarnano come l'anima nel corpo, facendo
seco loro come una persona, in modo che le idee sono inseparabili dalle parole,
e divise non sono più quelle, sfuggono all'intelletto e alla concezione, e non
si ravvisano, come accaderebbe all'animo nostro disgiunto dal corpo. (27.
Luglio. 1822.).
[2591,1] La storia di ciascuna lingua è la storia di quelli
che la parlarono o la parlano, e la storia delle lingue è la storia della mente
umana. (L'histoire de chaque langue est l'histoire des peuples qui l'ont parlée
ou qui la parlent, et l'histoire des langues est l'histoire de l'esprit humain.)
(31. Luglio, dì di S. Ignazio Loiola. 1822.).
[2658,2]
Eademque
*
(mens aut ratio aut sapientia, ut supplet
Maius in notis et in addendis,
nam superiora in cod. desiderantur) cum accepisset homines inconditis vocibus incohatum
quiddam et confusum sonantis
*
(sonantes), incidit
*
(incídit) has et distinxit in partes;
et ut signa quaedam, sic verba rebus
inpressit, hominesque antea dissociatos
iucundissimo inter se sermonis vinclo conligavit. A simili etiam
mente, vocis qui videbantur infiniti soni, paucis notis inventis,
sunt omnes signati et expressi, quibus et conloquia cum absentibus
et indicia voluntatum, et monumenta rerum praeteritarum
tenerentur.
Accessit eo numerus,
*
(post
interventas scil. voces et litteras) res cum ad vitam necessaria,
tum
2659 una inmutabilis
et aeterna: quae prima inpulit etiam ut suspiceremus in caelum, nec
frustra siderum motus intueremur, di numerationibusque noctium ac
dierum
*
...(desunt reliqua). Cic.
De re publica, l. 3. c. 2.
Rom. 1822. p. 218-9.
(22. Dic. 1822).
[2948,1] Quanto mirabile sia stata l'invenzione
dell'alfabeto, oltre tutti gli altri rispetti e modi, si può anche per questa
via facilmente considerare. È cosa osservata che l'uomo non pensa se non
parlando fra se, e col mezzo di una lingua; che le idee sono attaccate alle
parole; che quasi niuna idea sarebbe {o è} stabile e
chiara se l'uomo non avesse, o quando ei non ha, la parola da poterla esprimere
non meno a se stesso che agli altri, e che insomma l'uomo non concepisce quasi
idea chiara e durevole se non per mezzo della parola corrispondente, nè arriva
mai a perfettamente e distintamente concepire un'idea, {anzi
neppure a} determinarla nella sua mente in modo ch'ella sia divisa
dall'altre, e divenga idea, oscura o chiara che sia, nè a fissarla in modo ch'ei
possa richiamarla, riprenderla, raffigurarla nella sua mente e seco stesso
quando che sia; non arriva, dico, a far questo mai, finch'egli non
2949 ha trovato il vocabolo con cui possa significar
questa idea, quasi legandola e incastonandola; o sia vocabolo nuovo, {o nuovamente applicato,} se l'idea è nuova, o s'egli non
conosce la parola con cui gli altri la esprimono, o sia questo medesimo vocabolo
che gli altri usano a significarla.
[4214,4] Istoria naturale. Curioso è l'osservare da quanto
piccole, quanto disparate e lontane cause sieno determinate le assuefazioni e le
4215 idee degli uomini le più costanti, e le più
universali. La così chiamata istoria naturale è una vera scienza, perocch'ella
definisce, distingue in classi, ha principii e risultati. Se la si dovesse
chiamare storia perch'ella narra le proprietà degli animali, delle piante ec.,
il medesimo nome si dovrebbe dare alla chimica, alla fisica, all'astronomia, a
tutte le scienze non astratte. Tutte queste scienze narrano, cioè insegnano
quello che si apprende dall'osservazione, la quale è il loro soggetto, come
altresì della istoria naturale. Solo le arti possono dispensarsi dal narrare,
bastando loro il dar precetti. Anche l'ideologia narra, benchè scienza astratta.
Oltre che il nome di storia, secondo la sua generale accezione, significa
racconto di avvenimenti successivi e susseguenti gli uni agli altri, non di quel
che sempre accadde ed accade ad un modo. Questo racconto appartiene alle
scienze. Esso è insegnamento. Or tale è il raccontar che fa la storia naturale.
