Lirica.
Lyrcal poetry.
23,5 28,3 245,2 1057-8 1856 2049,1 2172,1 2361,1 2533,1 3046 3228 3269,1 4234,5[23,5] Quell'affetto nella lirica che cagiona l'eloquenza, e
abbagliando meno persuade e muove più, e più dolcemente massime nel tenero, non
si trova in nessun lirico, nè antico nè moderno se non nel Petrarca, almeno almeno in quel grado: e Orazio quantunque forse sia superiore
nelle immagini e nelle sentenze, in questo affetto ed eloquenza e copia non può
pur venire al paragone col Petrarca: il
cui stile ha in oltre (io non parlo qui solo delle canzoni amorose ma anche
singolarmente e nominatamente delle tre liriche: O aspettata in ciel beata e
bella, Spirto gentil che quelle membra reggi,
Italia
mia ec.) ha una semplicità e candidezza sua propria, che
però si piega e si accomoda mirabilmente alla nobiltà e magnificenza del dire,
(come in quel: Pon mente
al temerario ardir di Serse
ec.
*
) così in tutto il corpo e continuatamente, come nelle
varie parti e in quelle dove egli si alza a maggior sublimità e nobiltà che per
l'ordinario: si piega alle sentenze (come in quel: Rade volte addivien che a l'alte
imprese
*
ec.) quantunque di quelle spiccate non n'abbia
gran fatto in quelle tre canzoni: si piega ottimamente alle immagini delle quali
le tre canzoni abbondano e sono innestate nello stile e formanti il sangue di
esso ec. (come: Al qual
come si legge, Mario aperse sì
'l fianco
*
ec. Di lor vene ove il nostro ferro mise
*
ec.
Le man le avess'io
avvolte entro i capegli
*
ec.)
[28,3] Dei quattro lirici ch'io ho mentovati di sopra oltre il
Manfredi e il Zappi che sono di un'altra classe, mentre questi
appartengono a quella de' Pindarici e Alcaici e Simonidei ed Oraziani, ossia
Eroici e Morali principalmente, io do il primo luogo al Chiabrera, il secondo al Testi de' quali se avessero avuto più studio e più
fino gusto, e giudizio più squisito quegli avrebbe potuto essere effettivamente
il Pindaro, e questi effettivamente
l'Orazio italiano. Tra il Filicaja e il Guidi non so a chi dare la preferenza; mi basta che
tutti e due sieno gli ultimi e a gran distanza degli altri due, mentre, secondo
me, quando anche fossero stati in tempi migliori, non aveano elementi di lirici
più che mediocri anzi forse non si sarebbero levati a quella fama ch'ebbero e in
parte hanno.
[245,2] La lirica si può chiamare la cima il colmo la sommità
della poesia, la quale è la sommità del discorso umano. Però i francesi che sono
rimasti molte miglia indietro del sublime nell'epica, molto meno possono mai
sperare una vera lirica, alla quale si richiede un sublime d'un genere tanto più
alto. Il Say nei Cenni sugli uomini e la
società, chiama l'ode, la
sonata della letteratura
*
. È un pazzo se stima che l'ode
non possa esser altro, ma ha gran ragione e intende parlare delle odi che
esistono, massime delle francesi.
[1057,1] Ora lascerò stare che in quelle medesime parti di
letteratura che più soprastanno, e più furono coltivate in
italia; in quelle medesime dove noi primeggiamo su
tutti i forestieri, la nostra letteratura è ben lungi ancora dalla perfezione e
raffinatezza della greca e latina, che in queste tali parti sono, e furon prese
effettivamente a modelli, da' nostri scrittori: {e per
conseguenza propriamente parlando, sono ancora imperfette.} Ma la
nostra eloquenza, e più la nostra filosofia (e nella filosofia trovava povera la
lingua latina Lucrezio) non sono
solamente imperfette, ma neppure incominciate. Quanti altri generi di
letteratura, (prendendo questa parola nel più largo senso), e di poesia come di
prosa, o ci mancano affatto, o sono in culla, o sono difettosissimi! Lasciando
gl'infiniti altri, la lirica italiana, quella parte in cui
l'italia, a parere del Verri
(Pref. al Senof. del Giacomelli),
1058 e della
universalità degl'italiani, è senza
emola, eccetto il Petrarca che
spetta piuttosto all'elegia, chi può mostrare all'europa
senza vergogna? Gli sforzi del Parini
(veri sforzi e stenti, secondo me) mostrano e quanto ci mancasse, e quanto poco
si sia guadagnato.
