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Politica.

Politics.

309,4 574-5 925,2 1826,12 3773,1 4041,7

Politica, coltivata e alla moda tra' privati in Italia nel cinquecento, come oggi altrove.

Politics cultivated and fashionable among private individuals in Italy in the 16th century, as elsewhere today.

3129,marg.

Scienza politica degli scrittori e privati antichi e de' moderni, paragonata.

Political science of writers and private individuals, ancient and modern; a comparison.

Vedi Psicologia See Psychology. 3469,1

[309,4]  Il gusto decisamente di preferenza che ha questo secolo per le materie politiche, è una conseguenza immediata e naturale, della semplice diffusione dei lumi, ed estinzione dei pregiudizi. Perchè quando per una parte non si pensa più colla mente altrui, e le opinioni non dipendono più dalla tradizione,  310 per l'altra il sapere non è più proprio solamente di pochi, i quali non potrebbero formare il gusto comune; allora le considerazioni cadono necessariamente sopra le cose che c'interessano più da vicino, più fortemente, più universalmente. L'uomo pregiudicato o irriflessivo, segue l'abitudine, lascia andar le cose come vanno, e perchè vanno e sono andate così, non pensa che possano andar meglio. Ma l'uomo spregiudicato e avvezzo a riflettere, com'è possibile che essendo la politica in relazione continua colla sua vita, non la renda l'oggetto principale delle sue riflessioni, e per conseguenza del suo gusto? Nei secoli passati, come in quello di Luigi 14. anche gli uomini abili, non essendo nè spregiudicati, nè principalmente riflessivi, della politica conservavano l'antica idea, cioè che stesse bene come stava, e toccasse a pensarvi solamente a chi aveva in mano gli affari. Più tardi, gli uomini spregiudicati non mancavano, ma eran pochi; pensavano e parlavano di politica, ma il gusto non poteva essere universale. Aggiungete che i letterati {e i sapienti} per lo più vivono in una certa lontananza dal mondo; perciò la politica non toccava il sapiente così dappresso, non gli stava tanto avanti gli occhi, non era in tanta relazione  311 colla sua vita, come ora che tutto il mondo è sapiente, e le cognizioni son proprie di tutte le classi. Del resto, sebbene la morale per se stessa è più importante, e più strettamente in relazione con tutti, di quello che sia la politica, contuttociò a considerarla bene, la morale è una scienza puramente speculativa, in quanto è separata dalla politica: la vita, l'azione, la pratica della morale, dipende dalla natura delle istituzioni sociali, e del reggimento della nazione: ella è una scienza morta, se la politica non cospira con lei, e non la fa regnare nella nazione. Parlate di morale quanto volete a un popolo mal governato; la morale è un detto, e la politica un fatto: la vita domestica, la società privata, qualunque cosa umana prende la sua forma dalla natura generale dello stato pubblico di un popolo. Osservatelo nella differenza tra la morale pratica degli antichi e de' moderni sì differentemente governati. (9 Nov. 1820.). {{Oltracciò il comune è bensì illuminato e riflessivo al dì d'oggi, ma non profondo, e sebbene la politica domanda forse maggior profondità di lumi e di riflessioni che la morale, contuttociò il suo aspetto e superficie offre un campo più facile agl'intelletti volgari, e generalmente la politica si presta  312 davantaggio ai sogni alle chimere alle fanciullaggini. Finalmente il volgo preferisce il brillante e il vasto al solido {ed} utile, ma in certo modo più ristretto e meno nobile, perchè la morale spetta all'individuo, e la politica alla nazione e al mondo. E la superbia degli uomini è lusingata dal parlare e discutere i pubblici interessi, dall'esaminare e criticare quelli che gli amministrano ec. e il volgare si crede capace e degno del comando, allorchè parla della maniera di comandare.}}

[573,2]  Quasi tutte però le diverse aberrazioni della società in ordine ai governi, vennero a ricadere in questa monarchia, stato naturale della società, e il mondo, massime in questi ultimi secoli, era divenuto, si può dir, tutto monarchico assoluto. Specialmente poi dall'abuso e corruzione della libertà e democrazia, nata immediatamente dall'abuso e corruzione della  574 monarchia assoluta, era nata {pure} immediatamente una nuova monarchia assoluta. Ma non già quella primitiva, quella ch'era buona ed utile e conveniente alla società durante l'influenza della natura, e mediante questa sola: ma quella che può essere nell'assenza della natura; cioè quella tanto essenzialmente pessima, quanto la primitiva è sostanzialmente e solamente ottima: insomma la tirannia, perchè la monarchia assoluta senza natura, non può esser altro che tirannia, più o meno grave, e quindi forse il pessimo di tutti i governi. {+E la ragione è, che tolte le credenze e illusioni naturali, non c'è ragione, non è possibile nè umano, che altri sacrifichi un suo minimo vantaggio al bene altrui, cosa essenzialmente contraria all'amor proprio, essenziale a tutti gli animali. Sicchè gl'interessi di tutti e di ciascuno, sono sempre infallibilmente posposti a quelli di un solo, quando questi ha il pieno potere di servirsi degli altri, e delle cose loro, per li vantaggi e piaceri suoi, sieno anche capricci, insomma {per} qualunque soddisfazione sua.}