Perchè dunque si dà a questa scienza il nome di storia? Perocch'essa fu fondata
da Aristotele: il quale la chiamò
istoria, perchè questo nome in greco viene da istor
(conoscente, {intendente} dotto), verbale fatto dal
verbo isémi (scio) e vale conoscenza, {notizia,}
erudizione, sapere,
dottrina, scienza, {ϕυσικὴ ἱστορία, notizia della natura.} Così la
Varia
istoria d'Eliano, non è altro che Varia erudizione; così i libri παντοδαπῆς
ἱστορίας d'altri scrittori greci, {opere filologiche.}
E istoria equivale in certo modo in greco a filosofia,
e spesso si prende per questa, specialmente da' più antichi, o da'
sofisti-arcaisti. Quindi Aristotele intitolò anche istoria degli animali altra
sua opera di zoologia, Teofrasto
istoria delle piante opera di fitologia
ec. {+Plinio
Istoria naturale opera
enciclopedica e non ristretta nei termini della Scienza così nominata. V. p. 4234.} Ma noi che
annettiamo tutt'altra idea al nome istoria, avremmo
dovuto tradurlo,
4216 massime trattandosi del nome di
una scienza; chè se nelle scienze ogni termine dev'esser preciso e non dar luogo
ad equivoco, molto più il nome suo stesso. Nondimeno l'abbiamo adottato tal
quale; e per effetto di questa disparatissima causa, il nome di questa scienza,
nome che {le} è stato e sarà sempre e universalmente
fisso e inseparabile, produce in tutti un'idea equivoca, che mescola le nozioni
di storia a quella di scienza; che fa dare ai cultori e scrittori di questa il
nome di storici della natura, il quale niun pensò mai di dare a Lavoisier nè a Volta, nè di chiamar Cassini o Galileo storici
degli astri o del cielo. Confusione e imprecisione di idea, da cui niuno si
potrà difendere finchè sarà conservato alla detta scienza il detto nome, che non
le potrà essere mai tolto presso nazione alcuna sino all'estinzione della
presente civiltà, (Bolog. 13. Ott. 1826.)
{{e al sorgimento di un'altra che non derivi da
questa.}}
[4233,1]
4233 Il tempo non è una cosa. Esso è uno accidente
delle cose, e indipendentemente dalla esistenza delle cose è nulla; è uno
accidente di questa esistenza; o piuttosto è una nostra idea, una parola. La
durazione delle cose che sono, è il tempo: come 7200 battute di un pendolo da
oriuolo sono un'ora; la quale ora però è un parto della nostra mente, e non
esiste, nè da se medesima, nè nel tempo, come membro di esso, non più di quel
che ella esistesse prima dell'invenzione dell'oriuolo. In somma l'esser del
tempo non è altro che un modo, un lato, per dir così, del considerar che noi
facciamo la esistenza delle cose che sono, o che possono o si suppongono poter
essere. Medesimamente dello spazio. Il nulla non impedisce che una cosa che è,
sia, stia, dimori. Dove nulla è, quivi niuno impedimento è che una cosa non vi
stia o non vi venga. Però il nulla è necessariamente luogo. È dunque una
proprietà del nulla l'esser luogo: proprietà negativa, giacchè anche l'esser di
luogo è negativo puramente e non
altro. Sicchè, come il tempo è un modo o un lato del considerar la esistenza
delle cose, così lo spazio non è altro che un modo, un lato, del considerar che
noi facciamo il nulla. Dove è nulla quivi è spazio, e {il} nulla senza spazio non si può dare. Per tanto è manifesto che
eziandio fuori degli ultimissimi confini dell'universo esistente, v'è spazio,
poichè nulla v'è. E se qualche cosa potesse essere o creata o spinta di là da
quegli estremi confini, troverebbe luogo; che è quanto dire non troverebbe nulla
che le impedisse di andarvi o di starvi. La conclusione {si} è che tempo e spazio non sono in sostanza altro che idee, anzi
nomi. E quelle innumerabili e immense quistioni agitate dalla origine della
metafisica in qua, dai primi metafisici d'ogni secolo, circa il tempo e lo
spazio, non sono che logomachie, nate da malintesi, e da poca chiarezza d'idee e
poca facoltà di analizzare il nostro intelletto, che è il solo luogo dove il
tempo e lo spazio, come tante altre cose astratte, esistano indipendentemente e
per se medesimi, e sian qualche cosa. (Recanati.
14. Dic. 1826.).
[4181,1]
Alla p. 4178.
fine. L'ipotesi dell'eternità della materia non sarebbe un'obbiezione
a queste proposizioni. L'eternità, il tempo, cose sulle quali tanto disputarono
gli antichi, non sono, come hanno osservato i metafisici moderni, non altrimenti
che lo spazio, altro che un'espressione di una nostra idea, relativa al modo di
essere delle cose, e non già cose nè enti, come parvero stimare gli antichi,
anzi i filosofi fino ai nostri giorni. La materia sarebbe eterna, e nulla perciò
vi sarebbe d'infinito. Ciò non vorrebbe dire altro, se non che la materia, cosa
finita, non avrebbe mai cominciato ad essere, nè mai lascerebbe di essere; che
il finito è sempre stato e sempre sarà. Qui non vi avrebbe d'infinito che il
tempo, il quale non è cosa alcuna, è nulla, e però la infinità del tempo non
proverebbe nè l'esistenza nè la possibilità di enti infiniti, più di quel che lo
provi la infinità del nulla, infinità che non esiste nè può esistere se non
nella immaginazione o nel linguaggio, ma che è pure una qualità propria ed
inseparabile dalla idea o dalla parola nulla, {il
quale} pur non può essere se non nel pensiero o nella lingua, {e} quanto al pensiero o
4182
alla lingua. (Bologna. 4. Giugno. 1826.
Domenica.).
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