[1850,1]
{+Fra' moderni,} i tedeschi, certo
abilissimi nelle materie astratte, sembrano fare eccezione al mio sistema, e son
tutto il fondamento del sistema contrario; giacchè gl'inglesi per indole
spettano piuttosto al mezzodì, come altrove ho detto pp. 1043-44. Ma questi tedeschi ne' quali
l'immaginazione e il sentimento (parlando in genere) è tanto più falso, e
forzato, e innaturale e debole per se stesso, quanto apparisce più vivo ed
estremo (giacchè questa estremità deriva in essi manifestamente da cagione
1851 contraria che negli orientali, il cui clima è
l'{estremo} opposto del loro); questi tedeschi
{il cui spirito} come dice la Staël, (De l'Allem.
{{tom. 1.}} 1. part. ch. 9. 3.me édit. p. 79.)
est presque nul à la
superficie, a besoin d'approfondir pour comprendre, ne saisit rien
au vol
*
; questi tedeschi sempre bisognosi di
analisi, di discussione, di esattezza; questi tedeschi sì generalmente e sì
profondamente applicati da circa due secoli alle meditazioni astratte, e queste
quasi esclusivamente, hanno certo sviluppato delle verità non poche, scoperte da
altri; hanno recato chiarezza a molte cose oscure; hanno trovato non piccole e
non poche verità secondarie; hanno insomma giovato sommamente ai progressi della
metafisica, e delle scienze esatte materiali o no; ma qual grande scoperta,
specialmente in metafisica, è finora uscita dalle tante scuole tedesche ec. ec.?
Quando ha {mai} un tedesco gettato sul gran sistema
delle cose un'occhiata onnipotente che gli abbia rivelato un grande e veramente
1852 fecondo segreto della natura, o un grande ed
universale errore? (giacchè la scoperta delle verità non è ordinariamente altro
che la riconoscenza degli errori.) Il colpo d'occhio de' tedeschi nelle stesse
materie astratte non è mai sicuro, benchè sia liberissimo, (e tale infatti non
può essere senza gran forza d'immaginare, di sentire, e senza una naturale
padronanza della natura, che non hanno se non le grand'anime.) La minuta e
squisita analisi, non è un colpo d'occhio: essa non iscuopre mai un gran punto
della natura; il centro di un gran sistema; la chiave, la molla, il complesso
totale di una gran macchina. Quindi è che i tedeschi son ottimi per mettere in
tutto il loro giorno, estendere, ripulire, perfezionare, applicare ec. le verità
già scoperte (ed è questa una gran parte dell'opera del filosofo); ma poco
valgono a ritrovar da loro nuove e grandi verità. Essi errano anche bene spesso,
malgrado il più fino ragionamento, come chi analizza senza intimamente sentire,
nè quindi perfettamente conoscere, giacchè grandissima
1853 e principalissima parte della natura non si può conoscere senza
sentirla, anzi conoscerla non è che sentirla. Oltrechè a chi manca il colpo
d'occhio non può veder molti nè grandi rapporti, e chi non vede molti e grandi
rapporti, erra per necessità bene spesso, con tutta la possibile esattezza.
L'immaginazione de' tedeschi (parlo in genere) essendo poco naturale, poco
propria {loro,} ed in certo modo artefatta e fattizia,
e quindi falsa benchè vivissima, non ha quella spontanea corrispondenza ed
armonia colla natura che è propria delle immaginazioni derivanti e fabbricate
dalla stessa natura. (Altrettanto dico del sentimento). Perciò essa li fa
travedere e sognare. E quando un tedesco vuole speculare e parlare in grande,
architettare da se stesso un gran sistema, fare una grande innovazione in
filosofia, o in qualche parte speciale di essa, ardisco dire ch'egli
ordinariamente delira. L'esattezza è buona per le parti, ma non per il tutto.