[925,2]  La superiorità della natura sopra tutte le opere umane, o gli effetti delle azioni dell'uomo, si può vedere anche da questo, che tutti i filosofi del secolo passato, e tutti coloro che oggi portano questo nome, e in genere tutte le persone istruite di questo secolo, che è indubitatamente  926 il più istruito che mai fosse, non hanno altro scopo rispetto alla politica (parte principale del sapere umano), e non sanno trovar di meglio che quello che la natura aveva già trovato da se nella società primitiva, cioè rendere all'uomo {sociale} quella giusta libertà ch'era il cardine di tutte le antiche politiche presso tutte le nazioni non corrotte, e così oggi presso tutte le popolazioni non incivilite, {e allo stesso tempo} non barbarizzate, cioè tutte quelle che si chiamano barbare, di quella barbarie primitiva, e non di corruzione. (6. Aprile. 1821.).

[1826,2]  Finora s'è applicata alla politica piuttosto la cognizione degli uomini che quella dell'uomo, piuttosto la scienza delle nazioni che degl'individui di cui le nazioni si compongono, e che sono altrettante fedeli immagini delle nazioni. (3. Ott. 1821.).

[3773,1]   3773 Vogliono che l'uomo per natura sia più sociale di tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perchè avendo più vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell'altre, secondo i principii da me in più luoghi sviluppati p. 55 pp. 872. sgg. pp. 1078-79 pp. 1083-84 pp. 2204-206 p. 2644 pp. 2736. sgg. p. 3291. Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua natura dello spirito di società, che l'amore estremo verso se stesso, l'appetito estremo di tirar tutto a se, e l'odio estremo verso gli altri tutti? Questi estremi si trovano tutti nell'uomo. Queste qualità sono naturalmente nell'uomo in assai maggior grado che in alcun'altra specie di viventi. Egli occupa nella natura terrestre il sommo grado per queste parti, siccome generalmente egli tiene la sommità fra gli esseri terrestri.

[4041,7]  Gli uomini sarebbono felici se non avessero cercato e non cercassero di esserlo. Così molte nazioni o paesi sarebbero ricchi e felici (di felicità nazionale) se il governo, anche con ottima e sincera intenzione, non cercasse  4042 di farli tali, usando a questo effetto dei mezzi (qualunque) in cose dove l'unico mezzo che convenga si è non usarne alcuno, lasciar far la natura, come p. e. nel commercio ch'è più prospero quanto è più libero, e men se ne impaccia il governo. Similmente dicasi de' filosofi ec. Del resto la vita umana è come il commercio; tanto più prospera quanto men gli uomini, i filosofi ec. se ne impacciano, men proccurano la sua felicità, lasciano più far la natura. (7. Marzo. prima Domenica di Quaresima. 1824.).