Ella costituisce lo spirito
1854 de' tedeschi; or ella
o non è buona o non basta alle grandi scoperte. Quando delle parti le più
minutamente ma separatamente considerate si vuol comporre un gran tutto, si
trovano mille difficoltà, contraddizioni, ripugnanze, assurdità, dissonanze e
disarmonie; segno certo ed effetto necessario della mancanza del colpo d'occhio
che scuopre in un tratto le cose contenute in un vasto campo, e i loro
scambievoli rapporti. È cosa ordinarissima anche negli oggetti materiali e in
mille accidenti della vita, che quello che si verifica o pare assolutamente vero
e dimostrato nelle piccole parti, non si verifica nel tutto; e bene spesso si
compone un sistema falsissimo di parti verissime, o che tali col più squisito
ragionamento si dimostrano, considerandole segregatamente. Questo effetto deriva
dall'ignoranza de' rapporti, parte principale della filosofia, ma che non si
ponno ben conoscere senza una padronanza sulla natura, una padronanza ch'essa
stessa vi dia, sollevandovi sopra di se, una forza di colpo d'occhio, tutte le
1855 quali cose non possono stare e non derivano,
se non dall'immaginazione e da ciò che si chiama genio in tutta l'estensione del
termine. I tedeschi si strisciano sempre intorno e appiedi alla verità; di rado
l'afferrano con mano robusta: la seguono indefessamente per tutti gli
andirivieni di questo laberinto della natura, mentre l'uomo caldo di entusiasmo,
di sentimento, di fantasia, di genio, e fino di grandi illusioni, situato su di
una eminenza, scorge d'un'occhiata tutto il laberinto, e la verità che sebben
fuggente non se gli può nascondere. Dopo ch'egli ha comunicato i suoi lumi e le
sue notizie a de' filosofi come i tedeschi, questi l'aiutano potentemente a
descrivere e perfezionare il disegno del laberinto, considerandolo ben bene
palmo per palmo. Quante grandissime verità si presentano sotto l'aspetto delle
illusioni, {e} in forza di grandi illusioni; e l'uomo
non le riceve se non in grazia di queste, e come riceverebbe una grande
illusione! Quante grandi illusioni concepite in un momento
1856 o di entusiasmo, o di disperazione o insomma di esaltamento, sono
in effetto le più reali e sublimi verità, o precursore di queste, e rivelano
all'uomo come per un lampo improvviso, i misteri più nascosti, gli abissi più
cupi della natura, i rapporti più lontani o segreti, le cagioni più inaspettate
e remote, le astrazioni le più sublimi; dietro alle quali cose il filosofo
esatto, paziente, geometrico, si affatica indarno tutta la vita a forza di
analisi e di sintesi. Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e
manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l'uomo infiammato del più pazzo
fuoco, l'uomo la cui anima è in totale disordine, l'uomo posto in uno stato di
vigor febbrile, {+e straordinario
(principalmente, anzi quasi indispensabilmente corporale),} e quasi di
ubbriachezza? Pindaro ne può essere un
esempio: ed anche alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veramente che di
rado avviene, all'impeto di una viva fantasia e sentimento. {{V. p. 1961.
capoverso ult.}}
[2049,1]
Alla p. 2043.
margine. La bellezza e il diletto dello stile d'Orazio, e d'altri tali stili energici e rapidi, massime
poetici, giacchè alla poesia spettano le qualità che son per dire, e soprattutto
lirici, deriva anche sommamente da questo, ch'esso tiene l'anima in continuo e
vivissimo moto ed azione, col trasportarla a ogni tratto, e spesso bruscamente,
da un pensiero, da un'immagine, da un'idea, da una cosa ad un'altra, e talora
assai lontana, e diversissima: onde il pensiero ha da far molto a
2050 raggiungerle tutte, è sbalzato qua e là di
continuo, prova quella sensazione di vigore (v. p. 2017. capoverso ult.) che si prova nel fare un
rapido cammino, o nell'esser trasportato da veloci cavalli, o nel trovarsi in
una energica azione, ed in un punto di attività (v. p. 1999.); è sopraffatto dalla moltiplicità, e
dalla differenza delle cose, (v. la mia teoria
del piacere
pp. 165. sgg. ) ec. ec.
ec. E quando anche queste cose non sieno niente nè belle, nè grandi, nè vaste,
nè nuove ec. nondimeno questa sola qualità dello stile, basta a dar piacere
all'animo, il quale ha bisogno di azione, perchè ama soprattutto la vita, e
perciò gradisce anche e nella vita, e nelle scritture una certa non eccessiva
difficoltà, che l'obbliga ad agire vivamente. E tale è il caso d'Orazio, il quale alla fine non è poeta
lirico che per lo stile. Ecco come lo stile anche separato dalle cose, possa pur
essere una cosa, e grande; tanto che uno può esser poeta, non avendo
2051 altro di poetico che lo stile: e poeta vero, {e universale,} e per ragioni intime, e qualità
profondissime, ed elementari, e però universali dello spirito umano.