[3125,1]  Quindi è che ne' poemi epici posteriori ad Omero, l'Eroe e l'impresa felice nulla avrebbero interessato i lettori, se desso eroe, dessa impresa, dessa felicità non fossero in qualche modo appartenuti ai lettori medesimi, come Achille ec. ai greci. In verità un  3126 poema epico di lieto fine richiede necessariamente la qualità di poema nazionale; e per ciò che spetta e mira a esso fine, un poema epico non nazionale non può interessar niuno; nazionale, non può mai produrre un interesse universale nè perpetuo, ma solo nella nazione e per certe circostanze. L'Eneide fu dunque poema nazionale, e lasciando star tutti gli episodi e tutte le parti e allusioni che spettano alla storia ed alla gloria de' Romani, l'Eneide anche pel suo proprio soggetto potè produr ne' Romani il primo di quegl'interessi che abbiamo distinto in Omero, perocchè i Romani si credevano troiani di origine, sicchè la vittoria d'Enea consideravasi {+o poteva considerarsi} da essi come un successo e una gloria avita, e ad essi appartenente, e da essi ereditata. Il soggetto della Lusiade fu nazionale, e di più moderno. Egli non poteva esser più felice quanto al produrre quel primo interesse di cui ragioniamo. {+Il soggetto dell'Enriade è affatto nazionale e la memoria di quell'Eroe era particolarmente cara ai francesi, onde la scelta dell'argomento in genere fu molto giudiziosa, massime ch'e' non era nè troppo antico nè troppo moderno, anzi quasi forse a quella stessa o poco diversa distanza a cui fu la guerra troiana da' tempi d'Omero.} Il soggetto e l'  3127 eroe della Gerusalemme furono anche più che nazionali, e quindi anche più degni; e furono attissimi ad interessare. Dico più che nazionali, perchè non appartennero a una nazione sola, ma a molte ridotte in una da una medesima opinione, da un medesimo spirito, da una medesima professione, da un medesimo interesse circa quello che fu il soggetto del Goffredo. Dico tanto più degni, perchè essendo d'interesse più generale, rendevano il poema più che nazionale, senza però renderlo d'interesse universale, il che, trattandosi di quello interesse di cui ora discorriamo, tanto sarebbe a dire quanto di niuno interesse. Dico attissimi a interessare perchè quantunque fosse spento in quel secolo il fervore delle Crociate, durava però ancora generalmente ne' Cristiani uno spirito di sensibile odio contro i Turchi, quasi contro nemici della propria lor professione, perchè in quel tempo i Cristiani, ancorchè corrottissimi ne' costumi e divisi tra loro nella fede, consideravano per anche la fede Cristiana  3128 come cosa propria, e i nemici di lei come propri nemici ciascuno; e quindi non solo con odio spirituale e per amor di Dio, ma con odio umano, con passione per così dir, carnale e sensibile, per proprio rispetto, e per inclinazione odiavano i maomettani non che il maomettanesimo. E la liberazione del sepolcro di Cristo era cosa di che allora tutti s'interessavano, siccome in questi ultimi tempi, della distruzione della pirateria Tunisina e Algerina, benchè questa e quella fossero più nel desiderio che nella speranza, o certo più desiderate che probabili: aggiunta però di più la differenza de' tempi, perocchè nel cinquecento le inclinazioni e le opinioni e i desiderii pubblici erano molto più manifesti, decisi, vivi, forti e costanti ch'e' non possono essere in questo secolo. Siccome nel 300 il Petrarca (Canz. O aspettata), così nel 500 tutti gli uomini dotti esercitavano il loro ingegno nell'esortare o con orazioni o con lettere o con poesie pubblicate per le stampe, le nazioni e i principi d'europa  3129 a deporre le differenze scambievoli e collegarsi insieme per liberar da' cani {#2. Petr. Tr. della Fama cap. 2. terzina 48.} il Sepolcro, e distruggere il nemico de' Cristiani, e vendicar le ingiurie e i danni ricevutine. Questo era in quel secolo il voto generale così delle persone colte ancorchè non dotte, come ancora, se non de' gabinetti, certo di tutti i privati politici, che in quel secolo di molta libertà della voce e della stampa, massimamente in italia, non eran pochi; {#1. Erano allora i politici privati più di numero in italia che altrove, l'opposto appunto di oggidì, perchè pure al contrario di oggidì, era in quel secolo maggiore in italia che altrove e più comune e divulgata nelle diverse classi, la coltura, e l'amor delle lettere e scienze ed erudizione per una parte (le quali cose tra noi si trattavano in lingua volgare, e tra gli altri per lo più in latino, fuorchè in ispagna), e per l'altra una turbolenta libertà fomentata dalla molteplicità e piccolezza degli Stati, che dava luogo a poter facilmente trovar sicurezza e impunità, col passare i confini e mutar soggiorno, chi aveva o violate le leggi, o troppo liberamente parlato o scritto, o offeso alcun principe o repubblica nello Stato italiano in ch'ei dapprima si trovava.} e di questo voto si faceva continuamente materia alle scritture e allusioni {digressioni} ec. e di quel progetto o sogno che vogliam dire si riscaldava l'immaginazione de' poeti e de' prosatori, e se ne traeva l'ispirazione dello scrivere. Niente meno che fosse nell'ultimo secolo della libertà della grecia fino ad Alessandro, il desiderio, il voto, il progetto di tutti i savi greci la concordia di quelle repubbliche, l'alleanza loro e la guerra contro il gran re, e contro il {barbaro} impero persiano perpetuo nemico del nome greco. E come Isocrate  3130 per conseguir questo fine s'indirizzava colle sue studiatissime ed epidittiche, {+scritte e non recitate} orazioni ora agli Ateniesi (nel Panegirico, e v. l'oraz. a Filippo, edizione sopra cit. p. 260-1.) ora a Filippo, secondo ch'ei giudicava questo o quelli più capaci di volerlo ascoltare, e più atti a concordare e pacificar la grecia e capitanarla contro i Barbari, così nel 500. lo Speroni s'indirizzava pel detto effetto con una {lavoratissima} orazione stampata {+e non recitata nè da recitarsi,} a Filippo II. di Spagna, ed altri ad altri, secondo i tempi e le occasioni. Ma tutto indarno, non come accadde ai greci, il cui voto fu adempiuto da Alessandro, mosso fra l'altre cose, come è fama (v. Eliano Var. l. 13. e ὑπόϑεσ. τοῦ πρὸς Φίλιπ. λόγου), dall'orazione appunto che Isocrate n' avea scritto a Filippo suo padre, l'uno e l'altro già morti.