[2172,1] Sono tanto più {ardite}
poetiche le lingue e gli stili antichi, che i moderni, che {+(per quanto qualunque di esse antiche sia affine a
qualunque delle moderne, per quanto questa sia fra le moderne arditissima,
poeticissima liberissima e ciò per clima, carattere nazionale ec.)}
anche nella lingua italiana la più poetica e ardita delle perfettamente formate
fra le moderne, {e figlia germana della latina,} un
ardire della prosa latina non riesce comportabile se non in verso, un ardire
proprio dell'epica latina, non si può tollerare se non nella nostra lirica. Anzi
la più ardita delle nostre poesie (o per genere, o per istile particolare
dell'autore ec.) quando va più avanti in ardire, non va più là di quello che
andassero i greci o i latini nella loro poesia più rimessa; anzi spessissimo una
frase, metafora ec. prosaica ed usitata (forse anche familiare) in latino o in
greco, non può esser che lirica in italiano.
[2361,1] Che vuol dire che l'uomo ama tanto l'imitazione e
l'espressione ec. delle passioni? e più delle più vive? e più l'imitazione la
più viva ed efficace? Laonde o pittura, o scultura, o poesia, {ec.} per bella, efficace, elegante, e pienissimamente
imitativa ch'ella sia, se non esprime passione, {+se non ha per soggetto veruna passione, (o solamente
qualcuna troppo poco viva)} è sempre posposta a quelle che
l'esprimono, ancorchè con minor perfezione nel loro soggetto. E le arti che non
possono esprimere passione, come l'architettura, sono tenute le infime fra le
belle, e le meno dilettevoli. E la drammatica e la lirica son tenute fra le
prime per la ragione
2362 contraria. Che vuol dir ciò?
non è dunque la sola verità dell'imitazione, nè la sola bellezza e dei soggetti,
e di essa, che l'uomo desidera, ma la forza, l'energia, che lo metta in
attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L'uomo odia l'inattività, e di
questa vuol esser liberato dalle arti belle. {{Però le
pitture di paesi, gl'idilli ec. ec. saranno sempre d'assai poco effetto; e
così anche le pitture di pastorelle, di scherzi ec. di esseri insomma senza
passione: e lo stesso dico della scrittura, della scultura, e
proporzionatamente della musica. (26. Gen. 1822.).}}
[2533,1] 1. La maggior fama degli scrittori del 500 fu a quei
tempi, come verseggiatori, e specialmente lirici, e questi ognun sa ch'erano
servili imitatori del Petrarca, e quindi
del 300, e si veda nell'Apologia del Caro, la misera presunzione ch'avevano di scrivere
come il Petrarca, e che non s'avessero a
usar parole o modi non usati da lui, come anche nelle prose volevano restringer
la lingua a quella sola del Boccaccio, e
siamo pur lì. Certo è, nè per chiunque è pratico dello spirito che governava la
repubblica nostra letteraria nel 500, è bisogno di molte parole a dimostrargli,
che l'apice della letteratura, e quello a cui nondimeno aspiravano
2534 tanto gl'infimi quanto i sommi, era la lirica
Petrarchesca, cioè 300istica, e non 500istica. E gli scrittori più grandi in
ogni altro genere o prosaico o poetico, divenivano famosi principalmente pe'
loro sonetti e canzoni petrarchesche che si divulgavano come un lampo per
l'italia, si trascrivevano subito, si domandavano,
erano il trattenimento delle Dame, e queste ne chiedevano ai letterati, e i
letterati se ne chiedevano scambievolmente, e ne ricevevano e restituivano con
proposte e risposte ec. E senza questi versi difficilmente s'arrivava alla
riputazion di letterato. Osservate, per non allontanarmi dall'esempio più volte
addotto, il Caro, le cui rime sono la
sola cosa che di lui non si legga più. Aveva il Caro grandissima fama, ma dalle sue lettere vedrete
che questa riposava essenzialmente e soprattutto nell'opinion ch'egli avea di
poeta (che nol fu mai), e
2535 tutto il restante suo
merito letterario, s'aveva in lui, come in tutti gli altri, per mero accessorio.