[3469,1]   3469 Alla p. 2709. Quasi tutti gli antichi che scrissero di politica (tranne >Cic. de rep. e de legibus), la pigliarono puramente o principalmente dalla parte speculativa, la vollero ridurre a sistema teorico e di ragione, e disegnare una repubblica di lor fattura; e questo si fu lo scopo, l'intenzione e il soggetto de' loro libri. Ond'è che quantunque i moderni, primieramente abbiano fatto della politica il loro principale studio, secondariamente, come privati che erano e sono la più parte, e quindi inesperti del governo, sieno stati obbligati a tenersi in ciò alla speculazione più che alla pratica, e per la medesima cagione abbiano immaginato, sognato, delirato e spropositato nella politica più che in altra scienza; nondimeno io tengo per fermo che gli antichi, {anzi i soli} greci, avessero più Utopie {#1. O sistemi di repubblica o di legislazione, praticabili o non praticabili, ma certo non praticati, e solo immaginati e composti da' rispettivi autori. V. Aristot. Polit. 1. 2. p. 74. 171. 179. fine. 116. {1. 4. p. 289-92. p. 358. fine}.} che tutti i moderni insieme non hanno. Utopia è la repubblica di Platone, {+sì quella disegnata nella Politia, sì l'altra ne' libri delle Leggi, diversa da quella, come osserva Aristotele nel 2.do de' Politici, p. 106-16.} Utopie {furono} quelle di Filea Calcedonio (Aristot. Politic. l. 2. ed. Victorii, Florent. p. 117-26.), e d'Ippodamo Milesio (ib. p. 127-35.), Utopia è quella d'Aristotele (v. il Fabricio). {#2. Pare che anche Eraclide Pontico scrivesse de optimo statu civitatis, senza però aver mai trattato le cose pubbliche. V. Cic. ad Quint. fratr. 3. ep. 5. Victor. ad Aristot. Polit. p. 171. Meurs. t. 5. p. 114. B-C. t. 6 p. 270. F.} E senza  3470 fallo Utopie furono ancora i libri politici e peri nomon o nomoi di Teofrasto, di Cleante e d'altri tali filosofi, mentovati dal Laerzio, e i perduti libri pur politici e peri nomon dello stesso Aristotele, e molti altri siffatti. {#1. Così le πολιτεῖαι di Diogene Cinico e di Zenone. V. il Laerz. e la pref. del Vettori alla politica d'Aristot. p. 3. verso il fine. Qua spetta ancora la Ciropedia. V. ivi. p. 5.} Aristotele spianta le repubbliche degli altri, ma nè più nè meno che in filosofia, si crede in obbligo di sostituire, e ci dà la sua repubblica e il suo sistema. {#2. Ed Aristotele era pur de' più devoti all'osservazione, tra' filosofi antichi.} E così gli altri. Ed è pur notabile che gli antichi, e nominatamente i greci, o avevano, o avevano avuto in mano gli affari pubblici, o potevano averli, o certo, ancorchè stati sempre privati, erano pur parte delle rispettive repubbliche, e contribuivano insieme col popolo al governo. E generalmente parlando, nelle antiche repubbliche, tutte libere, i privati, ancorchè dediti solo a filosofare e studiare, erano più al caso, se non altro per li {continui} discorsi giornalieri, per lo essersi trovati assai spesso alle concioni, perchè i negozi pubblici passavano tutti e succedevano sotto gli occhi di tutti, e le cause {degli avvenimenti} erano manifeste, e nulla v'avea di segreto;  3471 erano dico al caso d'intendersi veramente di politica, e di poterne ragionare per pratica, molto più che i moderni privati non sono, i quali si trovano e si son trovati, per lo più, in circostanze tutte opposte, e nemmeno fanno effettivamente parte della loro repubblica e nazione, nè d'altra veruna, se non di nome. E nondimeno essi seguono nella politica l'immaginazione e la speculazione molto manco, e l'esperienza e i fatti molto più che gli antichi non fecero, e vaneggiano e inventano ed errano molto meno. (19. Sett. 1823.).