E fu stimato gran poeta, non già per l'Eneide,
{+ch'oggi s'ammira, e si
ristampa,} ch'è scritta in istile e lingua propria del suo tempo,
benchè abbellita al suo modo, e arricchita di latinismi. Questa fu opera postuma
e non levò molto grido nel 500. Il Caro fu creduto un sommo letterato perchè sapeva rimare alla
Petrarchesca, e giudicar di tali pretese poesie. E la sua famosa
Canzone fu strabocchevolmente ammirata (ed oggi non s'arriva
a poterla legger tutta) perchè si disse che il Petrarca non l'avrebbe scritta altrimenti. (Caro, Apolog. p.
18.). E chi non sa l'inferno che cagionò in
italia, e come nella disputa di quell'impiccio
petrarchesco ci prese parte tutta la nazion letterata, considerandola come affar
di tutta la letteratura? Fatto sta che le maravigliose prose del Caro, benchè stimate,
2536 non furono già ammirate nel 500 (quanto alla
lingua). Ed è certo che la lingua del Caro, come l'immaginazione e l'ingegno di Dante, son venute principalmente in onore, e riposte
nel sommo luogo che meritano, in questo e sulla fine del passato secolo. Il che,
di Dante, si vede anche fra gli
stranieri. E quanto a lui, ciò si deve al perfezionamento de' lumi, e del gusto,
e della filosofia, e della teoria dell'arti, e del sentimento del vero bello.
Quanto al Caro, ciò viene in gran
parte da circostanze materiali.
[3044,1] Altri poeti non drammatici si restrinsero pure a
tale o tal dialetto particolare, e per conseguenza scrissero a una sola nazione
o parte della grecia, {e questa si
proposero per uditorio} (com'è verisimilissimo che facesse anche Omero); nè questi furono pochi, anzi fra
gli antichi furono i più. E si può dir che la totale, confusa, indifferente,
copiosa mescolanza de' dialetti nel linguaggio poetico greco, e il seguir
ciecamente la lingua e l'uso di Omero
non sia proprio se non de' poeti greci più moderni e nella decadenza della
poesia, come Apollonio Rodio, Arato, Callimaco e tali altri de' tempi de' Tolomei, quando già la base della
letteratura greca era l'imitazione de' suoi antichi classici. Perocchè di Esiodo contemporaneo di Omero, o poco anteriore o posteriore, non
è maraviglia se il suo linguaggio si trova omerico: spieghisi l'uso di
3045 questo linguaggio in lui, colle ragioni e
considerazioni stesse con cui si spiega in Omero. In Anacreonte v'ha
pochissima mescolanza di dialetti. (V. Fabric.
B. G. in Anacr.) Certo il suo linguaggio è tutt'altro da quello di Omero. Esso è Ionico. Saffo scrisse in Eolico. Empedocle, benchè Siciliano e pittagorico, adoperò in
vece del dorico l'ionico. (V. Fabric. in Empedocle, Giordani sull'Empedocle di Scinà, fine dell'artic.
secondo). Forse che il dialetto ionico era allora il più comune della
grecia? Probabile, pel gran commercio di quella
nazione tutta marittima e mercantile. Forse quello che noi chiamiamo ionico
{non} era in quel tempo {che il
linguaggio} comune della grecia, siccome poi lo
fu con certe restrizioni l'attico, che nacque {pur}
dall'ionico? Probabile ancora; e in tal caso sarebbe risoluta {anche} la quistione intorno ad Omero, il quale da tutti e[è] riconosciuto per poeta principalmente ionico di linguaggio; e si
confermerebbe la mia opinione che il linguaggio da lui seguito, non fosse {allora} che l'idioma comune di tutta la
grecia, siccome l'italiano
3046 del Tasso è l'italiano
comune di tutta l'italia. O forse la
grecia era ancor troppo poco colta universalmente per
aver un linguaggio comune già regolato e perfetto, e in mancanza di questo
serviva l'ionico, come il più divulgato perchè proprio della nazione più
commerciante? O finalmente Empedocle
scelse l'ionico per imitare e seguire Omero? Molto probabile. In Pindaro e in altri lirici del suo o di simil genere, la mescolanza
de' dialetti non fa maraviglia. Essa è licenza piuttosto che istituto
(ἐπιτήδευμα); e questa licenza è naturale in quel genere licenziosissimo in ogni
altra cosa, come stile, immagini, concetti, transizioni, sentenze ec.
[3224,1] Perocchè io non dubito che i mirabili effetti che si
leggono aver prodotto la musica e le melodie greche sì ne' popoli, ossia in
interi uditorii, sì negli eserciti, siccome quelle di Tirteo, sì ne' privati, come in
Alessandro;
effetti tanto superiori a quelli che l'odierna musica non solo produca, ma
sembri pure, assolutamente parlando, capace di mai poter produrre; effetti che
necessitavano i magistrati i governi i legislatori a pigliar provvidenze e fare
regolamenti e quando ordini, quando divieti, intorno alla musica, come a cosa di
Stato (v. il Viag.
d'Anacarsi, Cap. 27. trattenimento secondo); (e parlo qui
degli effetti della musica greca che si leggono nelle storie e
avvenute[avvenuti] fra' greci civili, non di
que' che s'hanno nelle favole, accaduti a' tempi salvatichi); non
3225 dubito, dico, che questi effetti, e la superiorità
della greca musica sulla moderna, che pur quanto a' principii ed alle regole,
dalla greca deriva, non venga da questo, ch'essendo fra' greci l'arte musicale,
sebbene adulta, pur tuttavia ancora scarsa, non offriva ancora abbastanza al
compositore da coniare o inventar di pianta nuove melodie che niun'altra ragione
avessero di esser tali se non le regole sole dell'arte; nè da {poter} gittarne sopra queste regole unicamente, o sopra
le forme e melodie musicali da altri inventate
di pianta, delle quali non poteva
ancora avervi così gran copia, come ve n'ha tra' moderni. Ma quel ch'è più,
l'arte, sebben cominciò anche tra' greci a corrompersi e declinare da' suoi
principii, e da' suoi propri obbietti o fini {e
instituti,} anzi molto avanzò nella corruzione (v. Viag. d'Anac. l.
c.), non giunse tuttavia di gran lunga ad allontanarsi tanto come tra
noi, e così decisamente e costantemente, dalla sua prima origine, dal primo
fondamento e ragione delle sue regole, dalla prima materia delle sue
composizioni, cioè le popolari melodie; nè a dimenticare,
3226 come oggi, impudentemente e totalmente il suo primo e proprio
fine, cioè di dilettare e muovere l'universale degli uditori ed il popolo; nè,
molto meno, giunse a rinunziar quasi interamente e formalmente a questo fine, e
scambiarlo apertamente in quello di dilettare, {o}
maravigliare, o costringere a lodare e applaudire una sola e sempre scarsissima
classe di persone, cioè quella degl'intendenti: il quale per verità è il fine
che realmente si propone la musica tedesca, inutile a tutti fuori che
agl'intendenti, e non già superficiali, ma ben profondi. Non fu così la Musica
greca. E in questo ravvicinamento della moderna musica al popolare,
ravvicinamento così biasimato dagl'intendenti, e che sarà forse cattivo per il
modo, ma in quanto ravvicinamento al popolare è non solo buono, ma necessario, e
primo debito della moderna musica; in questo ravvicinamento, dico, vediamo
quanto l'effetto della musica abbia guadagnato e in estensione, cioè nella
universalità, e in vivezza, cioè nel maggior diletto, ed anche talor maggior
commovimento degli animi.
3227 Che se in niuna parte, e
meno in quest'ultima, gli effetti della moderna musica sono per anche
paragonabili a quelli che si leggono della greca, è da considerarsi che l'uomo
oggidì è disposto in modo da non lasciarsi mai veementemente muovere a nessuna
parte; che analogamente a questa generale disposizione, neanche le melodie
assolutamente popolari d'oggidì, son tali {nè di tal
natura} che possano facilmente ricevere dal compositore una forma da
produrre in veruno animo un più che tanto effetto; e che in ultimo i compositori
non iscelgono nè quelle melodie popolari o parti di esse che meglio si
adatterebbero alla forza e profondità dell'effetto, nè in quelle che scelgono,
ci adoprano quei mezzi che si richieggono a produrre un effetto simile, nè così
le lavorano e {dispongono} come converrebbe per tal
uopo: e ciò non fanno perchè nol vogliono e perchè nol sanno. Nol sanno perchè
privi essi medesimi d'ispirazione veramente sublime e divina, e di sentimenti
forti e profondi nel comporre in qualsiasi genere, non possono nè scegliere nè
usar lo scelto in modo da
3228 produr negli uditori
queste siffatte sensazioni ch'essi mai non provarono nè proveranno. Nol
vogliono, perchè appunto non conoscendo tali sensazioni, nulla o ben poco le
stimano, nè altro fine si propongono che il diletto superficiale e il grattar
gli orecchi, al che di gran lunga pospongono le grandi e nobili e forti
emozioni, di cui mai non fecero esperimento. Ma che maraviglia? quando gli
antichi musici erano i poeti, quegli stessi che per la sublimità de' concetti,
per la eleganza e grandezza dello spirito brillano nelle carte che di loro ci
rimangono, o perdute queste coi ritmi da loro inventati e applicativi, vivono
immortali i loro nomi nella memoria degli uomini, e ciò talora eziandio per
egregi e magnanimi fatti? E quando all'incontro i moderni musici, stante le
circostanze della loro vita, e delle moderne costumanze a loro riguardo, sono
per corruzione, per delizie, per mollezza e bassezza d'animo il peggio del
peggior secolo che nelle storie si conti? la feccia della feccia delle
generazioni? Da vita, opinioni e costumi vili, adulatorii, dissipati,
3229 effeminati, infingardi, come può nascer concetto
alto, nobile, generoso, profondo, virile, energico? Ma questo discorso
porterebbe troppo innanzi, e condurrebbe necessariamente al parallelo della
musica e de' musici colle altre arti e loro professori, a quello della moderna
musica coll'antica, e delle moderne usanze colle antiche relative al proposito;
e finalmente a trattare della funesta separazione della musica dalla poesia e
della persona di musico da quello di poeta, attributi anticamente, e secondo la
primitiva natura di tali arti, indivise e indivisibili (v. il Viag. d'Anac. l.
c. {+particolarmente l'ult. nota al
c. 27.}). Il qual discorso da molti è stato fatto, e qui non
sarebbe che digressione. Però lo tralascio.
[3269,1] Il poeta lirico nell'ispirazione, il filosofo nella
sublimità della speculazione, l'uomo d'immaginativa e di sentimento nel tempo
del suo entusiasmo, l'uomo qualunque nel punto di una forte passione,
nell'entusiasmo del pianto; ardisco anche soggiungere, mezzanamente riscaldato
dal vino, vede e guarda le cose come da un luogo alto {+e superiore a quello in che la mente degli uomini suole
ordinariamente consistere.} Quindi è che scoprendo in un sol tratto
molte più cose ch'egli non è usato di scorgere a un tempo, e d'un sol colpo
d'occhio discernendo e mirando una moltitudine di oggetti, ben da lui veduti più
volte ciascuno, ma non mai tutti insieme (se non in altre simili congiunture),
egli è in grado di scorger con essi i loro rapporti scambievoli, e per la novità
di quella moltitudine
3270 di oggetti tutti insieme
rappresentantisegli, egli è attirato e a considerare, benchè rapidamente, i
detti oggetti meglio che per l'innanzi non avea fatto, e ch'egli non suole; e a
voler guardare e notare i detti rapporti. Ond'è ch'egli ed abbia in quel momento
una straordinaria facoltà di generalizzare (straordinaria almeno relativamente a
lui ed all'ordinario del suo animo), e ch'egli l'adoperi; e adoperandola scuopra
di quelle verità generali e perciò veramente grandi e importanti, che indarno
fuor di quel punto e di quella ispirazione {e quasi μανία e
furore} o filosofico o passionato o poetico o altro, indarno, dico,
con lunghissime e pazientissime {+ed
esattissime} ricerche, esperienze, confronti, studi, {ragionamenti,} meditazioni, esercizi della mente,
dell'ingegno, della facoltà di pensare di riflettere di osservare di ragionare,
indarno, ripeto, non solo quel tal uomo o poeta o filosofo, ma qualunqu'altro o
poeta o ingegno qualunque o filosofo acutissimo e penetrantissimo, anzi pur
molti filosofi insieme cospiranti, e i secoli stessi col successivo avanzamento
dello spirito umano, cercherebbero di scoprire, {o}
d'intendere, o {di} spiegare, siccome
3271 colui, mirando a quella ispirazione, facilmente e
perfettamente e pienamente fa a se stesso in quel punto, e di poi {a se stesso ed} agli altri, purch'ei sia capace di ben
esprimere i propri concetti, ed abbia bene e chiaramente e distintamente
presenti le cose allora concepite e sentite. (26. Agos. 1823.).
[4234,5] La poesia, quanto a' generi, non ha in sostanza che
tre vere e grandi divisioni: lirico, epico e drammatico. Il lirico, primogenito
di tutti; proprio di ogni nazione anche selvaggia; più nobile e più poetico d'ogni altro; vera {e pura} poesia in tutta la sua estensione; proprio
d'ogni uomo anche incolto, che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto, e
colle parole misurate in qualunque modo, e coll'armonia; espressione libera e
schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell'uomo. L'epico nacque dopo
questo e da questo; non è in certo modo che un'amplificazione del lirico, o
vogliam dire il genere lirico che tra gli altri suoi mezzi e subbietti ha
assunta
4235 principalmente e scelta la narrazione,
poeticamente modificata. Il poema epico si cantava anch'esso sulla lira o con
musica, per le vie, al popolo, come i primi poemi lirici. Esso non è che un inno
in onor degli {eroi o delle nazioni o eserciti;}
solamente un inno prolungato. Però anch'esso è proprio d'ogni nazione anche
incolta e selvaggia, massime se guerriera. E veggonsi i canti di selvaggi in
gran parte, e quelli ancora de' bardi, partecipar tanto dell'epico e del lirico,
che non si saprebbe a qual de' due generi attribuirli. Ma essi son veramente
dell'uno e dell'altro insieme; sono inni lunghi e circostanziati, di materia
guerriera per lo più; sono poemi epici indicanti il primordio, la prima natività
dell'epica dalla lirica, individui del genere epico nascente, e separantesi, ma
non separato ancora dal lirico. Il drammatico è ultimo dei tre generi, di tempo
e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma un'invenzione; figlio della civiltà,
non della natura; poesia per convenzione e per volontà degli autori suoi, più
che per la essenza sua. La natura insegna, è vero, a contraffar la voce, le
parole, i gesti, gli atti di qualche persona; e fa che tale imitazione, ben
fatta, rechi piacere: ma essa non insegna a farla in dialogo, molto meno con
regola e con misura, anzi n'esclude la misura affatto, n'esclude affatto
l'armonia; giacchè il pregio {e il diletto} di tali
imitazioni consiste tutto nella precisa rappresentazion della cosa imitata, di
modo ch'ella sia posta sotto i sensi, e paia vederla o udirla. Il che anzi è
amico della irregolarità e disarmonia, perchè appunto è amico della verità, che
non è armonica. Oltre che la natura propone per lo più a tali imitazioni i
soggetti più disusati, fuor di regola, le bizzarrie, i ridicoli, le stravaganze,
i difetti. E tali imitazioni {naturali} poi, non sono
mai d'un avvenimento, ma d'un'azione semplicissima, voglio dir d'un atto, senza
parti, senza cagioni, mezzo, conseguenze; considerato in se solo, e per suo solo
rispetto. Dalle quali cose è manifesto che la imitazion suggerita dalla natura,
è per essenza, del tutto differente dalla drammatica. Il dramma non è proprio
delle nazioni incolte. Esso è uno spettacolo, un figlio della civiltà e
dell'ozio, un trovato
4236 di persone oziose, che
vogliono passare il tempo, in somma un trattenimento dell'ozio, inventato, come
tanti e tanti altri, nel seno della civiltà, dall'ingegno dell'uomo, non
ispirato dalla natura, ma diretto a procacciar sollazzo a se e agli altri, e
onor sociale o utilità a se medesimo. Trattenimento liberale bensì e degno; ma
non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima
figlia, e l'epica, che è sua vera nepote. - Gli altri che si chiamano generi di
poesia, si possono tutti ridurre a questi tre capi, o non sono generi distinti
per poesia, ma per metro o cosa tale estrinseca. L'elegiaco è nome di metro.
Ogni suo soggetto usitato appartiene di sua natura alla lirica; come i subbietti
lugubri, che furono spessissimo trattati dai greci {lirici,} massime antichi, in versi lirici, nei componimenti al tutto
lirici, detti θρῆνοι, {+quali furon
quelli di Simonide, assai
celebrato in tal maniera di componimenti, e quelli di Pindaro: forse anche μονῳδίαι, come quelle che di
Saffo ricorda
Suida.} Il satirico è in parte lirico, se
passionato, come l'archilocheo; in parte comico. Il didascalico, per quel che ha di vera
poesia, è lirico o epico; dove è semplicemente precettivo, non ha di poesia che
il linguaggio, {il modo} e i gesti per dir così. {ec.}
(Recanati. 15. Dic. 1826.).
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